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Prosa e racconti

Vampire e Crime Games

(Turin Rive Gauche, 31 agosto 2009)
La struttura sociale metaforizzata dai games in Facebook è quella a modello tribale o di clan. Molto simile al diritto non scritto che vigeva tra gli antichi Germani. Grappoli di amici che producono amici attraverso gli amici degli amici. Era così che si formavano le onde d'urto multitribali relativamente efficaci da premere con successo ai confini dell'Impero e a penetrarlo.
Non svolgendo il Nostro in questi ultimi giorni di ferie alcun ruolo economico, sociale, parentale, affettivo, relazionale di rilevanza (insomma, per usare un’espressione gergale da strada, “non avendo un cazzo da fare”), si diletta in accademico e antropologico studio sul campo delle dinamiche ludico-sociologiche nel famoso network. Il Picaro, in dieci giorni, ha radunato attorno a sé centinaia di vampiri e di mafiosi da tutto il pianeta, scoprendosi molto bellicoso, combattivo e strategico. Reign of Vampires e Mafia Wars, due dei tanti horror games e crime games, presentano due attività base per la progressione nella carriera: il lavoro e il combattimento. Per lavoro s’intenda succhiare il sangue a vittime varie o praticare tutte le attività possibili della gamma criminale (dal furto d’auto, alla riscossione di mazzette e pizzi, al killeraggio professionale su commissione). Per combattimento, attacco e difesa nella guerra fra clan e famiglie. Si ha notizia, voce che corre, che la magistratura italiana si stia muovendo per far chiudere Mafia Wars, non rappresentando effettivamente un modello esemplare sul piano educativo, vista l’estrema e realistica cura nei dettagli delle attività criminali, aggiornatissima sul piano della descrizione di armi, tecnologie, mezzi. Per chi pratica una buona letteratura thriller sono bazzecole, ma l’impatto Facebook è effettivamente più alto e diffuso.

The Tide Is Turning

La Marea Sta Passando
 

marea

"La marea sta passando?? ”- “Non è vero che sta passando. Sta solo aumentando. Ed io non la posso contenere, devo in qualche modo farla uscire, ma non si tratta di fluire, la mia marea deve Defluire, con una irruenza devastante, a riversarsi come un’onda melensa di un rubino tale, che di dosso non ve la possiate mai più strappare. ”

 
 
 
 
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-Marco??- Marco??-
(mmmhh.. che due coglioni cubici…) -Si Angela? CHE C'E'??-
-Vieni di corsa a vedere, anzi vieni a leggere, subito!!-
Salì le scale di corsa, preso da una morsa di paura e ansia, ansia data non tanto da quello che avrebbe letto (lui ormai sapeva..) ma data dalla totale idiosincrasia accertata verso la moglie, idiosincrasia accertata negli ultimi anni, e dal conseguente disagio di averla vicino (con quel profumo odioso poi…)
Lesse, in un ammutolito silenzio, lesse l’ennesimo messaggio scarabocchiato a caso in un foglio lasciato non per caso.
 
Evitava di guardare la moglie, ma si guardava intorno, girava lo sguardo dentro la stanza di suo figlio Kevin, come farebbe la cinepresa di un regista, rimirando la quantità di cose stipate, inscatolate, ammucchiate. Sembrava un baraccone di un Luna Park, tutto poco illuminato, velatamente decadente, con i premi accatastati alla rinfusa, premi mai vinti, da nessuno, perché nessuno aveva mai giocato.

La storia di una Storia

Martina Dietro la Palude

 

E sono fiori e confetti
E regali da scartare
E sono viaggi e programmi
E forse una pancia da riempire
 
Sembra una specchio argentato quello all’orizzonte
Sembra un lago incantato incastonato dietro un monte
Di quel lui che non riesci a fare senza
Carne solida, ma che ci vedi in trasparenza
   
Nulla che somigli alla paura, all’agonia di un incidente
E’ la Palude di Martina, che si avvicina velocemente
 
 

Chihuahua 3. Asterix Reloaded

Ubi maior sergent cessat.

Ubi maior maior ubi (chiasmo).

Ubi maior ubi maior (anafora).

Sergent maior ubi cessat (anastrofe).

Ubi cessat maior ubi sergent ubi cessat maior..... (catastrofe).

"Le brave ragazze vanno in paradiso, quella cattive dappertutto", Levitico apocrifo, 26, 4.

"Papà voglio la Wi Fi". "Ma cosa te ne fai? Sei già grande per queste cose. Hai già le Winx, la Barbie, Cicciobello...".

"Papà voglio la R4". "Ma sei ancora troppo piccola per rimanere incinta. Non ti serve a niente...". “Uff… Nintendooo!”. “E lo capisco che non intendi!”

Il treno

- Che bel sorriso luminoso ha in questo momento, le dice l'uomo di fronte, con cui finora aveva scambiato solo banali frasi di circostanza. Lei rimane basita, non sa che rispondere, quando lui aggiunge - pensa al suo amore?
Ancora più incredibile, riflette lei, e improvvisamente decide di rispondere. Perché no?, si dice. Non lo vedrò mai più, scomparirà dal mio orizzonte fra poche ore, non appena sarò scesa dal treno.
Lui la incalza, chiede - l'ho messa in imbarazzo? E lei raccoglie la sfida, e guardandolo negli occhi, nerissimi, luminosi e belli, risponde - no, non pensavo al mio amore, pensavo ai miei amori.
- Usa il plurale?, replica lui, con tono ironico.
- Sì ho usato il plurale, ribadisce lei, ma stavolta abbassando lo sguardo, perché non vuole che lui la veda troppo sfrontata, pensi chissà cosa, quando non c'è niente da pensare. In fondo non c'è nessuno più fedele di lei, solo le capita di innamorarsi e quando si innamora di qualcuno, non smette mai di amarlo.
- Ma non le sembra un po'adolescenziale, questo plurale? Quando avevamo diciotto anni, allora sì si diceva che l'amore non ha limiti, che non è una torta che se si divide in più fette ne tocca di meno a ciascuno.
Pazzesco, pensa lei, e glielo dice - Lo sa che ha usato esattamente le stesse frasi che usavo io all'epoca a cui si sta riferendo? Comunque no, non mi sembra adolescenziale, mi sembra vero.

Il ponte giapponese

Dal 13° capitolo della prima lettera ai Corinzi.- San Paolo
“E se anche ho il dono della profezia e conosco tutti i misteri, e tutta la scienza; e se anche possiedo tutta la fede sì da trasportare le montagne, ma non ho l’amore, non sono niente”.
 
Lì l’aveva trovata, lacerata. Il vestito bianco senza la macchia di un filo d’erba, distesa sulla sponda che scendeva dal fianco del ponte verso lo stagno delle ninfee.
Veniva dalla guerra, dall’ultima battaglia. I suoi compagni l’avevano lasciato, uno ad uno.
Si piegò e ne ascoltò il respiro; era ancora viva. La raccolse ed in braccio la trasportò verso la casa nascosta dagli alberi.
Fra il tepore delle mura la giovane donna cominciò a riprendersi, aprì gli occhi.
Jacques li vide, rimase per un intero minuto a fissare quel blù dove ci si poteva perdere. Lui si perse.
 
La cura non fu mai finita.
Ma Jacques, ogni volta tornando, riprendeva cuore, e speranza, alzando lo sguardo al minuscolo ponte sul quale un giorno l’amore predestinatogli si sarebbe fatta trovare.
 

La maledizione della camera del Fraz (atto IV) -estratto dal mio romanzo, capitolo 20

Cloe ha appena finito di lavare via la granita di vetro e sangue dal pavimento, adesso dovrà lavar via la colpa. Il suo problema –dice Ummerda –è la cattiva influenza di D. Il suo problema –dice D. –è che lei ragiona con la fica. Il problema di D. –dice lei –è che lui ragiona con il cazzo. Un evento che accade è come un dado. Offre una faccia diversa ad ogni coppia d’occhi. La casa dev’essere pulita entro le 6, perché oggi attendiamo pretendenti alla camera del Fraz. Non possiamo permetterci che un’altra persona se la dia a gambe dopo 24 ore. La stanza del Fraz è infestata. È un periodo no, questo. Fuori il tossico, il malavitoso, la ragazzina punkettona pane e salame. È come se la camera del Fraz pensasse, come se fosse dotata di un’anima e aspettasse invano il ritorno del suo illustre inquilino. Si è aperto a casa un periodo giacobino.

La cucina deve rimanere pulita fino a stasera. Dobbiamo piazzare la stanza a qualcuno.

Ci ha lasciati anche Rizlo.  Rizlo, l’uomo che mi aveva fatto entrare a casapace. L’uomo che mi somministrava negroni e vodka lemon ai tempi in cui stavo con la donna-Druido e litigavamo e bevevamo. Litigavamo e bevevamo. Ere fa. La partenza di Rizlo era annunciata. Ormai non si vedeva più da mesi. Impegnato col tirocinio in un’altra città, dopo aver rotto con Cate, con Palermo, con tutti, ha ufficializzato il suo addio. Ero rimasto l’unico della vecchia guardia. Il satrapo di casapace, e in quanto tale mi toccava la stanza dell’anziano: quella bellissima nel soppalco, con zona giorno nell’anticamera, zona notte e verandina privata per ottime pecorine con vista cattedrale. Ora che ho questa stanza, posso accarezzare l’illusione di essere qualche metro in più vicino al sole. Il soppalco anni fa era il regno di Pinnie e Rizlo, amici dai tempi del liceo. Motori di casapace e polmoni rivestiti in THC. Mi sento solo. Ho una camera bellissima. Ho perso i miei amici. Ho una camera bellissima. Devo darmi una mossa con il dottorato. Ho una camera bellissima. Non ho un cazzo da mangiare per stasera. Ho una camera bellissima.

Patriarchi sull'orlo di una crisi di nervi.1

(Domenica, 23-05-2010). Missione compiuta. Figlia Ci-Clone ha introiettato il passato remoto del verbo "credere" senza profondi traumi (residui riemergenti episodici: tu credetti, essi credirono; espediente didattico: "i credini credirono, tutti gli altri credettero"). Shopping in Via Micca per rimediare in Fashion Cult Cool Punk Shop borsetta da 10 euro (le guadagna un'aria da sciantosetta truzza-radical-chic), per contenere massa patrimoniale della Ci-Clone consistente in due centinaia di monetine da 5 eurocent a 50 eurocent. Patrimonio fuoriuscito da borsetta, non si sa come, tragicamente rovesciatosi a macchia su marciapiede Via Micca. Dieci torinesi solidali hanno contribuito al recupero delle monetine. Purtroppo, assenza della stampa sensazionalistica. L'eccesso di liquidità momentaneo non ha influenzato seriamente i mercati finanziari internazionali; i tassi sui bond tedeschi non ne hanno risentito.
Tutto questo mentre in diretta giungono da Madrid voci inquietanti. Le figlie della adorata Malinche, la gata chula, selvaggia Dulcinea del Nostro; le figlie, dicevamo, ormai ascritte al clan del Nostro Padre Padrone, come Figlia Acquisita Anziana e Figlia Acquisita Giovane, stanno diffondendo il suo Frank Einstein (contribuendo al suo definitivo sputtanamento) nelle scuole superiori e nelle università dell’impero castigliano, pars orientis europea e pars occidentis latino-americana, impero ispanofono dove non tramonta mai il sole.
Ma si diceva dello shopping di padre e figlia nella sonnecchiosa ma affollata downtown subalpina. Subito dopo, il patriarca tardo pennachiano viene trascinato per l’ennesima volta in una visita di aggiornamento culturale al Museo Egizio.

I ragazzi di...Viale Caprera.

 Ero il più forte della “banda” di ragazzi di Viale Caprera, non fisicamente ma, il più completo per abilità di lancio, precisione, strategia e tattiche delle sassaiole, fantasia organizzativa. Forse dote militare ereditata da mio padre, militare di professione o acculturazione cinematografica guerresca, che in quei tempi, di feconda propaganda filo americana, riempiva le sale di tutta Italia.
Avevamo la “tana” dentro un cassone enorme, al centro di una altrettanto grande catasta di casse, contenenti pezzi di ricambio per i veicoli degli USA Army, stivate per comodità nella Piazza antistante la chiesa di Crocetta, senza controllo ne vigilanza, che ancora il clima era di immediato dopoguerra – occupazione. La M.P. girava in jep senza alcuna intenzione o voglia di imporre alcunché.
L’avevamo svuotata da dentro, accedendovi dall’interno della catasta, nei piccoli spazi- corridoi, che si lasciano nel mettere un parallelepipedo sull’altro. Aveva le dimensioni di una stanza di abitazione e ancora puzzava dell’odore dell’olio protettivo nel quale erano avvolti le migliaia di carburatori, che erano stati avviati, dagli adulti, al mercatino riciclaggio di Piazza XX Settembre.
Era Gino, “detto German” nome di battaglia e poi soprannome, il capo banda. Qualche anno più della media, più coraggioso e sfrontato di tutti, il meno soggetto alle remore familiari. Spesso violento, sempre scurrile nell’eloquio, che per noi era segno di emancipazione dalla pubertà.

Già

Già l’amore, cos’è
bloccarsi alla polvere del sole
e ricamminare
con la stessa, bianca
come un bastone

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