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The Fenici Portrait

mostra fotografica itinerante
vista per voi da Paolo Sprega
 
 

Da qualche giorno a Cagliari è visitabile la mostra “The Fenici Portrait”, che affronta un tema molto caro alla Sardegna: gli itinerari degli insediamenti Fenici rivisitati attraverso l’occhio di quattro grandi fotografi italiani e i manufatti di cinque orafi e cinque ceramisti sardi.

Per i fotografi che hanno partecipato all’evento, il compito era quello di rappresentare, attraverso il loro gusto e la mediazione dell’obiettivo fotografico, elementi archeologici e/o paesaggistici che mettessero in luce il passaggio dei Fenici in questa terra. Naturalmente, l’intento non era strettamente archeologico, bensì quello di decodificare l’identità del luogo, permettendogli d’isolare alcuni aspetti distintivi di una Sardegna estetica da riscoprire.
Il risultato di questo lavoro è un insieme di immagini molto raffinate, alcune decisamente pittoriche, con atmosfere molto suggestive che, senza dubbio, gli stessi sardi apprezzeranno, tanto, da indurli a voler riscoprire quegli stessi luoghi.
Una mostra che potremmo definire come una grande e raffinata broushure, un invito a ripercorrere quelle strade per rivivere, in loco, le stesse emozioni evocate dalle immagini.
Veniamo alle fotografie:  grandi, anzi grandissime scritture di luce, strutture eleganti, che incorniciano immagini di 200 x 170 cm. in un percorso ambientato tra pavimenti levigati e pareti di roccia a vista, quale è lo scenario della sala espositiva della Cittadella dei Musei di Cagliari.

La mostra si apre con le foto di Claudio Porcarelli: paesaggi abitati da due splendidi giovani Fenici che ci invitano, con un balzo indietro nel tempo, a guardare attraverso i loro occhi e, forse, a capire il piacere e la meraviglia che fu per loro abitare queste terre.

Anna Marceddu, di origine sarda, analizza gli elementi della civiltà fenicia come fossero delle tracce leggère, impronte sulla sabbia, in cui l’elaborato "alfabeto fenicio" fa da texture sugli elementi naturali fotografati. Un lavoro di elegante design da guardare da molto vicino, nonostante la grandezza delle foto.
 
Seguendo sempre il percorso fotografico, al piano di sopra campeggiano le foto di Maurizio Galimberti, il guru della Polaroid, in cui gli scatti ripetitivi effettuati, a volte con piccoli spostamenti sul soggetto, a volte graffiati con le unghie durante lo sviluppo, formano mosaici di mosaici, o panorami frazionati in piccoli frammenti, quasi un enorme caleidoscopio in cui siamo trascinati e poi avvolti.

Ultimo, ma non per importanza, il maestro Franco Fontana, che abbandonati i paesaggi urbani, si dedica alla ricostruzione di paesaggi fenici sfruttando come elemento narrativo la natura: cielo  terra e le vestigia fenice, il tutto generosamente rivisitato al computer, per regalarci vedute di una Sardegna improbabile, in cui cieli rossi e nuvolosi sorgono quasi per incanto dal mare, un mare il cui orizzonte, così combinato, fa immaginare la voragine oltre le colonne d’Ercole, in cui tutto sparisce inghiottito dal nulla.

Gli artigiani giocano in casa e per loro il lavoro è stato diverso: più che decodificare, rielaborano con le loro opere quel gusto e quella “fenicità” che è nel loro codice genetico. Si possono ammirare alcuni manufatti veramente notevoli, sia per il gusto, che per la qualità della lavorazione.
Tra gli orafi (devo confessarlo), sono rimasto affascinato dal gioiello di Inkoro, un girocollo formato da filamenti argentei che creano sul corpo ombre evocative delle barbe della statuaria fenicia.
Altro pezzo pregiato, quello di Antonello Delogu, che prende spunto in modo originale dall’alfabeto fenicio per realizzare, con una lamina goffrata d’oro, pendenti di un girocollo in forma di glifi.

I ceramisti sono tutti di altissimo livello, ma si fa prepotentemente notare la brocca di Carrus che, con l’aggiunta di un decoro realizzato a colombino e di alcuni elementi incisi, ci offre un manufatto che sembra appena uscito da un forno fenicio.
Infine Carzedda, di Terra Pintada, che racconta il rapporto dei Fenici con il mare proponendo un vassoio in cui i segni e i colori, quali il rosso porpora, evocano la forma affusolata delle loro navi.
Terminato il giro, gli occhi pieni d’immagini, noi, che siamo nella terra che un tempo fu proficuamente “visitata” da questi magnifici navigatori, non possiamo far altro che andare, a passi lenti e senza fretta al viale del Buoncammino, affacciarci e scrutare questo splendido e struggente mare. 

          © C. Porcarelli
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          © C. Porcarelli
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         © C. Porcarelli
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         © C. Porcarelli
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         © A. Marceddu
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         © A. Marceddu
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         © M. Galimberti
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         © M. Galimberti
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         © M. Galimberti
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         © F. Fontana
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         © F. Fontana
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         © Inkoro
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         © A. Delogu
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         © G. Carrus
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         © Terra Pintada
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LA SCRITTURA FENICIA
 
La scrittura è una delle più grandi invenzioni della storia, forse, la maggiore in assoluto. Insieme all’arte e al linguaggio figura nella storia umana a partire da un determinato momento e non prima: l’arte risale a poco più di trentamila anni fa, la scrittura ad appena cinquemila.
La sua culla è da considerarsi nelle maggiori valli fluviali del Vicino oriente, l’Egitto e la Mesopotamia. Conobbe diversi processi  e lentamente passò dall’immagine alla sillaba, dal disegno al suono, dall’ideografia alla pittografia, attraverso i quali si venne gradualmente perfezionando e semplificando, allontanandosi pertanto dalle immagini originarie e i segni furono usati secondo la loro pronuncia (scrittura sillabica). Nel II millennio a.C. la scrittura sillabica cedette il posto a quella alfabetica, costituita da un numero ristretto di consonanti, poi legate alle vocali. Qualcuno, geniale quanto sconosciuto, si accorse che le centinaia di sillabe del linguaggio, corrispondenti ad altrettanti centinaia di segni, potevano essere ridotte a un numero di consonanti oscillanti intorno alla ventina e comunque inferiori alle trenta.
L’alfabeto, dunque, il tipo di scrittura nel quale noi stessi scriviamo, è soltanto uno di questi passi, seppure l’ultimo e il più perfezionato. Tale passo fu compiuto, secondo la tradizione, dai Fenici. Furono essi a diffonderlo presso i Greci i quali, a loro volta, lo tramandarono all’Occidente, attraverso un lungo e delicato processo che arriva fino a noi.
Come la scrittura, anche l’invenzione dell’alfabeto fu dettato da necessità di tipo economico: chi meglio dei mercanti e dei naviganti fenici poteva comprendere la necessità dei traffici e la necessità che questi fossero sostenuti da registrazioni rapide e funzionali a un tempo? E come era possibile recare sulle navi pietre e argilla (questi i materiali usati nella scrittura precedente quella alfabetica) e affidarsi sempre alla dottrina degli scribi? Ai Fenici, dunque, il merito di rendere più agevole e accessibile la scrittura e quello di affidarla ad altri materiali più “leggeri”: cocci di vaso e papiri.
Tutto ciò è ricordato dalle fonti classiche a noi pervenute, in particolare da Erodoto, che nel V secolo a.C. scrive:”Questi Fenici che erano venuti da Cadmo e ai quali appartenevano i Gefirei stanziati in questa regione (=Boezia), introdussero tra i greci molte novità, tra queste l’alfabeto che prima, a mio parere, non esisteva tra i Greci: nei primi tempi essi usavano le lettere che usano ancora tutti i fenici; in seguito trasformarono il suono e la forma. Le località intorno erano abitate soprattutto da Greci di stirpe ionica, i quali, apprese le lettere così come glielo insegnarono i Fenici, le adoperarono poi, leggermente modificate e, usandole, le fecero conoscere col nome di “lettere fenicie”, com’ è giusto, dal momento che furono proprio i Fenici ad introdurle in Grecia”.
Una voce contraria ad Erodoto fu quella di Plinio il Vecchio: “A mio avviso, l’alfabeto è esistito da sempre presso gli Assiri; alcuni ritengono, come Gallio, che sia stato insegnato da Mercurio agli egiziani, altri ancora ai Sirii: secondo le due scuole, sarebbe stato introdotto in Grecia dalla Fenicia per merito di Cadmo”. Forse, è comunque possibile conciliare queste teorie e, in qualche modo, legare la scrittura fenicia a quella egiziana e a quella mesopotamica.
Certamente, i Fenici, oltre a diffondere l’alfabeto inventarono un nuovo tipo di lettere, sostituendo i cunei dell’alfabeto ugaritico (il primo alfabeto tramandatoci dalla storia, da Ugarit) con segni agili e scorrevoli.
La scrittura fenicia si compone di ventidue segni alfabetici scritti da destra a sinistra, tutte consonanti sebbene, in epoca avanzata e soprattutto nelle iscrizioni neopuniche, sia attestato l’impiego di alcuni segni consonantici per indicare le vocali: così, waw indica la nostra u, oppure la o; yod la i oppure la e; alef la a, la e e altre vocali ancora.
Il fenicio non è una lingua difficile e la sua decifrazione avvenne rapidamente, anche perché si sapeva a quale gruppo linguistico apparteneva e quali erano le lingue a esso storicamente legate e in qualche modo somiglianti. Fu la prima lingua antica decifrata per merito dell’abate J. J. Barthèlemy che nel 1758 per primo lesse e comprese alcune iscrizioni fenicie provenienti da Malta e da Cipro, i cui testi erano stati disegnati da R. Pococke.
Il fenicio è una lingua semitica del gruppo nord-occidentale, come alcune lingue del II millennio: l’ugaritico e le glosse di Tell Amarna e, a partire dal I millennio, il cananaico e l’aramaico. Il fenicio, per l’appunto, fa parte del cananaico e i Fenici stessi si denominavano Cananei e chiamavano la loro regione Canaan.
Le iscrizioni fenicie a noi pervenute, datate tra il XIII secolo a. C. e il II-III secolo d.C., per lo più di breve lunghezza e talora frammentaria si estendono all’intera area mediterranea per un totale di alcune centinaia. La più famosa è quella del sarcofago lapideo del re Ahiram di Biblo del XIII secolo a.C. A Sarepta, l’iscrizione più importante, incisa su placchetta d’avorio, che riporta alla madrepatria orientale l’origine e il culto della principale dea cartaginese. Ma non meno interessanti, altre due iscrizioni sempre a Sarepta, rispettivamente del V-IV secolo a.C. e XIII secolo a.C. L’interesse principale del primo testo è che, la successione delle lettere corrisponde a quella delle lettere ebraiche, così come sono conosciute attraverso alcuni salmi. Forse, questo, è l’unico esempio di abbecedario fenicio scritto in fenicio. L’altra iscrizione è incisa sul manico scanalato di una brocca ed è in ugaritico, ad eccezione di una sola lettera, gimel che è fenicia: forse una prova del passaggio dall’ugaritico al fenicio. In questo processo è racchiusa l’origine stessa del nostro alfabeto.

ALCUNI SCATTI DURANTE L'ALLESTIMENTO DELLA MOSTRA

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CENNI STORICI

 
 A Tiro, città della costa fenicea, o più genericamente alla Fenicia nel suo complesso e ai fenici in generale, risale il merito di avere inventato la colorazione dei tessuti. I Greci ben l’apprezzarono e importarono dalle città della costa orientale vesti e tessuti già tinti  con il liquido estratto da una particolare conchiglia. Poiché, in greco, il color rosso porpora si chiamava phoinix, immediatamente le genti che lo produssero divennero i Phoinikes, cioè i Fenici.

 

Ma i Fenici, come chiamavano se stessi? Il termine più noto, presente nelle fonti locali, è quello di Cananei per il popolo e di Canaan per la regione: così sono chiamate nella Bibbia, che è una delle fonti più preziose per la ricostruzione della storia e della religione fenicea.
Intorno al 1200 a.C., vale a dire all’inizio delletà del ferro, i cosiddetti Popoli del Mare rivoluzionarono l’equilibrio raggiunto nel Mediterraneo. La civiltà Micenea fu distrutta. L’Egitto e la Mesopotamia furono fiaccate. Di questo rovesciamento di posizioni approfittarono staterelli e genti in minoranza che vennero alla luce con i loro bagagli etnici e culturali, dando origine a nuovi stati e a nuovi popoli. E’ in questo momento che ha inizio la storia delle città fenicie. Costrette dall’immensità del Mediterraneo all’esterno, dalle catene del Libano e dell'antilibano all’interno e così pure dal formarsi dei nuovi popoli degli Ebrei e degli Arami; racchiuse pur sempre tra Egitto e la Mesopotamia, Tiro, Sidone, Biblo, e con esse le principali città fenicie, si videro costrette ad affrontare le acque, cercando altrove quello sfogo che la conformazione geografica e la situazione politica ostacolavano. Così fin dall’inizio i Fenici presero la via del mare e in esso riposero ogni speranza di vita e di ricchezza.
La Fenicia propriamente intesa, corrispondente grosso modo all’odierno Libano, oltre che dal Mediterraneo a Ovest e dalle catene libanesi a Est, è racchiusa dalla città di Shukshu a nord e da quella di Acco a sud. In questa fascia lunga e stretta sono stanziati i principali insediamenti fenici. Da nord a sud: Arado, Rimira, Tripoli, Biblo, Berito, Sidone, Sarepta, Tiro, Akziv.

Le fonti e le vicende storiche nel loro complesso indicano che l’espansione fenicia ebbe inizio sul finire del XII secolo a.C. e si compì prima dell’avvento dei Greci nell’VIII secolo, distinguendo all’interno di questo periodo, il fenomeno della cosiddetta pre-colonizzazione dalla colonizzazione vera e propria. Uno degli stimoli maggiori all’irradiazione fenicea fu la ricerca dei metalli preziosi nei paesi dell’Occidente, in primo luogo in Spagna. Già da questo impulso è evidente che l’origine della colonizzazione risiede nell’economia, nello sforzo incontenibile e costante di cercare, oltre la madrepatria, ricchezze per la quotidiana esistenza. Tutto questo gli antichi compresero bene e Diodoro Siculo, ad esempio, dopo aver parlato dell’argento della Spagna e delle àncore pure d’argento, al posto di quelle usuali in piombo che i Fenici si sarebbero fabbricate per non rinunciare a nessun carico del prezioso metallo, così prosegue.”In tale maniera i fenici, dopo lunghi anni, acquistarono grande importanza tramite questo commercio e inviarono numerose colonie, le une in Sicilia e nelle isole vicine, le altre in Libia, Sardegna e Iberia”. E ancora: “I Fenici, che dai tempi antichi fecero incessanti viaggi a scopo commerciale, fondarono numerose colonie in Libia e altre, non meno numerose, nelle regioni dell’Europa che si trovano a Occidente. Riuscendo nei  loro progetti, accumularono grandi ricchezze e vollero navigare al di là delle colonne d’Ercole, sul mare chiamato Oceano”. In origine dunque, i fenici viaggiavano per il commercio; in seguito si diedero alla colonizzazione: senza il commercio non vi sarebbe stata nessuna colonizzazione e questa, sul primo si fonda, e di esso vive.
Sidonii e Tirii, soprattutto (basti pensare alle testimonianze bibliche sui viaggi di Hiram oltreché alla nascita di Cartagine), si diedero accanitamente al commercio e alla colonizzazione.
E’ possibile che, di quando in quando, altre necessità abbiano incoraggiato o costretto i Fenici ad affidarsi al mare. Questo almeno traspare da un passo di Quinto Qurzio, vissuto nel I secolo d.C.: “In ogni caso, le sue colonie (=le colonie di Tiro) si diffusero per il mondo intero: Cartagine in Africa, Tebe in Beozia, Cadice sull’Oceano. Ritengo che, poiché navigavano in mare aperto e poiché approdavano assai spesso su terre ignote ad altri popoli, i Tirii abbiano studiato con accortezza quali regioni potevano accogliere i loro figli così numerosi, o ancora, secondo un’altra teoria, il numero dei terremoti avrebbe colpito e fiaccato gli indigeni, costringendoli pertanto a cercare, opportunamente equipaggiati, dimore oltre la madre patria”.  Realtà? Fantasia? Di certo i Fenici lasciarono la Fenicia e percorsero il mare alla ricerca di nuove terre. Fattori geografici, storici, demografici intervennero congiuntamente ad avviare una grande e fantastica avventura: i Fenici si abbandonarono ad essa con coraggio e in breve tempo divennero, oltre che mercanti e pirati di fama, colonizzatori a largo raggio.

Fin dai tempi più antichi, dunque,  i Fenici affidarono se stessi e le loro mercanzie al mare. La conformazione della madre patria, i suoi eventi storici, la naturale propensione delle genti della costa ai viaggi e all’avventura furono le principali cause di questa migrazione.

Di tutte le isole colonizzate dai Fenici , la Sardegna è quella che meglio e più abbondantemente ha conservato testimonianze archeologiche fenicie. Tale situazione, determinata in gran parte dall’assenza di una colonizzazione greca (a differenza di quanto si verifica, per esempio, in Sicilia), supplisce alla carenza delle fonti classiche. In Sardegna, infatti, se le testimonianze degli autori classici sono rare e di difficile interpretazione, i dati archeologici sono abbondanti più che altrove, e chiaramente illuminano la storia e la cultura delle principali colonie.

Tra queste spiccano Cagliari, Nora, Bitia, S.Antioco (Sulcis), Tharros. Specie quest’ultima offre al visitatore un’immagine grandiosa e solenne. Gli scavi, in prossimità del mare, fondono in maniera suggestiva le bellezze del passato e quelle del presente. Tra le strutture principali va ricordato il tofet, oggetto di numerose campagne di scavi. Attraverso l’esemplificazione della Sicilia e della Sardegna, appare chiara l’importanza che l’apporto culturale fenicio riveste nei confronti della nostra stessa civiltà.

Bibliografia "I Fenici" di Giovanna Chiera - Club del Libro Fratelli Melita-

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Tutte le fotografie e tutte le elaborazioni grafiche sono protette dalle leggi vigenti
che tutelano il diritto d'autore.

FOTOGRAFI  Franco Fontana, Maurizio Galimberti, Anna Marceddu, Claudio Porcarelli

OGGETTI  di Giovanna Carrus, Maria Conte, Antonello Delogu, Inkoro, Pierlucio Lai,   Francesco Nioi, Massimo Soro, Terra Acqua e Fuoco, Terra Pintada, William Tomasi

Allestimento della mostra, riprese fotografiche,
elaborazione grafica delle immagini per Rosso Venexiano
a cura di Paolo Sprega

DATE DELL'EVENTO

CAGLIARI  16 Giugno-15 Luglio2007
                Cittadela dei Musei- Sala esposizioni temporanee-Università degli Studi di Cagliari

ALGHERO  15-30 Settembre 2007
Cavall Marì -Sala esposizioni temporanee -Comune di Alghero

BOLOGNA  4-15 Ottobre 2007
Complesso Monumenale San Giovanni in Monte
Alma Mater Studiorum -Università di Bologna

Seguiranno poi una serie di tappe internazionali, da stabilire.

Una produzione di Vittoria Cappelli srl - Bologna
Eikon snc -Nuoro
progetto e grafica Luigi Manca

Con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
e Regione Autonoma della Sardegna

 

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