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La sposa che ardeva - Piero Marengo

Sembra che tutto fosse accaduto ieri, quella mattina di tanti anni fa, una mattina qualunque della mia esistenza grigia, quella mattinà che sancì ineluttabilmente l’incontro che ha mutato la mia vita in ogni senso possibile, dai miei pudori svelati ai nuovi colori che gli occhi miei ebbero contemplato, dal sapore delle giornate che perduravano fino al giorno dopo alla gloria maestosa dell’aurora che dava un segno diverso ad ogni nuovo giorno.   Tutto a me, Deva, figlia di quell’India che onora il maschio quando disonora una femmina, di un marito che rinnega la dote di una fanciulla di appena quindici anni per mandarla nell’oblio perenne.
E per cosa? Solo perché generavo figlie sventurate come me. Attendevo con ansia il verdetto quella mattina, mio padre il primo, il fratello di lui e mio marito, quando con forza inaudita mi portarono al centro della piazza della mia città, Calcutta. Io fanciulla dal destino infelice, al centro di sguardi sprezzanti, schiamazzi e risate, perché non ero una moglie convenevole al volere di mio marito. Mi sentii invasa da alcuni spruzzi di acqua purulenta che realizzai repentina fosse benzina. D’un tratto mi sentii avvampare, una fiamma mi stava lacerando la veste fino a raggiunger le carni. Subito un forte tanfo di carne bruciata s’alzò, non riuscivo ad urlare, non avevo la forza di respirare perché il calore mi stava soffocando. Udii delle urla gutturali, mentre perdo le forze stramazzando a peso morto: non riuscii a toccare terra, perché mi sentii avvolta da un qualcosa che non ravvisai, vidi completamente nero davanti a me e mi sentii adagiare per terra. Mi parve fosse scesa la notte, perché il buio nel quale m’era parso di vivere, era persistente.
"Sono morta!" - pensai, mentre intorno a me l’alterco aveva assunto toni altissimi. Non contai il tempo del mio buio, ma finalmente la luce apparve, tutto girava intorno a me fuorchè un immagine, la sola immagine nitida. Era un uomo bianco, dell’età di mio marito, che aveva uno sguardo diverso dagli altri asiatici, una intensità che mi colpì nonostante le mie ferite, un qualcosa che, tempo dopo, imparai a conoscerla: la dolcezza! Mi accarezzò teneramente, mi sembrò che in quel contatto, le sue mani si sciogliessero, lasciando tracce di un unguento miracoloso che leniva le mie ferite. Mi trasportarono in un ospedale, passato dalla bidonville alla zona più elegante e lussuosa di Calcutta. Lui era vicino a me che continuava a fissarmi con quel modo strano e inusuale, continuava a carezzarmi, ad allisciarmi i miei capelli intatti come la pelle del mio viso. Il tempo che per me fu interminabile, in realtà fu di qualche minuto che non bastò a farmi danni permanenti. Ebbi le cure necessarie, ma ciò che accelerò la mia guarigione, fu la vicinanza di quell’uomo bello, per me era bello perché bella fu la sua accortezza verso una derelitta come lo ero io. Vidi mio marito due volte, all’ospedale, ma non per trovare me. Discuteva con lui e un altro europeo, vidi una busta consegnata fra le sue mani e poi sparì per sempre. "Il mio nome è Crio!" - mi disse con una voce calda e deliziosa. Un suono che non avevo mai udito in vita mia, mi sembrava fosse uscito da un sogno. Mi dimisero dopo alcune settimane, senza che Crio si fosse spostato un solo istante dal mio capezzale. Mi faceva strada non distogliemdo il suo sguardo verso di me. Fuori vi sostava un’auto che ci stava aspettando. Sul sedile anteriore vi era seduto l’altro europeo che accennò ad un saluto con il capo. La macchina raggiunse l’aeroporto, c’imbarcammo e per tutto il tempo del viaggio che durò diverse ore, aspirai fortemente l’aria di libertà, fuori da quella galera che m’aveva violato la vita e la mia adolescenza. Quando facemmo scalo, Crio mi si avvicinò e con un gesto delicatissimo mi tolse lo chador affinchè i raggi del sole mi toccassero le guance i capelli. Mi accompagnò all’europeo, mi baciò la mano, fece un cenno con il capo all’altro e s’allontanò da me. Sei mesi trascorsero, cominciai a comprendere la lingua e a conoscere ciò che accadde in India: l’ingegnere Luca Fabrizi era per affari, a Calcutta, per esportare il prodotto di fabbrica, allorquando ilsuo segretario, una mattina qualsiasi, fu spettatore di quella violenza accorrendo a mio favore. Non lo vidi più fintantochè una sera, presi l’abitudine di affacciarmi alla finestra della mia camera, quando un nibbio si posò sul parapetto di marmo: era carino e subito m’accorsi che aveva accartocciato qualcosa al collo. Era un foglio e vi era scritto: Se i cieli fossero finiti, non riuscirebbero a contenere l’alma mia che freme per te… Io, studiando la Dickinson già da giorni, ero rimasta affascinata dalla sua poetica. Risposi: … ma proprio nella loro infinità, che tutto si compie in una carezza… Attesi la sera successiva ed ecco che il nibbio ritornò. Lessi il messaggio: … o in un bacio che sfiora lo spiegabile per abbracciare l’eterno di noi due insieme… Io, febbricitante, risposi: … e poter intrecciare lo sguardo e la bocca, gli occhi e le labbra, le mani e le ali per volare… Non li ho mai contate quei messaggi: da quel giorno in poi, due amanti silenziosi non ebbero mai il coraggio di esprimerselo a voce, mentre in tutti questi anni, il mio matrimonio, i miei figli, le mie gioie e i miei dolori si consumavano rapidamente in visioni ad occhi aperti e pensieri incessanti. In silenzio ancora giunse il mio verdetto, che ancora adesso sul letto del dolore, la mia verità tace raccolta nei meandri del mio cuore consunto. "Avverti Crio!" - dissi un pomeriggio a mia figlia. Lui mi raggiunse in ospedale, aveva atteso tutto il giorno che mi riprendessi dopo la chemio, anche quella volta aprii gli occhi dal mio buio e vidi il suo sguardo diverso puntato verso di me. Come vent’anni prima, quando la piccola Deva era la sposa che ardeva di un fuoco che si spense subito, adesso la Deva adulta è ancora quella sposa, che arde ma di un fuoco instinguibile. Fu così che gli dissi, e lui: "Io non sono più quell’uomo che t’ha lanciato la coperta per spegnere il fuoco…" Mi sentii morire per la prima volta. Lui prese la mia mano avvicinandosi alla mia bocca tremolante: "…  sono colui che ti farà ardere per sempre, stavolta. Del mio amore che incontrò il tuo, per divampare da ora e sempre."

Dal 1961, in India, è stato vietato dalla legge questo tipo di pratiche, anche se ancora oggi, nel 2009, migliaia di donne come me rimangono gravemente ustionate (le più fortunate!) mentre sia la forza pubblica che la magistratura volgono lo sguardo verso un’altra riva, padroni di quel grande  e inscandagliabile fiume che qualche anima umana la chiama indifferenza!

Piero Marengo


 

-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano -Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi -Supervisione Paolo Rafficoni -Racconto di Piero Marengo -tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto

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