La calciatrice (Vibeke's contest - Il tocco di una dea) | eros | Artemide | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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La calciatrice (Vibeke's contest - Il tocco di una dea)

L’annata calcistica volgeva verso la metà del suo corso, e dai risultati conseguiti poteva già evincersi che per il Fredrikstad FK quella sarebbe stata una stagione di transizione, sia per la sezione maschile, sia per quella femminile.  Le ristrettezze economiche in cui versava la società, ed alcuni cambi in corsa in seno ai suoi quadri dirigenti, avevano destabilizzato le rispettive squadre, creando un clima di tensione latente all’interno degli spogliatoi, tensione acuita dalla mancanza di risultati sul terreno di gioco.

Noi della femminile oscillavamo da inizio campionato fra un anonimo ottavo posto ed un ancor più scialbo decimo posto, e sussistevano tutti i presupposti per preconizzare un simile piazzamento al termine del torneo.

Mi recavo agli allenamenti sempre più controvoglia. Avevo già incassato troppi gol nelle partite ufficiali, e nei nostri schemi difensivi si creavano puntualmente delle falle che non riuscivamo a tappare.

Negli anni avevo affinato la mia tecnica nel giocare in porta, soprattutto fra i pali, dove balzavo come una felina su ambedue i lati, e nelle uscite sui palloni rasoterra, nelle quali anticipavo sistematicamente le avversarie. Le uniche note dolenti erano le uscite sui palloni alti, le cui traiettorie spesso calcolavo male, ed i rinvii, troppo spesso corti o sballati.

Cercavo di temperare la delusione per l’andamento delle partite ufficiali concentrandomi sul miglioramento delle succitate fasi di gioco d'un portiere, con esiti fino ad allora altalenanti.

Un giorno arrivai all’allenamento un po’ in ritardo rispetto all’ora prestabilita, a causa d’un inghippo in ambito domestico. Vidi mio padre, che era il custode del campo d’allenamento, che parlava e gesticolava concitatamente con l’allenatrice. M’avvicinai mogia, immaginandoli immersi come al solito in disquisizioni e divergenze tattiche che non riuscivano minimamente né ad appianare né quantomeno a smussare. Ed invece…

- Papà, ma che sta succedendo? Lascia lavorare Silje in pace una buona volta! -

- No Hjørdis, non hai capito, stavolta il problema non è l’allenatrice. Oggi è arrivata una nuova ragazza che vuole aggregarsi alla squadra! -

- Per come siamo messe, dovreste esserne entusiasti! -

- Ci crea dei seri grattacapi il suo status! -

- Ma perché, è straniera? -

- Ma secondo te una che si chiama Berit Jakobsen può essere straniera? -

- Che ne so, magari viene dalla Groenlandia! - schernii mio padre.

- Sei la solita somara, Hjørdis! - mi redarguì bonariamente mio padre. - Comunque non parlavo del suo status anagrafico, bensì del suo status sessuale! -

- In che senso? -

- Berit è… è… ermafrodita! -

- Ah! E quindi? Guarda che se t’è sorto un dubbio sulla sua compatibilità con la nostra vita di spogliatoio, la risposta è: non avremo nessun problema ad accoglierla! D’altronde lo sai, i muri del nostro spogliatoio hanno assistito a talmente tante lascivie, che un’ermafrodita è quanto di più casto e consuetudinario essi possano vedere! -

- Non ne dubito, figliola! Il fatto è che non sappiamo se possiamo farla giocare nelle partite ufficiali! -

- Cosa dice la legge norvegese in proposito? -

- Ed io che cazzo ne so? Fino a cinque minuti fa non sapevo nemmeno che esistessero le ermafrodite in Norvegia! -

- Sì papà ma ci sarà una nota della Federazione, una postilla della Lega o un comma del Comitato Olimpico Nazionale che dirà qualcosa in merito! O no? -

- Ricordo che nel 2004 il Comitato Olimpico Internazionale deliberò a favore delle transessuali affinché partecipassero alle competizioni femminili una volta operate. Ma qua non si sta parlando di transessuali, bensì di ermafrodite! -

- Quante paranoie si fa la gente! -

- Già… ora dovrò passare al setaccio tutti i regolamenti, e consultare i piani alti, per sapere come muovermi! -

- In che ruolo gioca Berit? - interrogai il mio genitore cercando di svicolare dalle secche del discorso precedente.

- All’ala. E’ ambidestra, ed a quanto pare dotata d’un tiro di ragguardevole fattura sia per potenza sia per tecnica. Prima della pubertà ha giocato nel maschile per qualche anno! -

- Me la mangio a colazione lo stesso! Non la faccio passare nemmeno sotto tortura! In questi mesi dovrà penare l’indicibile per riuscire a segnarmi anche un solo gol! -

- Riservi sempre un’accoglienza così calorosa alle nuove arrivate! - si smascellò mio padre. Poi si ricompose: - A volte eccedi con lo spirito competitivo, Hjørdis, e lo sai che per me questa è fonte di preoccupazione! Le dinamiche distruttive che causa in quest’ambito poi si trascinano nella vita quotidiana! -

- Ora vado a cambiarmi, papà! Ci vediamo più tardi. E se puoi, vedi di sbrogliare presto la magagna. Berit potrebbe servirci, anche se solo per fare numero! -

- Ok piccola, mi rintano in ufficio e mi metto di buona lena per dipanare il dilemma. Tu allenati come si deve! -

- A dopo! -

Baciai il babbo sulla gota, presi il borsone in spalla e mi diressi verso lo spogliatoio.

Non feci in tempo a varcarne la soglia, che mi cadde il borsone a terra. Il posto dell’attaccapanni all’angolo, adiacente le docce, era stato occupato da una specie di… visione angelica. Così essa mi parve, fin dal primo istante in cui l’avevo scorta. Era alta, normolinea, molto aggraziata nelle movenze, con una pelle vellutatissima e completamente priva di nei sul tergo. Avendo udito il tonfo del borsone sul pavimento, s’era voltata di scatto atterrita.

- Ciao, ehm scusa, mi è… mi è scivolato il borsone e… -

- Fa nulla! - Il sorriso mellifluo che aveva accompagnato quella rassicurazione fu la malia che segnò da subito la resa del mio raziocinio nei confronti della passione che per lei già divampava. Quegli occhioni d’un verde vivo, che sembravano intagliati nello smeraldo, quella corta chioma corvina che le calava a caschetto fin ai lati delle tempie e quel seno tanto piccolo nelle dimensioni quanto prorompente nel turgore dei capezzoli che lo costellavano, connotati che avevo potuto ammirare fin da quando s’era girata verso di me a causa della caduta del borsone, attizzarono ancor più un fuoco, languente da troppo tempo, che già ardeva e mi pervadeva.

- Io sono Berit! -

- Hjørdis, piacere! - dissi io. Il riserbo aveva avvicendato la spavalderia di poc’anzi davanti a mio padre.

- Gioco all’ala e… -

- Io sono il portiere titolare di questa squadra da diversi anni! - millantai. - Spero che tu sia provvista di un buon tiro dalla media e lunga distanza, perché fra i pali sono insuperabile! -

- Faccio del mio meglio! Piuttosto, com’è qua l’ambiente? A pelle, pare che latano parecchie apprensioni! -

- Diciamo che abbiamo vissuto giorni più fausti! -

- Cercherò di estraniarmi dalle negatività del contesto e di dare il meglio di me! Sempre che mi facciano giocare… -

- Ho sentito da mio padre… -

- Tuo… padre? -

- Sì, il custode! -

- Ah! -

- La gente si tira troppe paranoie anche qui in Norvegia! -

- Hai ragione, Hjørdis! Ma il mio caso riguarda prettamente i regolamenti sportivi internazionali, che sono cosa a sé stante riguardo alle legislazioni nazionali in materia di diritto civile! -

Rimasi pietrificata dalla sua serenità. La possibilità di venire discriminata in una sua passione a causa del suo status sessuale sembrava non tangerla minimamente.

Divenimmo amiche inseparabili. I giri di corsa durante il riscaldamento ci vedevano sempre una affiancata all’altra, così come affrontavamo insieme gli esercizi di coppia. Grazie a lei migliorai molto nei passaggi coi piedi, sia rasoterra sia alzando la traiettoria del pallone. D’altro canto le insegnai alcuni movimenti del corpo grazie ai quali, differendone l’utilizzo rispetto a quel che io ne facevo in porta, riusciva sulla fascia a guizzare e serpeggiare meglio fra le avversarie.

Tre settimane dopo, all’acme della mia passione mai dichiarata né esplicitata per Berit, la mia mente concepì un’azione criminosa. Finito l’allenamento, l’avrei trattenuta con una scusa qualsiasi negli spogliatoi fino a quando tutte se ne fossero andate, ivi l’avrei segregata e poi scopata fino a farla esondare per il numero e la pregevolezza degli orgasmi provocatile.

Il giorno dopo, passai all’azione, abbindolando mio padre con un artificio suadente.

- Papà, mi daresti le chiavi del campo? -

- Perché? -

- Io e Berit siamo d’accordo per trattenerci più a lungo del solito. Lei vuole allenarsi sui cross, mentre le uscite alte stanno diventando il mio assillo. Siccome Silje cura approssimativamente questi due aspetti, abbiamo deciso di fare da noi! -

- Vi capisco… Gliel’ho detto mille volte, ma quella, niente, dura come il granito! Non fare troppo tardi però piccola mia! E ricordati di spegnere le luci! - enfatizzò il babbo, porgendomi le chiavi.

- Ok, papà. Noi ci vediamo domani allora! -

M’infilai dentro gli spogliatoi senza nemmeno rivolgergli uno sguardo di commiato. Ero troppo elettrizzata da ciò che avevo architettato e stavo per mettere in pratica per affaccendarmi in ossequi e moine di qualsivoglia natura.

Quell’allenamento fu a dir poco atipico. Berit percepì in me un cambiamento, ma palesava la sua confusione in merito alle origini di esso. Era come se stesse rimuginando su eventuali colpe di cui s’era macchiata nei miei confronti, senza pervenire ad una risposta che la convincesse. Nell’allenamento sui tiri in porta, bloccai tutti i suoi, ed ogni volta che le restituivo il pallone le riservavo uno sguardo infuocato, smaccatamente di sfida. 

In partitella per la prima volta ci misero in squadre contrapposte. Ad un certo punto, verso la fine del primo tempo, Berit prese il pallone, scartò due mie difensore e s’involò in area di rigore, trovandosi a tu per tu di fronte a me. Cercò di aggirarmi sulla sinistra per depositare la sfera nella saccoccia ormai sguarnita, ma fui più lesta di lei, e con un balzo irruento le strappai il pallone dai piedi e lo abbrancai. Il mio gesto atletico fu talmente esplosivo che la feci volare gambe all’aria per un paio di metri. Prima di rinviare il pallone, mi voltai verso di lei per serbarle nuovamente un’occhiata infervorata. Dopo che si fu rialzata e mentre s’accingeva a riprendere la sua collocazione tattica, corricchiando verso la propria metacampo di difesa, col pallone ormai scagliato lontanissimo da un mio rinvio finalmente azzeccato, m’avvicinai a lei e le sussurrai: - Berit, stasera devo parlarti a quattr’occhi! -

- Non c’è bisogno che m’ammazzi con uscite omicide per avvisarmene! -

- Normale contrasto di gioco… - scrollai le spalle, prima di riguadagnare la linea di porta.

La mia squadra vinse la partitella, e finì l’allenamento. Le nostre compagne si diressero celermente sotto docce che, visto il meteo, immaginavo sarebbero state fatte funzionare al massimo dell’incandescenza che potevano sprigionare.

- Berit, ti fermi dieci minuti con me? Vorrei provare le uscite alte… -

- Hjørdis, ma lo senti che freddo che fa? Andiamo al caldo con le altre! -

- Berit, per favore! -

- Stasera sei strana forte! Cazzo hai poi… lo so che ci tieni particolarmente alla sfida di sabato col Notodden, ma così esageri! -

- Hai ragione, Berit, scusami! Ora però possiamo provare? -

- Ok! - asserì Berit, ancora boccheggiante per lo sforzo fisico profuso.

Per mia sconfinata gioia, ci dilungammo altri venticinque minuti in cross ed uscite alte. Ci fermammo solo quando avvistammo le prime compagne, asciugate ed agghindate di tutto punto, che s’avviavano verso le rispettive auto.

- Per oggi abbiamo dato abbastanza, Hjørdis! -

- Concordo, andiamo a lavarci! - sorrisi compiaciuta io.

Berit ignorò il mio sorriso ed entrò negli spogliatoi. Erano rimaste solo tre nostre compagne, che parlottavano fra loro.

Berit iniziò a sfilarsi i pantaloni e la giacca della tuta. In mutandine, reggiseno e canottierina attillata era uno schianto. Quelle spalline gliele avrei fagocitate seduta stante, se non ci fossero state quelle intruse.

Iniziai a svestirmi battendo la fiacca in maniera indisponente. A metà dell’operazione, le tre compagne uscirono, continuando a ciarlare fra di loro e non degnandoci nemmeno d’un saluto.

Io e Berit finalmente eravamo sole.

Con un colpo di reni degno delle mie migliori parate, raggiunsi la porta dello spogliatoio e la chiusi a chiave in un battibaleno, subito dopo gettai le chiavi nello stanzino riservato all’arbitro durante le partite e sigillai pure la sua entrata. Poi mi diressi verso di lei con incedere marziale e cercai di inchiodarla con lo sguardo. Berit alzò leggermente il capo, come per indicare che aveva capito tutto. Non avevo mai visto dipinta sul suo viso un’espressione così sostenuta. La ghermii avvolgendola col mio braccio destro all’altezza del costato, perpendicolarmente alla schiena. Serrai la mano che la tratteneva trasformandola in pugno e la spinsi energicamente verso di me, leccandole voluttuosamente le labbra. Berit rimase rigida, e non svelò alcuna emozione.

- Questo è! - le sussurrai all’orecchio destro, prima d’incensarlo con la mia saliva.

- Vai a fanculo, stronza! -

Le passai l’indice della mano destra lungo la colonna vertebrale, ed emise un sussulto stentoreo.

- Qua dentro ho visto e leccato clitoridi rientranti, clitoridi sporgenti, clitoridi diaboliche, clitoridi marmoree e clitoridi vellutate. Ma quel che sto per vedere e leccare non deve avere uguali! - sibilai perfidamente al suo orecchio ancora umettato.

- Hjørdis, io sarò pure agli inizi… ma nulla mi vieta di fartela pagare! -

Mi mise la mano destra intorno al collo e mi costrinse contro al muro. Con la sinistra abbassò con un movimento repentino le mie mutandine, ed iniziò a penetrarmi con le tre dita centrali.

- Scommetto che ti piace essere presa così! - proclamò stringendo un po’ più la morsa sul mio collo.

- Berit, soffoco! Io… - rantolai.

Berit lasciò la presa e caddi a terra. Non feci in tempo a riprendere fiato, che già era ricominciato il lavorio delle sue mani nelle mie zone intime. Stavolta stava utilizzando le tre dita centrali della mano destra per la figa ed il medio e l’indice della sinistra, intinti della sua saliva immediatamente prima della penetrazione, nell’ano. Venne colta di sorpresa dalla facilità e dalla letizia intrinseca con cui il mio corpo accoglieva le terminazioni dei suoi arti superiori.

- Ah le esimie compagnucce del Fredrikstad FK hanno usufruito di te a modino. Chissà quante e quali scopate narrerebbero queste docce se potessero parlare! - mi dileggiò, mentre continuava nella sua opera.

- All’inferno il mio capolavoro verrà cantato… prima però fammi venire… fammi… detonare… -

Non feci in tempo a sillabare interamente quest’ultima parola, che Berit già aveva intensificato il movimento delle dita. I suoi polpastrelli mi donavano immenso gaudio quando titillavano le pareti laterali dei miei orifizi, prima che qualche altro millimetro dei miei vestiboli carnali venisse conquistato dai suoi affondi. Poco dopo venni e mi bagnai, facendo fruttare al meglio il vigore e la costanza di Berit, la quale continuò ad inveire dentro al mio organo spossato per altri trenta secondi, prima che le reazioni ormai incontrollate dei muscoli delle mie cosce annunciassero l’imminenza di un’eiaculazione, la quale proruppe al terzo colpo secco che Berit inferii al capezzale delle viscere del piacere.

Il mio corpo ritornò sulla terra un minuto dopo essersi innalzato alla più irraggiungibile delle cime trascendenti.

- Solo il sesso può certe cose! - encomiai Berit, prima di stenderla sul pavimento ed impregnarle la schiena dei fertili frutti fluidi che il mio sesso ivi aveva depositato. Raccolsi un po’ di liquido fra le dita e ne decantai la sontuosità.

- Lecca! - le ingiunsi all’improvviso, affondando le dita nella sua bocca.

Nonostante non sapessi da che parte cominciare con Berit, leccando e penetrando e spompinando tutto quello che mi capitava a tiro nel nucleo del suo mappamondo carnale riuscii finalmente a farla venire. La regolarità degli intervalli di tempo con cui le strizzavo ora uno o l’altro capezzolo,  espugnati grazie e nonostante la canottierina attillata che li proteggeva, conferì un alone aulico al suo orgasmo. 

- Sabato le distruggiamo quelle del Notodden! - mormorò ancora fremente la fascinosa ermafrodita.

- Sì, Berit, non lasceremo loro scampo! -

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