Si parlerà di “Regole e Rispetto” giovedì alle 20.30 al Centro Trevi di Bolzano su iniziativa del Servizio Giovani – assessorato alla Cultura della Provincia, con un relatore d’eccezione: Gherardo Colombo, ex magistrato ed ex consigliere presso la Corte di cassazione. Nel 2007, a quindici anni dall’inizio di Tangentopoli, si è dimesso dalla magistratura, uno dei protagonisti, con Antonio Di Pietro, e Saverio Borrelli del Tribunale di Milano che ha dato il via a “Mani pulite, l’inchiesta giudiziaria contro la corruzione del mondo politico e finanziario negli anni ’90. Insieme a Colombo che parlerà sul tema delle “Regole della nostra Costituzione”, ci sarà il senatore Oskar Peterlini (“lo sviluppo federale in Italia e i riflessi sulle Regioni e le autonomie speciali”), Cuno Tarfusser, Procuratore capo del Tribunale di Bolzano (“come opera la Magistratura? La situazione in Alto Adige”), Edoardo Mori magistrato del Tribunale di Bolzano (“la Costituzione italiana e la guerra”). Colombo è l’autore del libro “Sulle Regole” edito dalla Serie Bianca Feltrinelli, giunto alla quarta edizione nel mese di giugno scorso. Un testo che parla di come “la giustizia, non può funzionare se il rapporto tra i cittadini e le regole è malato, sofferto, segnato dall’incomunicabilità. La giustizia non può funzionare se i cittadini non comprendono il perché delle regole”. Un incipit che sta alla base di una lunga riflessione sulla cultura della giustizia e sul senso delle regole, di un uomo che per trentadue anni ha lavorato in magistratura, dove ha condotto inchieste celebri come la scoperta della Loggia P2, il delitto Ambrosoli, i processi Imi-Sir, Lodo Mondatori, Sme. È stato consulente per la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia. Dal 1989 ha ricoperto il ruolo di pubblico ministero alla Procura della Repubblica di Milano. “Senza rispetto delle regole non potremmo vivere in società – ammonisce l’autore – e senza una discussione pubblica sulle ragioni delle regole, la vita in società non saprebbe proiettarsi verso il futuro e immaginare forme migliori di convivenza”. Colombo analizza nel suo libro i diversi modelli di società, quelli “verticali basati sulla gerarchia e competizione, e quelli orizzontali, più rispettosi della persona e orientati al riconoscimento dell’altro”. Argomento che porta dritto verso la Dichiarazione universale dei diritti umani e della Costituzione Italiana. Prima delle sue tre conferenze che terrà a Bolzano, ci ha rilasciato un’intervista. Nel suo libro afferma di essersi dimesso per l’impossibilità di contribuire a rendere l’amministrazione della giustizia meno peggio di quello che è. Ci spiega perché l’ha fatto e come giudica gli italiani rispetto l’osservanza della legalità, dei valori che stanno alla base delle regole? “Mi sono dimesso perché era necessario qualcosa di diverso. I cittadini nei confronti del prossimo, degli altri, non hanno un buon rapporto. Le cause sono da ricercarsi indietro nel tempo. Il problema è che se le regole sono viste come qualcosa d’utile per se stessi, allora vanno bene. Se creano problemi allora, si eludono!Le istituzioni sono viste come un avversario, non come una conseguenza dello stare insieme. L’Italia è uno stato relativamente giovane - non ha nemmeno 150 anni - mentre altre nazioni europee hanno un alto senso dello Stato, cosa che da noi è molto carente”. Lei spiega che la giustizia non può funzionare se i cittadini non comprendono il perché delle regole. Cosa significa? “Prima della creazione dello Stato italiano c’erano molte denominazioni straniere. Questo spiega la diffidenza che gli italiani hanno verso le regole, in passato la popolazione sentiva come nemici i rappresentanti d’altri stati stranieri. C’è anche un’altra causa che spiega l'atteggiamento negativo verso le regole: siamo un paese cattolico dove ha sede il Vaticano e questo ha portato ad un malinteso. Una forma d’assenso del perdono. Si possono non osservare delle regole che tanto c’è sempre il rimedio. Il perdono. Un malinteso. L’Italia non è stata toccata dalla Riforma nella quale si affrontavano argomenti attinenti al problema che ora discutiamo. I cittadini sono in questa relazione, i primi a trasgredire le regole. La prima causa è l’insofferenza nei confronti delle regole”. C’entra magari la politica che non dà il buon esempio e non opera per migliorare la società? “Mi stupirei se la politica trovasse dei rimedi. I politici sono l’espressione della cittadinanza, sono eletti in base alla volontà espressa dal voto e quindi hanno in comune lo stesso pensiero. Qualsiasi categoria è espressa da un pensiero che gli accomuna. Si è originato un fraintendimento nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni, si pensa che non via sia una relazione diretta con i cittadini. Le responsabilità sono della scuola e non degli insegnanti, della giustizia e non della magistratura, della sanità e non dei singoli medici. Questo scaricare la responsabilità denota un’incapacità che ha origine a livello culturale”. Sempre nel suo libro sostiene che in una democrazia parlamentare, una legge è giusta, quando è emanata dal parlamento. Vengono in mente le tanto discusse leggi ad personam. In questo caso è una mancanza di democrazia parlamentare? “Anche nel caso delle leggi ad personam, il legislatore deve rispettare la Costituzione vigente, nessuna legge può contrastarla. C’è poi la Corte costituzionale che ha potere di controllo e il parlamento è vincolato a questo”.Ma la giustizia non dovrebbe essere uguale per tutti? C’è un senso diffuso di sfiducia nella popolazione a riguardo.“Io sostengo che la legge per essere effettiva, deve essere applicata. I cittadini altrimenti fanno altro e hai voglia poi di dirlo che la legge è uguale per tutti. Nel mio libro parlo di società verticale dove impera il potere gerarchico, un segnale del fenomeno della condivisione generalizzata della cultura della società verticale è la relazione che la cittadinanza instaura con le istituzioni, spesso caratterizzata dalla convinzione d’essere ancora dei sudditi. Quando permane questa verticalità e la gerarchia, il cittadino vede l’istituzione come espressione del potere arbitrario, invece che l’esercizio di una funzione di servizio. Il potere arbitrario può fare quel che vuole. Il cittadino deve sottostare”.Viene da pensare che da Mani Pulite non sia sortito nessun effetto. Non è cambiato nulla d’allora?“Dalle notizie sui giornali sembra proprio di no. L’eredità dopo Mani Pulite ha a che fare con le prescrizioni, sono cambiate le leggi. Molte sentenze dopo il primo e secondo grado di condanna sono state ribaltate in assoluzioni. È venuto a mancare il reato per prescrizioni. Le procedure non hanno più consentito di acquisire le prove. È finito tutto, quando i cittadini si sono identificati nei personaggi coinvolti nelle indagini. Prima erano tutti felici, sopra le righe nel vedere coinvolti molti politici ma man mano che le indagini andavano avanti e si toccavano i cittadini comuni, la gente si è allontanata, almeno una fetta della cittadinanza nel suo complesso. C’è stato un rifiuto totale e le prove non sono più arrivate. Le prove si acquisiscono tramite le dichiarazioni e i documenti”.Lei ora parla nelle scuole e tra i giovani. Che valutazioni trae da questi incontri?“Molto positive. I giovani dimostrano molto interesse, si fanno coinvolgere e chiedono di parlare di questi argomenti. Siamo sulla strada giusta, ma il convincimento generale non è così immediato, non è automatico, ma c’è molta voglia di sentire e di essere stimolati. Quello che manca secondo me è la comunicazione del coinvolgimento, della curiosità”. di Roberto Rinaldi |
Gherardo Colombo, magistrato del pool "Mani Pulite" di Milano, che all'inizio degli Novanta avviò le inchieste di Tangentopol
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-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: P. Rafficoni
-Supervisione: Manuela Verbasi
-Artista intervistato: Gherardo Colombo
-Recensione ed intervista: Roberto Rinaldi
-Editing: Emy Coratti, M. Verbasi
-tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto
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