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Via, verso Est "L’appuntamento"

* l'immagine è di Helmut Newton

Via, verso Est  "L’appuntamento"
Di Greta Rossogeranio

 
 
Oggi noi due abbiamo un appuntamento.
Tu sei, come si usa dire, il mio tipo.
Quello contorto e accoppiato alla mia immaginazione.
Da sempre ho avuto molti appuntamenti con uomini d’ogni genere e gli incontri si svolgono alla stessa maniera, con passi leggerissimi che mi tengono sveglia nella notte precedente.
 
Ma questa volta è diverso.
Completamente e totalmente.
Permanentemente e senza speranza.
Inverso.
 
Ancora questo dannato vento dell’Est, che detesto.
Quando arriva, soffia a raffiche con veemenza e scompiglia ogni pensiero.
La vibrazione dei proiettili infuocati mi trattiene sempre per i fianchi e mi fa dare i morsi con le labbra.
L’unico riverbero che lascia nelle orecchie è l’annuncio di uno scontro, il presagio che si dovrà compiere.
 
Tu hai fissato il rendez vous alle 19,00 del pomeriggio, in un piccolo luogo sperduto, via lontano, verso oriente.
Poi ci hai aggiunto una postilla; dici che non puoi venire, non è necessario.
Io mi sono sforzata di non capire, preparandomi al viaggio.
 
Suonano alla porta e il mio orologio segna già le 17,00.
E’ Olivio, il mio migliore amico: “che brutte occhiaie, non hai dormito questa notte?”.
 
Da icona di ghiaccio mi congelo all’istante.
Il tappeto sotto di me diventa così spesso che riesco ad arrampicarmi sino al più alto lampadario di gocce di cristallo.
Mi trovo faccia a faccia con le gemme luminescenti, dall’aspetto impiccato.
Al rovescio nella stanza, il pavimento color vermiglio annuncia tante bocche di plumbago auriculata.
Fuori di sé e con accento inglese glamour, strillano dalle infiorescenze a trombetta:
“Correttore fluido occhi!”
“Matita morbida labbra!”
“ Vernice fresca bocca!”.
 
In codice rosso, l’artiglieria a cinque punte acuminate si sviluppa alle mie due appendici e affonda in una miscellanea d’arzigogoli a domare l’emergenza dermatologica.
La biocinetica marina tira fuori tutta la sinapsi dei piccioni embrionali.                      
Come se non bastasse, l’idratante che uso è una sospensione di solidi fetali inerti d’olio minerale idrogenato.
La mia ombra s’imbratta e si contorce dietro una spirale di foschia di sigaretta.
“Colore di base!”.
“Pasta di copertura!”.
“Nuance di sfumatura!”.
 
A mirabile gradazione sto tenendo alta la media delle mie vecchie pagelle, supportando omogeneizzati visibili con la solita speranza di ricompensa, di diafana vittoria.
Con la mano ingioiellata di serpenti dal corpo pavé smeraldo, tiro fuori dalla mia pochette di seta sgargiantetutti i documenti d’identità’, certificati di nascita e ricrescita e li butto a mollo in un liquido amniotico parasintetico.
 
Reclamo forte la mia franchigia, srotolando metri di tamponi e pressando garze con una spalmata di spesso strato in gel, claustrofobico e catartico.
E ancora stoffa da paracadute a coronare la lingerie triangolare di un pizzo pubico traforato.
 
Nell’antipasto immediato di progesterone micronizzato, spuntano un bel paio di torpedo color pesca inturgidite, per impedire la dispersione del miraggio.
L’immediata ipervitaminica colazione ha già manifestato gli effetti collaterali sugli occhi.
La curva corneale è sprofondata.
Le lenti sono schizzate via con gli estrogeni coniugati alla spremuta di limoni, posandosi ai margini del mio specchietto di lodola beauty.
 
Nella cornice propizia del bagno, ignoro e spurgo la ritenzione idrica in un canale perfetto d’uretra discendente, dal trionfo acido basico del flusso aureo consacrato.
La lacca disegna un circolo fluttuante, tracciando il tunnel dell’itinerario nella stratosfera.
 
Il percorso è appena cominciato.
L’acconciatura a panna montata chiede di lievitare le mie aspettative.
Costringo alla vita stretta, la femminilità sensibile e indifesa, tutta incremata e sparsa di luccicante cera.
 
Come una lolita di Monet, mi strizzo una spugna hi-tech attillata all’osso, interagendo con le forbicine per creare un effetto velo, nudo e decappottabile.
Il sistema sta cambiando e bandisco ogni sbalzo d’umore e d’ormone.
 
Con l’indice ossuto e seppellito tra la ventina di pagine Vogue, chiedo in ansia di precipitazione:
“Che ore sono?”.
Già le 18,00.
Accelero la corsa, perdendo sul tappeto le parole che ti avrei detto.
 
Con una furia ghepardata, ho già traslocato nella camera dei discorsi.
Il manuale del logopedista spiega di mantenere la glottide parzialmente aperta quando si accenna
“ciao” in un sussurro lascivo da minimo legale.
Nell’intonazione sommessa riesco a mantenere viva la laringe tra il sol e il do centrale, fino a baipassare il fiato che lega tutte le mie corde.
 
Per necessità emotiva voglio seguire tutte le indicazioni.
I fiori rossi nei vasi smaltati sono di mille colori.
I candelabri di vetro sono davvero di fine cristallo.
Il cuoio del salottino non è di comune vinile, ma un Luigi XIV.
Sul dettaglio spettacolare m’incanto da sola.
 
“Come sei Fashion” sorride Olivio.
Nell’empatia del prossimo incontro stroboscopio non cerco compassione.
Mi fondo in una reazione chimica intensa, perché so quanto sia difficile amare una persona da vicino.
In un corteo fittizio di cenere, muco e lacrime, il mio scheletro da Regina a gambo lungo mi fa splendere sacra ed immortale.
Ce l’ho fatta.
Vinta in un total look a design poliedrico e sofisticato.
 
Sono le 19,00.
Di solito non vado agli appuntamenti.
Gli incontri si congiungono da soli, per detonare di riflesso nella mia mente.
Qualche volta capita che ci vado sul serio e torno a casa piena di ricordini e schizzi di cellule eucariote.
Il saluto arrendevole del mio amico rintrona nel salone.
“In bocca al lupo, sei bellissima”.
 
Il sole filtra obliquamente sull’aria secca.
 
Non mi aspetto certo uno di quegli incontri da riviste patinate.
Un grappolo di accessori trendy, scarpe con il tacco a spillo, occhiali griffati, cintura e vestito alla moda, abbinati.
 
Decisamente il contrario.
Questo è il modo in cui viviamo e io mi limito a dimenticare le indicazioni.
Sorseggio una Fata, mentre il mio occhio cade sullo splendore dei gerani rossi nei vasi smaltati di coccio.
 
Nessun trionfo di colori, solo liste collanti di lumache.
Il dettaglio cade sulle mani, quelle lunga dita affusolate con le estremità laccate d’arancio brillante a guardia dell’anello dall’aureola blu azzurro, di taglio marquise.
La pochette della bellezza suggerisce acetone e risciacquo.
Ripulire la sbavatura rossa sui denti e la cipria stratificata nelle crepe sotto gli occhi.
Gli ondeggianti capelli ramati raccolti dietro alla nuca mi ricordano un soufflé di muffin alla ciliegia.
Un bignè nuvola che presto decollerà sull’atollo dall’altra parte dell’emisfero.
Questi piedi intorpiditi e relegati in trampolini a 36 carati oro lamé, sforzano una sopraelevatura da vertigine equestre che nemmeno i molteplici cloni negli specchi rosa del bagno riescono a quietare.
 
Devo abbassare la guardia.
Senza penose cazzate frignanti emotive.
Troppo è sinonimo di pochezza.
L’altitudine porta beffardamente in alto.
E la vertigine accelera le impressioni.
 
A braccia conserte dondolo a piedi scalzi guardando tutte le accozzaglie di cenci buttati per terra.
Sto provando tutti i rossetti sul dorso della mano e non me ne sta bene uno.
Il lucernaio della trousse di pezza mi guarda passare il fazzolettino bagnato sui solchi e le cicatrici.
Senza pratica e con molto ritmo è venuto il momento di togliermi le bende.
 
La mia generazione ha consegnato ogni trucco, mobilitando un armamentario chiamato rivolta, rinascita e liberazione.
Per raccogliere solo tavolozze d’ ombretti scuri, uggia e fanatiche illusioni.
 
Uscendo, il mondo è nuovamente un fascio di gradazioni.
Il totale è maggiore della somma delle singole parti.
Nell’arcobaleno dei prodotti mi volto di scatto verso oriente.
 
Quello che accadrà oggi ha il sapore del caos esagerato.
La città non riesce ad addormentarsi.
Luminosa e rumorosa.
 
La tua figura si è condensata in blocchi striati di creta.
Forse in te ho visto qualcuno che assomiglia a Dio.
 
E’ già tardi per l’appuntamento.
Ho anche scordato che non c’eri.
 
Mi piace sapere che c’incontreremo di nuovo.
Nelle nostre rispettive case,
con la nostra vera pelle.
 
Completamente e totalmente.
Permanentemente e senza speranza.
 
Ancora.
 
Via, verso Est.
 

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