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Incantesimi Lab - Lezione 11

La scomposizione del significato

denotazione e connotazione

Il significato delle parole è qualcosa di più complesso di quello che potrebbe sembrare a prima vista.

In generale, possiamo affermare che il significato di una parola è formato da una parte comune a tutti quelli che la usano e da una parte legata alle esperienze, sensazioni, ricordi di ciascuno.
La parola gatto rimanda a un animale felino domestico. Questa informazione vale per tutti quelli che parlano l'italiano, fa capire "quello di cui si parla": è la parte referenziale del significato o denotazione o significato denotativo.
Ma la stessa parola può richiamare a persone diverse valutazioni anche opposte: a chi ama i gatti verrà in mente morbido, tenero, affettuoso, simpatico, indipendente; a chi invece non li apprezza verrà in mente graffiante, egoista, falso, che fa venire le allergie. Questa parte del significato, che richiama atteggiamenti o informazioni particolari è la parte connotativa del significato o connotazione, o significato connotativo.

Una parola può connotare:

  • l'atteggiamento di chi la usa nei confronti di ciò a cui si riferisce: positivo, negativo, affettuoso, di spregio ..., come gatto/micio (connotazione di atteggiamento affettuoso);
  • la zona geografica da cui proviene chi la usa, come babbo/papà (chi usa babbo proviene probabilmente dall'Italia centrale o dalla sardegna);
  • la formalità o la familiarità del tipo di linguaggio, come villoso/peloso (il primo aggettivo connota un linguaggio formale, il secondo un linguaggiuo familiare).

Nel significato di ogni parola del linguaggio comune c'è sia la parte denotativa sia la parte connotativa: tuttavia in alcune parole prevale l'area denotativa, in altre quella connotativa. Gatto e micio rimandano alla stessa informazione (felino domestico), ma in gatto prevale l'aspetto denotativo, di informazione su quello di cui si parla, referenziale; in micio prevale l'aspetto connotativo. Micio difatti richiama alla mente non solo il felino domestico, ma anche l'affetto e la simpatia che chi usa quella parola sembra provare per il gatto.
Questo è il motivo per cui non esistono sinonimi assolutamente perfetti, ma "parole che hanno quasi lo stesso significato", come mamma/madre, sbrigarsi/affrettarsi, abbacchiato/abbattuto.

ATTENZIONE: I termini tecnici e scientifici e quelli specialistici di una disciplina hanno soltanto l'aspetto denotativo. Il loro significato è quindi chiaro e preciso, non lascia spazio a interpretazioni personali, è un significato univoco.

Livello denotativo
Si definisce dunque livello denotativo il più elementare valore informativo di una parola (o di una frase); se non conosciamo questo valore, cioè se non conosciamo "il significato" di un termine, non siamo in grado di continuare la comunicazione linguistica.
Col livello denotativo però non abbiamo esaurito tutta la ricchezza di significato di una parola o di una frase.
Facciamo un esempio.

Quattro materie di scuola
di Roberto Piumini

Che cos'è la geografia?
La geografia
è dove stanno gli amici,
le strade per le bici,
i posti felici.

Che cos'è la storia?
La storia
sono i giochi di ieri,
i ricordi leggeri
lasciati sui sentieri.

Che cos'è la grammatica?
La grammatica
è fare filastrocche,
far festa con le bocche
senza sentirsi sciocchi.

Che cos'è l'aritmetica?
L'aritmetica
siamo io più te più tutti
i belli insieme ai brutti,
le radici più le foglie più i frutti.

Esaminiamo la parola "bocche"  (terza strofa, quarto verso). Senza dubbio per capire questa strofa è indispensabile conoscere il valore denotativo della parola "bocca": se il lettore crede che la bocca sia sede del senso dell'olfatto oppure confonde "bocche" con "brocche", è evidente che non capirà molto bene la poesia.
Però il valore denotativo non dice tutto su quella parola. La parola "bocca", e tanto più il plurale "bocche" che troviamo nel testo, non ci fa venire in mente solo una parte anatomica del corpo umano: ma pensiamo a uomini (o bambini ...) allegri, pieni di gioia di vivere; ci immaginiamo bocche sorridenti, voci cristalline, persone che vogliono divertirsi insieme, comunicare e ascoltarsi l'un l'altra. Insomma la parola rivela tutta una serie di significati che si aggiungono a quello del livello denotativo.

Livello connotativo
Si definisce allora livello connotativo quel "sovrappiù" di senso, quel significato aggiuntivo che arricchisce una parola o un'espressione. E' proprio nella poesia che il valore connotativo delle parole è più forte. Le parole della poesia cioè tendono a non fermarsi al loro semplice significato "letterale": esse rimandano ad altri significati, suscitano sentimenti, evocano ricordi.
Facciamo un esempio.
La bella addormentata
di Ugo Betti

Nella foresta il Principe si duole
perché la bella non può risvegliare.
L'ha ritrovata, dopo assai chiamare,
bianca in un letto d'oscure viole:
quivi dorme; da sposa è la sua vesta,
mormora, sopra, la nera foresta.

Le dame, a due a due, timidamente,
le portan veli confetti orecchini,
lasciano tutto, piano, ai suoi piedini,
tirando un poco la gonna splendente ...

E i moretti le fan la pantomima.
Quindi, tutti per mano, alzano un coro.
Cantano: - Perché dormi, Chiomadoro? -
Ma ruba il vento la voce argentina.

Allora al suono dell'alte campane,
viene a chiamarla il Re con la Regina;
il vescovo le parla alla latina,
le butta il sole tremule collane.

Ma il sole scende, si leva la bruma
argentea, rabescata d'usignoli,
poi sopra i golfi tramonta la luna,
gli innamorati rimangono soli ...
Ella che dorme, lui che si dispera,
mormora, mormora la foresta nera.

Prendiamo l'aggettivo "nera" presente due volte nella poesia. La "nera foresta" che ci si presenta davanti agli occhi non è solo un bosco dal colore particolarmente scuro (livello denotativo): essa è anche e soprattutto un luogo pauroso, inquietante, misterioso. L'aggettivo assume qui tutta una serie di significati che vanno ben oltre quello letterale. Se notiamo poi che Chiomadoro è definita "bianca", è evidente che l'aggettivo "nera" assume, per contrasto, ancora un altro valore connotativo.

Stesso discorso possiamo fare per la parola "leone" nell'omonima poesia di Roald Dahl, una poesia insolita, in forma di favola, in cui infatti troviamo un animale parlante e, soprattutto, l'umorismo ironico e un po' cattivo che ha reso famoso l'autore.

Oh, tanta, rossa e tenera carne:
sempre il leone vorrebbe mangiarne!
"Qual è" gli chiedi, "la carne più buona?"
"Non è l'arrosto d'agnello!" lui tuona.
"Prosciutto al forno o vacca stufata?
Le costolette, o la carne tritata?
Salsiccia? Pollo? Forse il montone?"
"Non sono questi!" ruggisce il Leone.
"Ma dimmi, allora, cos'è che ti piace?
Forse una grossa bistecca alla brace?
Forse, Leone, potresti gustare
coniglio, o lepre: non vuoi provare?"
Scuote il testone il Leone ridendo,
poi vien vicino e ti dice, tremendo:
"Sai quale carne mi piace di più?
Non le bistecche o ll'arrosto, ma tu!"

Il leone qui non è visto solo come una particolare varietà zoologica, ma diventa il simbolo della violenza, dell'enorme e del mostruoso contrapposti alla piccolezza indifesa dell'uomo.

 

Maila Meini

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