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Il richiamo dell’Aquilegia

* l'immagine è di Olga Lavrenkov

Il richiamo dell’Aquilegia
di Greta Rossogeranio

 
Ho captato la moda del neon semispento lungo i vicoli della città, che effondono bagliori cosmetici sulle trame e le leggende che animano questo mio quartiere, l’Abissinia.
Con gli occhi iniettati di verde smeraldo e l’anima furtiva, ho adeguato il mio sentimento inusuale appoggiato agli svaghi della vita, figura ballerina dalle unghie di miele, gatta selvatica e notturna dagli arpeggi alla luna.
Ma il miracolo langue e decolora la strada.
Seguo la triste melodia fluente di un vecchio sax e lo vedo rannicchiato in un angolo tra sciupati giornali.

Travestito di verità, lo osservo a lungo, istigata per l’inedito realistico.
Barba incolta, cappotto scolorito, unghie lunghe.
 
“Perché stai qui?”domando.
“Cara Amica, non cercare l’opuscolo completo dei tanti tasselli di sventura.
Tu lo sai: la carne chiama la carne”…
 
…Lei era arrivata in Riviera tanto tempo fa.
Non aveva ancora diciotto anni ed era decisa a restare un solo periodo, la solita stagione di passaggio.
Lui ne rimase rapito, sin dal primo istante, assaporando le guance rosee e la sua carne tenera, che presagiva l’iniziazione.
 
Il Night Club era affollato di gente rabbiosa quella sera, scorrevano fiumi d’alcool e la musica incedeva a ritmo frenetico e assordante.
La fantasmagoria delle luci colorate dal soffitto, accendeva ogni fantasia e sballo.
Quando la vide, lei era appoggiata alla colonna del bar.
Stava bevendo un Lola Cocktail e lo stava fissando con un cono d’occhio liquido e concupiscente.
 
Tra loro rimaneva quella sorta di magico spazio, che lui desiderò subito coprire e affrettò il passo, per raggiungerla in un istante.
Gli prese una sensazione euforica, di potere presto comunicare con il suo corpo, con il viso e con la mente.
Le gambe tornite e snelle attirarono la sua attenzione.
Sembravano vibrare un’energia repressa in quella condizione di riposo.
Aveva arti lunghi come un cavallo da corsa, che lui già vedeva avvinghiati al suo collo.
 
Guardarla e decidere di possederla fu un’unica idea.
 
“Andiamo da me” gli sussurrò in contemplazione rapita.
 
Per le strade oramai non c’era più nessuno.
Intorno a loro stralci di carta scura, si ergevano come linee negative, a disegnare i palazzi maestosi del centro storico.
 
Nell’ingresso del fatiscente condominio, sotto il fascio patetico di una sola luce che illuminava i gradini, lei si voltò verso di lui e lasciò cadere l’impermeabile.
Rimase quasi nuda, fatta eccezione delle calze autoreggenti e del corsettino di raso nero che, con un’esibizione d’insuperabile sapienza erotica, si stava slacciando da solo, in seguito all’impercettibile movimento.
 
Era come se avessero previsto tutto; quella era la loro sera.
 
Lei gli si contorceva addosso, non mostrando alcuna sorpresa di fronte all’arrembaggio.
Lui la caricò sulle spalle e finalmente entrarono nell’appartamento.
 
Stava lì, semivestita, con uno sconosciuto qualsiasi di cui sapeva solo il nome che gli aveva voluto raccontare.
 
Sentiva tutta la mortale attrazione della caduta e con la lingua scottante, lo baciò.
Con un respiro affannoso concentrò la sua esistenza unicamente sull’erezione.
Per lei non era altro che un cazzo su cui avventarsi, un solido uccello da rapinare.
Rimasero così: occhi negli occhi.
 
Lui aveva l’impressione che il suo desiderio intimo poteva a breve, strapparle la pelle. La vista di quel corpo fresco e denudato gli faceva l’effetto di un chiodo inserito nelle viscere ed a stento si manteneva lucido. 
Il suo membro sgusciò eretto sotto il pelo inanellato, in rilievo tra le cosce tornite.

“E’ mia”, pensò.
Cercò di coincidere la traiettoria del lancio alla ricerca del reciproco annientamento.
 
Lei si sentiva padrona di se stessa dinnanzi a quella macchina che odorava di favoloso.
Volle menarlo fino al limite della sua forza, benedicendo quel polso piccolo che scivolava subdolamente sulla griglia del corpo e s’espandeva in forza e dominio.
 
Non servirono oggetti scenici ed accessori, l’innocente Angelo si trasformò in Demonio e si perpetuò in una sborrata di linfa, Luce e Passione.
 
Alla fine lui la voltò come una carta da gioco per maneggiarla a suo piacimento e lei  diede tutto: le sue mani per strofinarsi addosso, i suoi piedi per camminarci sopra, i suoi buchi per turarla ovunque. Il delirio dell’abbraccio, per masturbarsi dentro.

 
Poi l’aveva convinta a rimanere, e studiare.
Quel giorno il corpo minuto camminava tenendo un indicatore tra le mani e lui, passando per caso dentro il boschetto, nel suo angolo d’uomo, la vide così, sotto il sole, ad instillare una lacrima infondo al proprio braccio…
 
La struggente melodia della musica che si degrada, la pioggia che crea e contorce, il vento che soffia sul collo e spezza i pennoni.
Il richiamo dell’Aquilegia.
 
Lui così devoto, nobile, trasparente, senza calli nel cuore.
Vibrò l’aria nell’accoglienza di quella donna, incrociando tutte le spade con solenne fervore.
 
Ma il miracolo non avvenne ed un mattino lei se ne andò…
 
Tutto questo ardore gli ha sfigurato la faccia e l’ha isolato dai ghigni indaffarati dei curiosi, oramai sconnessi per sempre.
 
“Vieni con me” l’arpeggio da gatta.
Dagli ammiccamenti sotto il portico riesco a portarlo in riva al mare.
Il Dolore lo agita, ma l’Amore lo conforta.
Ora a corpo a corpo con un amplesso invisibile, l’equazione delle sue fibre e del suo coraggio è insolubile.
Tento di estirpare questo partner che impedisce al proprio nettare di uscire dal nuovo fiore.
Urla, gode, è fuori il parassita dal sassofono sciancato….
 
E’ un flirt abissino che non ama essere ricordato; la mia linea di rischio e la personale via di fuga.

Ho imparato: “la carne chiama la carne”. 
Il richiamo dell’Aquilegia.

Per tutti gli altri: sola satira, pamphlet, ciancia… 

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