Scritto da © Manuela Verbasi - Dom, 17/04/2011 - 13:50
© Daniele Del Rosso
INTRODUZIONE
Questo scritto vuole essere una analisi della poetica Canoviana attraverso la lettura di alcune opere fondamentali, quali l'Orfeo ed Euridice, Dedalo ed Icaro il monumento di Clemente XIV, Adone coronato da Venere e il Ritratto di Paolina Borghese. Considerando i due momenti piu' importanti per la sua formazione (primo periodo veneziano e periodo romano) esso tiene presente la ricerca personale del Canova,
dai primi momenti espressivi presenti nell'Orfeo ed Euridice, fino al tentativo di raggiungere il supremo equilibrio tra sensismo, (derivato dall'originaria visione arcadica della prima formazione veneziana) ed una nuova coscienza dell'arte (periodo romano) che attraverso la tormentata ricerca del razionale, lo porterà verso la sublimazione della forma.
PARTE PRIMA
L'analisi attenta delle opere di Canova ci rivela una complessità di atteggiamenti contrastanti. La sua è un arte tutt'altro che facile da delineare, tesa come'è in una sorta di dualismo, combattuto tra libertà creativa ed interpretativa, delicatezza di sentimenti e intuizioni profondamente romantiche e ricerca di un rigorismo formale scrupoloso, ispirato ai nuovi dogmi dell'arte neoclassica. Questa palese contraddizione, tra slancio iniziale e freno nella realizzazione dell'opera, va ricercato analizzando la sua complessa formazione umana e culturale. Il Canova nasce a Possagno nel 1757, a soli tre anni perde il padre (di professione scalpellino). La madre passa a seconde nozze e lascia il figlio alle cure del nonno paterno, dal carattere burbero e intransigente (anch'esso scalpellino e taglia pietre). Scrive il Cicognara, nella sua 'Biografia di Antonio Canova del 1823, che il nonno insegnò al nipote il «maneggio dei ferri in aiuto delle opere che venivagli affidate, cosicché il meccanico esercizio della mano crebbe del pari con lo sviluppo dell'ingegno». Pur iniziando anche prima dei dieci anni il faticoso mestiere del padre e del nonno, sappiamo, dalla monografia sul Canova del Malamani, che Antonio bambino si sentiva irresistibilmente attratto dal modellare con la creta piccole figure che gli attirarono fin dall' inizio i duri rimproveri del nonno e più tardi severe punizioni anche fisiche per quelle che il vecchio considerava inutili passatempi ma che dovevano risultare le sue primissime realizzazioni artistiche. Figurette che il piccolo Antonio regalava al figlio del suo futuro protettore il senatore Giovanni Falier. Queste notizie dataci dal Malamani sono precisi documenti biografici in quanto tratte da un passo delle 'Memorie di Antonio Canovà, scritte da Antonio D'Este, suo grande e fedele amico, dalle quali si deduce il rapporto difficile e sofferto tra la natura dolce e creativa del nipote e il carattere duro e intransigente del nonno: «Diceami in più incontri il buon Canova, che appunto allo strano temperamento dell'avolo, e non alla tenerezza di lui doveva ciò che era divenuto nell'arte, giacché quel suo umore bisbetico e stravagante, avevalo più volte ridotto a fuggire dalla casa paterna ed adattarsi a qualunque mestiere. Se non che le asprezze di Pasino giunsero a tale estremo, che il nipote ebbe più d'una volta la fantasia di gettarsi da una finestra». Rapporti che hanno senza dubbio provocato, nella sensibile natura del Canova, qualche trauma di natura psicologica che forse lo inibirono a manifestarsi liberamente e che costituiscono uno dei motivi del disagio creativo dell' opera dell'artista. Ospitato nella villa del senatore Falier, suo benefattore, Antonio si reca tutti i giorni a Pagnano nella bottega di Giuseppe Bernardi, (che fù discepolo di Gaspare Torretti ed è chiamato per questo 'Torrettì lui stesso) ad impararvi i primi rudimenti della scultura. è poco più che undicenne quando il 'Torrettìlo porta a Venezia nella sua bottega a Santa Marina, ed è dopo il lavoro di bottega che Antonio può andare ogni giorno a disegnare i calchi in gesso della galleria di Filippo Farsetti. Morto il 'Torrettì , il giovane rimane con il nipote di questi, come aiutante, ancora per un breve periodo. Nel frattempo, il nonno, resosi conto della sicura vocazione del nipote, vendette un campo per consentirgli di poter studiare almeno mezza giornata libero da impegni di lavoro. Oltre agli studi sui calchi di gesso, frequenta alla sera la scuola libera del nudo all'Accademia Veneziana dove rimarrà iscritto fino al 1776. Qui conosce e stringe amicizia con il pittore Giambattista Mengardi e lo scultore Antonio D'Este, quest'ultimo diventerà uno dei suoi amici più cari e sarà più tardi direttore del suo studio di Roma. Nel 1772 esegue per il senatore Falier due canestri di frutta, ma è con l'ordinazione fattagli sempre dal Falier, un anno dopo, di due statue dal vero, da scolpirsi in pietra di Vicenza e raffiguranti Orfeo e Euridice, che il Canova inizia alla sola età di 16 anni la sua vita di artista. Seguito da Antonio D'Este ritorna a Possagno dal nonno per dedicarsi a questo lavoro che sarà il primo serio tentativo di una sua definizione stilistica. L'opera, pur revocando numerose esperienze di altri artisti (Bernardi, Torretti e il Morlaiter) rivela una originale tensione formale e una atmosfera appassionata tipica dell'arte Canoviana. Il Canova prima di eseguirle fece una ricerca sulla 'Metamorfosì di Ovidio. Tale ricerca è provate da appunti, conservati presso i Falier a Venezia. Il passo che più lo ha colpito è quello in cui Ovidio descrive il distacco definitivo tra i due sposi: «E nonno era ormai lontani dalla superficie della terra; qui, temendo ch'ella si dilungasse, e desiderando guardarla, l'amante rivolse gli occhi; e subitamente ella ricadde in giù; tese le braccia e tentò di prendere ed essere presa, ma non strinse, ahimè, altro se non aria cedevole! Ne già, morendo la seconda volta, si lamentò ella del marito (e di che si sarebbe lamentata se non del suo amore per lei?), e gli disse l'ultimo 'addio!', che appena poteva giungere all'orecchio di lui, e di nuovo fu travolta là giù». Ed è proprio tenendo presente questo passo che egli ritrae Euridice, quando attratta dalla mano invincibile viene travolta giù nelle tenebre. La figura è composta secondo un movimento ancora Rococç e manierista. Il corpo femminile è studiato con un ingenuo entusiasmo e conserva il sapore delle cose scoperte per la prima volta. Orfeo viene eseguito alcuni anni dopo, e pur distanziato da Euridice conserva con essa una unitarietà sia formale che sentimentale. Egli è colto nel momento in cui voltandosi perde per sempre l'amata sposa. Il doloroso distacco è reso con grande armonia compositiva. L'istante sembra subblimato nel preciso momento della definitiva morte di Euridice. Il braccio destro, piegato ad angolo acuto isola il volto e isolandolo ne sottolinea la disperata desolazione. Tutta la figura è composta secondo una direttrice a spirale di ispirazione berniniana. Al ritmo chiuso della gambe e del braccio di destra, si contrappone il ritmo aperto della gambe e del braccio di sinistra. Questo tipo di composizione per linee e volumi contrapposti, tipicamente canoviano, appare realizzato in maniera esemplare nel gruppo di Dedalo e Icaro, considerato, comunemente il capolavoro giovanile del Canova. Le ispirazioni culturali di questa opera sono abbastanza evidenti; modelli tipicamente alessandrini per Dedalo e modelli prassitelici per Icaro, naturalmente assorbiti attraverso la cultura classica e naturalistica della Venezia del tempo. Il tema abbastanza frequente, nel Sei-Settecento, dell'accostamento del giovane e del vecchio sembra racchiudere il senso stesso della vita nel suo percorso terreno. L'evidente tensione psicologica tra Dedalo ed Icaro sembra avere un preciso riferimento autobiografico. Dedalo si identifica, per la sua espressione burbera, con la figura del nonno-padre ed Icaro con il Canova stesso. In Icaro è manifesto un senso di attrazione e un desiderio di allontanamento, come a voler fuggire un legame (sinboleggiato dal sottile filo di ferro che unisce le due figure) troppo opprimente. In quest'opera che fu eseguita per 300 zecchini, su commissione di Pietro Pisani, il Canova sperimentò per la prima volta il metodo della derivazione dal calco di gesso e vi raggiunse notevolissimi valori tecnici. Venne esposta alla fiera della Sensa e parte del guadagno permise all'artista di intraprendere il viaggio per Roma. Allo stesso periodo del gruppo di Dedalo ed Icaro, appartiene L'Apollo. Eseguito in terra cotta e alto 61 cm, esso ricorda Orfeo ma con un aria più ingenua e delicata tendente al grazioso, tipico della coltura anche letterale del tempo. La grande stagione della pittura veneta stava concludendo il suo ciclo e, nell'arco di una ventina d'anni, muoiono Piazzetta Tiepolo e Canaletto. Rimanevano il Guardi e i due Longhi con i quali il Canova, frequentando l'Accademia, viene in contatto. In questi anni di vita veneziana, la sua formazione, più che essere condizionata dai maestri dell'Accademia, tra i quali figurano Michele e Girolamo Morlaiter, sembra plasmarsi in una partecipazione istintiva alla cultura generale dell'epoca. Importante è l'influenza di Pietro Longhi per l'interesse che risvegliò in lui verso la cultura inglese. Ma fù certamente attratto anche dalla figura del Tiepolo e dalla pittura analitica e sottilmente poetica del Canaletto, la cui esperienza non poteva passare inosservata ad un Canova che per tutta la vita cercherà un incontro tra la sensibilità''' poetica e una ideologia astratta e formalistica. Molto amata dal Canova la musica di Vivaldi, che spesso sembra trasparire nelle forme e nel ritmo compositivo delle sue opere, sopra tutto nelle improvvisazioni e nei suoi bozzetti. La realtà del suo tempo, di quella Venezia così argutamente scrutata e mirabilmente descritta dal Goldoni e dal Longhi, Canova la rivela nei ritratti di Paolo Renier e di Giammatteo Amedei, dove il carattere dei personaggi e colto con forte realismo e sensibilità'', ma anche con un certo ironico distacco. All'ultimo periodo veneziano dell'artista appartengono due opere, Alvise Varese come Esculapio e il Marchese Giovanni Poleni, entrambe di chiara impronta classicheggiante (prima quindi, dei contatti diretti con il mondo romano e le teorie di Winkelmann). Esse indicano la presa di coscienza, da parte dell' artista, del problema di superare la forma del Rococò, e dell'arcaismo della scultura contemporanea, per quelle più severe, costruite secondo uno schema compositivo rigorosamente geometrico. Problema che a Venezia era ampliamente sentito e discusso nei vari strati culturali, soprattutto in campo architettonico dove il più autorevole teorico fu senz'altro Carlo Lodoli, il quale in senso innovatore, secondo lo spirito razionalista e illuminista del suo tempo: (valore del materiale, rifiuto dell'ornamento, importanza primaria delle strutture). Comunque la corrente culturale che si forma nell'ambiente veneziano è lontana dalle teorie winkelmanniana considerate troppo fredde e distaccate dalla realtà mentre è vicina al fenomeno del palladianesimo inglese. è in questo clima, pieno di fermenti illuministici, che il Canova crea le sue prime opere di impronta neoclassica. Egli, sempre pronto a cogliere le evoluzioni in atto e desideroso di adeguarvisi, si sente rinnovato interiormente. Comprende che bisogna seguire la naturale evoluzione delle forme seguendo i mutamenti della società. La statua del Marchese Giovanni Poleni iniziata nel 1779 pur avendo un atteggiamento classico nella figura presentata totalmente nuda nella parte superiore, conserva nel volto, realistico, una dignitosa grandezza umana. La statua di Valleresso dell 1778, forse più sciolta nell' impostazione, rivela anch'essa una contraddizione tra lo studio più idealizzato del corpo e il volto fortemente neoclassico. Considerate dall'artista opere stilisticamente non riuscite, esse comunque indicano un avvenuto rinnovamento interiore. Per chiarire l'orientamento, il gusto, dell'arte canoviana della prima fase Veneziana possiamo notare, nelle opere di maggiore impegno, un inclinazione ad accenti poetici, arcadici e palladiani; mentre, soprattutto nei ritratti, un acuto e talvolta ironico verismo. Verismo naturalistico che incide anche in opere di più grande impegno come Dedalo ed Icaro. E un arte complessa che affonda le radici nella sua natura dolce e solitaria a che riflette ampliamente l'ambiente culturale veneziano dal quale ha tratto le prime indicazioni
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