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Lacrimosa Velenosa e il Principe di Pocamemoria - Manuela Verbasi

 
Lacrimosa Velenosa, viveva in un paese sperduto in provincia di Vattelapesca. Era sempre molto affranta d'avere uno sguardo idiota, così piangeva e piangeva e per questo scriveva e scriveva; un po’ per sfogarsi, un po’ per farsi coccolare da chi leggendo il suo dolore, pensava fosse in serie difficoltà. Sembrava davvero soffrire all’inverosimile, e l’immagine che tutti avevano di lei nei primi tempi, appena conosciuta, era di una donna che nella vita, aveva sempre tutti contro (lei, così buona e volitiva… disponibile e gentile con quasi tutti, quasi sempre… com’era possibile?). Che ci fosse una quasi trappola?
I penitenti si flagellano a sangue nelle processione dei Battenti, lei lo faceva dall’alba all’alba successiva, ininterrottamente e non era nemmeno di Palermo.
 Il marito non la considerava, nemmeno le parlava se non per farsi passare il sale o avere un secondo piatto di minestra a cena. Così s’intratteneva con altri uomini, e faceva bene: tre uomini di adesso in contemporanea, valgono uno di quelli di una volta.
Ignari dell’esistenza l’un dell’altro, a lei si ispiravano per esplosioni erotico letterarie e non solo scritte.
Tre, numero perfetto, bastavano a far sentire Lacrimosa, desiderata e affascinante, (purché non si sapesse) e la coprivano di parole e gesta, a turni di otto ore, di mille attenzioni.
La letteratura italiana ancora ringrazia.
Lei di gioia, piangeva.
E non si seppe mai. (Almeno finché non esagerò con le sue scritture, e una vicina cattiva ma previdente, inviò in gran segreto al marito, copia delle lettere che aveva di Lacrimosa Velenosa, dove affermava di avere storie con vari Vattelapeschesi contemporaneamente ed era per quello che passava le notti sveglia e poi era stanca e collassava).
Soffriva di un morbo molto diffuso che aggiunge frenesia alla vita. Per dirla meglio, era iper[C]attiva con punte di eccesso che molto spesso le facevano fare duemila cose in poche ore. La fretta è cattiva consigliera, è un proverbio che dice una cosa giusta, per questo molte delle duemila cose fatte in poche ore, altri dovettero rifare in molte ore.
E non si seppe mai.
Qualcosa si.
Scriveva poesie, qualche filastrocca velenosa per sfogare le frustrazioni all’ennesima persona che come tutte quelle incontrate nella sua vita, l’avevano delusa togliendole di mano lo scettro appena consegnato, di un regno inesistente ma così splendente che la faceva apparire agli occhi dei Vattelapeschesi, un po' meno idiota di quanto in realtà sembrava. Un sacco di filastrocche disseminava a ben guardare, definivano un viale irto e con difficoltà a relazionarsi in maniera durevole.
Com’era possibile?
Non le restava che piangere.
Istituì un concorso, chiese a tutti, piangendo, di partecipare. Vinse lei il primo, il secondo ed il terzo premio. Il quarto non c’era altrimenti l'avrebbe vinto lei. Le sue poesie del resto erano le migliori del creato, ed erano dappertutto fosse possibile affiggerle. Lei stessa le sceglieva e le affiggeva nei posti di maggior passaggio, anche di minor passaggio, e di nessun passaggio.  Le cuciva ovunque passasse l'ago, le stirava sedendovici sopra per farle più lunghe possibile. Erano lunghissime e dispersive, molto noiose e facevano tagliare le vene dopo i primi tre versi. Una pandemia... il tema sempre lo stesso: auto afflizione interrotta da qualche orgasmo molto immaginato e caricato di quell'eros che avrebbe tanto voluto trasmettere ma non ce la faceva.
Ma lo stesso piangeva.
Non era la sola a scrivere filastrocche dedicate agli aguzzini di turno: si narra di un poveretto che lo fa tutt’oggi, tre volte al mese da anni ed anni. A lui, pubblicamente di poesia ne è stata dedicata una sola che io sappia, di un poeta napoletano e narra di uno stronzo arravugliato o arrovagliuto … non so.
Lacrimosa Velenosa, nei momenti di finta calma, scriveva volgarmente dando del tu ai destinatari delle sue libere interpretazioni delle gesta altrui, e lì usciva la lavandaia che c'era in lei, ma poi tentava in un italiano stentato e con qualche errore grammaticale, di darsi un tono, che era un mezzo tono e nessuno la prendeva sul serio. Cominciava a pensare che forse era lei ad avere qualcosa di strano… e non tutto il mondo ad avercela con lei. Ma chissà cos’era...
Il pensiero fu un lampo e se ne andò velocemente lontano da lei…
anche lui!
Un bel giorno, passò nel suo paese, in gita turistico-gastronomica, il principe di Pocamemoria, bellissimo per sua mamma, con un mantello a fiori grandi. Era altissimo levissimo e onestissimo, solo ricordava esclusivamente le cose che gli facevano comodo, rimuovendo completamente ogni sua infamità e goliardia (era solito rinchiudere le sue amanti in prigione nella torre più alta, per poi liberarle a piacimento e riprenderle con sé, se nella torre ci doveva mettere qualcun’altra, oppure diffamava i prodi cavalieri della tavola rotonda scrivendo cose pesanti di suo pugno,  in apposito blog, con riferimenti personali, nomi e cognomi  e gesta dei diffamati, per poi rimangiarsi tutto all’occorrenza e con loro far bisboccia, accusando la sacrificata di turno, rinchiudendola nella torre ora libera da streghe farlocche che lo avevano umiliato e deriso, delle stesse cose che faceva lui e di cui non si vergognava poiché non ricordava).
Giunse in groppa ad un mulo bianco (sembrava quasi un cavallo) che gli dava un’aria misteriosa e fascinosa. (Era il mulo quello che sembrava un cavallo, sia ben chiaro; non certo il Principe di Pocamemoria).
Lacrimosa Velenosa mise da parte la manciata di uomini di cui disponeva e anche il marito, senza nemmeno mandarli a farsi friggere, [mai lasciare il certo per l'incerto] andò sul mulo fiera ed impettita, innamoratasi all’istante del suo bel Principe e anche del mulo così ben fornito da madre natura.
Doveva decidere se amare il Principe o il Mulo. Dopo anni di astinenza reale e trombaggio virtuale, il mulo era il più papabile... e poi volete mettere lo scettro dell'uno e dell'altro?
Commossa, piangeva.
Tanto per cambiare…
Il Principe di Pocamemoria, la fece salire dietro perché lei era fradicia di lacrime e davanti avrebbe potuto, col vento in poppa, prendersi una brutta malattia e morire… ma era presto: la storia era appena cominciata e senza di lei lui non avrebbe potuto costruire il castello.
Ma anche perché era lui a comandare il mulo: o meglio, era lei che faceva tutto, ma non si doveva far sapere. Doveva essere visibile al mondo chi comandava, giacché lui, figlio di contadini analfabeti, era cresciuto a pane e cultura (campestre) ed era diventato di sangue blu a causa di una bestia mitologica con cui La Strega Farlocca (una delle amanti rinchiuse ermeticamente nella torre e poi liberate) gli aveva fatto un incantesimo. Era blu, blu dalla rabbia, quasi verde, anzi. a pois. Ma di colori ne aveva le gemme piene e non ne poteva parlar bene.
Il mulo era il clone di un cavallo di razza, e s’atteggiava come se cavallo, lo fosse veramente. Era palese che era un mulo, solo fingevano bellamente di non accorgersene, sperando non s'accorgesse nessuno. A rovinare tutto però ci pensarono i fiori e i piccoli animaletti del sentiero irto, che, sussurravano: «Sei un muloooo ... non sei un cavalloooooo ... rassegnati ...» e il Mulo, punto nell’amor proprio, prese a galoppare coi due sulla groppa. Galoppa, galoppa, galoppa, testardamente raggiunse un muretto e pensò di saltarlo …
Preso dall’entusiasmo spiccò un salto e superò il muretto, mentre Lacrimosa Velenosa prima divertita poi terrorizzata, stringeva gli zebedei flosci del principe temendo di essere disarcionata. Già era successo e non voleva assolutamente rischiare di perdere il posto. E piangeva.
Anche lui.
Giunsero al castello del Principe di Pocamemoria, egli infatti diceva a tutti che era suo, il castello, una copia americanizzata di un altro castello che aveva tanto amato, però somigliava molto, o almeno pareva a chi non ne conosceva la storia e lui disse che era suo, perché non si ricordava di aver copiato tutto, anche l'appello pro disastro naturale in due colonne, quando era ormai finita la ricostruzione (è il problema di chi copia, arrivare sempre dopo).
Scoprirono subito che Lacrimosa Velenosa aveva stretto troppo le piccole prugne per non cadere, dalla voce effeminata che aveva adottato il Principe … anche il mulo, bonariamente sorrise al poveretto. Le perle divennero gemme. I petali d'oriente, sempre gemme. E le copie sempre copie. Pure movies e Vernissage.
Passarono gli anni. 
Nel primo ebbero 4 figli clonati [si fa presto], poi sempre meno; «una scuadra!» disse fiero il Principe di Pocamemoria «si scrive con la q!» lo corresse Lacrimosa Velenosa, tenendogli amorevolmente lo scettro, ma lui non è che fosse grammaticamente carente, solo non ricordava che a scuola prendeva sempre brutti voti in italiano per via delle doppie soprattutto.
Nel secondo morì il mulo.
Poi ancora venne un forte temporale, tempestò per giorni sulla loro tenuta, grandine grossa come le palle del mulo morto, ed un lampo tremendo incendiò il fienile ed il castello andò rapidamente in fumo.
Nel terzo anno, dopo averli cercati per mari e per monti, li trovò il marito e con un pugnale dalla lama corta e seghettata, acquistato in una televendita, uccise Lacrimosa Velenosa che piangendo lo pregava: « nooooo ti pregoooo…. mio unico amore, nooooo».
Il marito non le parlò, come aveva sempre fatto.
«Invece si! Uccidila» tuonò il Principe di Pocamemoria, dimenticandosi di quanto l’aveva amata, «uccidila, dice in giro che mi rigira come le mutande!!!» toccandosi gli zebedei, ora gemme,  rivolto al marito stupefatto che ribattè:
«ma te sei proprio stronzo!» e uccise anche lui in due e due quattro, ma prima lei. Fine.
 

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a cura di Ezio Falcomer

♦Compagnia di teatro sul web Accademia dei Sensi♦

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