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Giuseppe Ayala racconta Falcone e Borsellino

Interviste:
Giuseppe Ayala racconta Falcone e Borsellino
di Roberto Rinaldi

il giudice Ayala

Il magistrato GIUSEPPE AYALA RACCONTA FALCONE e BORSELLINO
<<SONO UN SOPRAVVISUTO>> 
<<È bello morire per ciò in cui si crede;chi ha paura muore ogni giorno,chi non ha paura muore una volta sola.>>
Paolo Borsellino

falcone_borsellino[1]
 
Nell’estate 1992 due esplosioni d’enorme potenza annientarono la vita di tre magistrati: Giovanni Falcone sua moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e quella di otto uomini che avevano il compito di scortarli. La mafia siciliana aveva deciso di eliminare per sempre chi aveva messo al servizio dello Stato la propria vita. Due giudici del pool antimafia del Tribunale di Palermo, simboli della lotta alla mafia e dell’Italia onesta, eroi di una stagione di straordinario successo nella lotta alla criminalità organizzata. Giuseppe Ayala in quegli anni faceva parte del pool di magistrati dove rappresentava la pubblica accusa al primo maxiprocesso terminato con successo per le condanne inflitte a mafiosi. Una storia dolorosa, vissuta in prima persona e raccontata in libro scritto da Ayala: “Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino”, edito da Mondadori. L’autore lo presenta venerdì alle 18, nell’auditorium del Cfp di via Santa Geltrud a Bolzano, per “l’incontro con l’autore”, organizzato dalla Biblioteca della Ripartizione 21. Il magistrato sarà introdotto da Barbara Repetto con la partecipazione del questore Piero Innocente e di Cuno Tarfusser, procuratore capo del Tribunale. “Qualcuno ha scritto che, dopo più 15 anni da quel tremendo 1992 - “Ayala ha ormai pagato il torto di essere rimasto vivo”- .Spero abbia ragione”, è il pensiero che lo stesso giudice dice di se stesso e anche per questo ha deciso di raccontare la sua verità su quanto vissuto al fianco dei due giudici assassinati brutalmente. Non solo attraverso la lotta alla mafia, le riflessioni ancora attuali sulla Sicilia d’oggi, la giustizia e la politica (Ayala è stato deputato e senatore per quattro legislature e sottosegretario alla Giustizia fino al 2000), ma anche i ricordi felici, la gioia di vivere, la loro travolgente ironia, le passioni civili e private. Il titolo del libro è tratto da una frase di Borsellino: “E’ bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”, parole parafrasate da una commedia scritta da Shakespeare:“Giulio Cesare”. La morte è qualcosa che Ayala ha toccato con mano, soffrendo per la perdita di amici cari, combattendo tutti i giorni la paura. “Per non dimenticare i colleghi ma anche amici del cuore”.Gli abbiamo chiesto di anticiparci qualche riflessione.
 
                                                                                

 libro Ayala

                                                                       
Lei racconta che doveva essere su l’aereo che riportava Falcone e sua moglie a Palermo il 22 maggio 1992. E poi sull’auto che è saltata in aria a Capaci. Invece cosa accadde?
“Sono vivo perchè rifiutai l’invito di Giovanni, solo perchè sua moglie Francesca, ritardò la partenza a sabato sera per ritornare a Roma lunedì mattina. Dissi loro che preferivo restare nella capitale. Alle 17.59 di quel sabato cinquecento chili di tritolo fecero scempio di cinque vite e della dignità dell’Italia. Io fui anche il primo ad arrivare sul luogo dell’attentato a Borsellino. Un boato e un’enorme nube nera. Quello che vidi non potrò mai dimenticarlo. Inciampai in un tronco d’uomo bruciato. Era quello che restava di Paolo. Fui il primo a vederlo così. Sarò l’ultimo a dimenticarlo. Ci sono cose che ci mettono alla prova e non puoi più dimenticare”.
Come ha fatto a sopportare tutto ciò. Non ha rischiato di impazzire per il dolore?
“Grazie all’impegno politico e a ciò che mi disse una volta Falcone: attenti a non cadere nella sindrome del reduce! Non sono impazzito e ho seguito questo monito per guardare avanti. Ho un ottimo sistema nervoso”.
Dopo l’assassinio del generale Dalla Chiesa e di sua moglie qualcuno scrisse: “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”. E’ ancora attuale?
“Non credo. Sono ottimista. Ci sono delle novità come quella degli imprenditori che si stanno ribellando al pizzo. Sono incoraggiati nuovi investimenti, la Confindustria ha creato l’associazione Addio Pizzo, c’è il volontariato. La speranza è legittima. Spero di avere ancora vita per vedere risolto il problema in modo politico. Il problema è quello delle collusioni, una patologia italica, mentre nella società di noi cittadini ci sono segnali incoraggianti. Non c’è solo rassegnazione”.
Colpisce leggendo nel suo libro come Falcone e Borsellino avevano già intuito la loro fine, anticipando cosa sarebbe successo. Lei cita anche la moglie di Borsellino Eppure non smisero di lottare contro la mafia.
“Avevamo una tesi a riguardo, Fino a che non sarebbe terminato il maxiprocesso a noi tre non ci ammazzavano. Lo avevamo pensato autonomamente l’uno dall’altro. Dopo le condanne inflitte Borsellino affermò che la nostra polizza dell’assicurazione sulla vita era scaduta e Falcone: ora può succedere di tutto. Io ho sempre sostenuto che potevamo essere assassinati solo a Palermo. Paolo e Giovanni avevano un amore per la propria terra a cui non volevano rinunciare. Agnese Borsellino ha detto:Paolo cominciò a morire quando morì Giovanni, come due canarini che difficilmente sopravvivono a lungo l’uno alla morte dell’altro. Nino Caponetto (procuratore capo a Firenze e poi a Palermo ndr) mi pregò di andare a trovare Paolo. Quando ci andai mi disse una frase che feci finta di non capire: Giuseppe, non posso lavorare meno. Mi resta poco tempo” .
Magistrati simboli, eroi dello Stato. Dopo tanti anni c’è il rischio ora di dimenticarli?
“Non penso. Sono ancora nella mente di molti italiani. Certo lo Stato si ricorda di loro due volte l’anno il 23 maggio e il 19 luglio e poi basta. Sono date che evocano le coscienze sporche. Io mi sono sempre battuto di tramandare la loro memoria attraverso la mia esperienza parlamentare. Purtroppo si è dimenticato un altro magistrato. Rosario Livatino”.
Chi invece accusa di “disattenzione” è Luciano Violante che ha definito “gli anni della disattenzione” quelli che precedettero la morte di Falcone e Borsellino e che seguirono agli omicidi La Torre e Dalla Chiesa. Lei risponde che è falso.
“Ha dell’incredibile. Mi ha stupito che Violante dica questo nel suo libro. E’ di una gravità cinica affermare questo. Ricordo che Violante era, invece, molto attento, presente, capace. Pesa caso mai sulla sua coscienza quello che pensava il suo partito, quando era contro Falcone e preferiva Cordova. Ci sono documenti ufficiali che testimoniano l’isolamento progressivo che il Consiglio Superiore della Magistratura conduceva contro Paolo e Giovanni. Violante afferma che la lotta alla mafia aveva andamento ciclico. Accusa di disattenzione fino all’omicidio La Torre e Dalla Chiesa nel 1992. Lui invece veniva a Palermo anche dopo la nomina al suo posto di Cesare Salvi e s’incontrava con Falcone. E’ un monumento all’ipocrisia ciò che ha scritto”.
Dopo la fase di parlamentare è tornato in magistratura. Ora è all’Aquila. Come ha trovato lo stato di salute della Giustizia?
“Come dopo che avevano disgregato il pool antimafia. Ho trovato le cose peggiorate, ma io non mi sento sconfitto e la mia coscienza è a posto. Sono convinto, però, che a nessun governo interessi veramente il problema della Giustizia”.
E della riforma annunciata dal governo Berlusconi cosa pensa? Crede anche lei nel grido d’allarme dell’Associazione nazionale magistrati preoccupata per un ritorno del fascismo?
“ La riforma non la conosco per il semplice motivo che non è stata divulgata ancora. Ci sono dei punti annunciati come la separazione delle carriere. Se sarà pensata in termini di moderazione nel merito, per me va bene. Falcone 20 anni fa mi diceva che bisognava occuparsene. Non condivo per niente l’allarme sul fascismo. E’ una pregiudiziale basata sull’ignoranza di ciò che non si conosce ancora. Aspettiamo di leggerla e poi la possiamo discutere serenamente”.
Pubblicato sul quotidiano ALTO ADIGE. Bolzano

 


 
 

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