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Il profumo della gente è come un regalo di Natale: Stella Mizar

cenci 2010 078.JPG
 
[Esserci, riconoscersi, o solo apparire a noi, con quel nostro Essere, come quel fioraio che nel suo gran bel negozio sostò tutta la sua vita a cercare di vendere quella sua pianta non sapendo altro che fare se non quello di camuffarne solo i suoi difetti?]
 
 
 
 
 
 
Orme
Visto che abbiamo curvato anche noi quel piccolo spazio di quella classe a farne uscire una bella stella cometa in quel nostro piccolo presepe indicante il viaggio dei tre Magi a trovare il percorso dei tre angoli nell’opera d’arte?
E ciò senza l'aiuto di altre stelle, o di altri piccoli pianeti a forma di libro o di copincolla del piccolo scrivano. Solo l'aiuto dei nostri testardi diti e di quelle mani sempre aperte alla voce, ai canti che venivano da lassù, dall'alto delle cime di quelle tue montagne. E di qualche bel sospiro magari di notte ai piedi d’una grossa quercia con anche una piccola e paradossale dose di fiducia in noi. Ci incamminammo.
Il logos, quella curiosità di vederla ed osservare sì vicino a noi in una notte di senza stelle.
Il cammino d’ogni divino, direbbe Nietzsche, ma noi bevevamo solo acqua portandoci alla fonte. Inseguire la propria stella fino a quel punto in cui le stesse nostre orme avevano cancellato il cammino dietro di noi e davanti a noi c’era scritto: Impossibile.
Con quel piccolo caos dentro che da solo può far nascere una stella danzante. A noi sarà stata molto piccola, la petite certo, ma anche sufficientemente bastevole per quel nostro piccolo ardire in cui iniziammo a muoverci.
E da cui quel nostro piccolo natale 2011 in quel di Rosso.
 
 
1.   L'astrazione
 
 
Tì tititì ti tvb tì tititì 1 triangolo scaleno
tì titititì 1 stella in cielo tì titititì 1 cometa
tì titititì 1 astra zione in t'erra
tì titititì 2 monete di carta a dieci euro
tì titititì 1 capanna ti titititì 1 cerchio bianco
ti titititì 1 vocale tì titititì titititì un grande 3 e 14
e... tutti giù per terra
 
 
Sì, noi siamo l’opera, siamo i bassi e gli alti delle relazioni che andiamo ad instituire nel nostro romanzo di vita, siamo il nostro eroe, quell’eroe che deve di volta in volta combattere o riappacificarsi anche con se stesso e da cui anche le sue tensioni che sono le nostre stesse tensioni. Senza poter vivere il nostro personaggio, il nostro eroe che ci conduce e noi conduciamo lui, in quella intensa azione e reazione con noi stessi non potremmo suonare alcuna sinfonia ma solo pezzi staccati di qualche breve favola o racconto appiccicati di volta in volta tra di loro per poterla definire esistenza.
Qui nasce il dramma. Come faccio ad essere coerente col mio eroe se debbo chiamarlo a fingere, a mentire con gli altri? Non sarà, non potrà più essere il mio eroe. Ho un gregge di personaggi che non mi danno più il senso di me. Ho perso l’unità della mia sinfonia, di quel mio suono che avvertivo come mio eroe, come mio orgoglio di vita.
Da cui l’eroe è la nostra stella polare, la nostra, come tu dici, cometa che ci indica la strada da dover, poter, o anche, voler seguire.
In questi tre verbi è il destino che ognuno dona, rende, o suggerisce a se stesso. Creando i diversi toni della sua vita. Della sua sinfonia di vita.
 
 
Princess
 
"Dobbiamo portarci verso una intera sinfonia da poter dare al senso della nostra vita." Qui vuoi forse dire che il senso della nostra vita sta nell'intera sinfonia che riusciamo a suonare per essa? E quindi per analogia e conseguenza la stessa opera d'arte, essendo "nostra cosa" abbisognerà anch'essa di una completa sinfonia affinché sia compiuta nel suo senso?
È l'intuizione che ho avuto, forse più una percezione che un'intuizione, leggendo il titolo dell'invito: una cometa con la sua splendida coda formata da una miriade di piccole comete, i tanti accordi, per una sinfonia, e immaginare la cometa nel suo percorso e pensare che anch'essa subirà in un certo modo gli influssi di venti, di quelli a favore e di quelli contro.
Così il percorso della vita e dell'opera d'arte, generati da tensioni, forti e meno forti, alle quali si risponde, si deve rispondere, per poter proseguire il viaggio. Mi rendo conto che questo intervento ha un vago alone di poesia e poca razionalità, penso dipenda dall'ora. Più tardi cercherò di rimediare, mò dormiamo un po’.
Accolgo intanto questa sorpresa del tuo rimetterti in campo, questa ripresa, e non posso che esserne contenta, per l'accortezza che vi risiede, come desiderio di rifocalizzare il tempo, quel tempo del Natale, che a guardare è tempo anche di oggi. E' non lasciare all'onda e alla fugacità la possibilità di portarsi via questi pensieri che, come parole, attraversano lo spazio, la lunga distanza e infine approdano in questa zona da te chiamata "Il paradosso della fiducia". Una fiducia in sé, che meglio si manifesta nella reciproca fiducia. Trovo molto bella l'espressione del "paradosso della fiducia" perché mi invita a pensare non soltanto all'attimo/istante, ma a qualcosa di molto più esteso.
Non serve che io esprima un giudizio sul mi piace o non mi piace, colgo il tuo attimo di oggi, proprio come un momento di nuova tensione, alla quale mi posso avvicinare e provare a 'sentire'.
 

Orme

 
Il paradosso della fiducia sembra curvare il tempo smarrendolo nel sogno o, se ancora sono desto, curvandolo a te che mi stai di fronte, o, in mancanza di una tua presenza, trasportandoti nei miei pensieri ancora in veglia a poterne ricevere risposta. Veglia, presenza, assenza, sogno, pensieri, spazi e tempi di noi, internet tra le nuove vie, e disporli come il grande carro a costellazione di noi questa santa notte di stelle anche se buie alla nostra non lontana vista o solo ai nostri piccoli occhi che ancora richiedono il sonno, stanchi dell’aver visto troppo in questo nostro primo giorno di cammino o di nostra più che invitante meditazione.
È l'invito la festa o solo il prologo alla quale noi, da buon umani, non possiamo mai sottrarci, educati che siamo all'altrui di scambio? Al porgerci le idee all'altro e così a consumarne il pasto? Sia esso un gran cammino o solo a dividerci con mano quel nostro piccolo, ma anche quotidiano, tozzo di pane?
 
 
...Ed Egli prese il pane, lo spezzò e disse ai suoi discepoli: prendete e mangiatene tutti...
 
 
A seguire il destino di quella piccola o anche molto grande pianta che fu in quella nostra notte stellata affidata sola e solo a nostra cura e da irromperci così ai vivi e ai morti in quello spazio che a vita si chiama nostra terra?
Esserci, riconoscersi, o solo apparire a noi come quel fioraio che in quel suo gran bel negozio sostò tutta la vita a cercare di vendere quella sua pianta non sapendo altro che fare se non quello di camuffarne solo i suoi difetti? Crescere, spaziare oltre ogni tomba e a poter dirci: tumulateci vivi che noi non saremo più morti? O anche a sostenere: non tumulateci da morti ora che a noi sembriamo ancora vivi?
 
 

 

Princess

Tu che comprendi la curva del mio e del tuo tempo, sei il contadino nell'istante che sosta sulla sommità del prato e affila la lama della sua falce. L'affila per la mietitura del fieno, le sue parole, a nutrire le creature di latte che governa nella stalla, giù in paese. Sta nel sole, il volto in alto, mentre passa lentamente la sua lama, per affilare la falce, e pensa allegro al suo mietere e alla ricchezza che da quello ne deriva.
Sono immagini d'alta montagna queste, delle malghe, dei pini mughi, dei rododendri, dei voli d'aquila e del silenzio della transumanza. Un gancio per congiungere distanze.
Ci tumulassero da vivi, noi ancora nelle parole vive, a sgattaiolare di nuovo sotto la grande quercia.
 


Orme
 
E come a dissodar d’ogni sembianza così quel nostro sorriderci entrambi, a rincorrerci fin giù nella valle per far di quelle nostre piccole voci intero coro di montagna:
“Dove stai tu? Dove sto io?”
 
e a rincorrerci fino a notte fonda a quella nostra Stalla come Cuore che va e non smarrisce via.
 
 
 
2.   Quel nostro "grande" 3,14 - Ovvero dello smisurato
 
 
 
Come ombra che viene da altrui campo
come croce che indossa ogni paura
così scrollammo di dosso, noi, quel dardo
che il passo mosso più non s’arrese a ogni
più scuro
l'opera, si definì, il piano e lo smosso
il piede quello che mena in dritto
lo scirocco che prova a salire da sud
mentre il maestrale orpella e mena
dunque la montagna s'era più scorta
soleva voltar la pagina, soleva voltar
la luna
 
 
misurammo così le nostre ombre, mirammo così coi piedi in terra errando per l'altrui contrade mentre le danze parevano a nostri occhi far respirar le stelle. Il cerchio, il triangolo, il punto fermo, quello che si alza, quello che s'interra, la moltitudine, le pecore, il gregge detto anche del buon pastore, la transumanza, via che va, via che vieni, dove si perde ogni più misura.
 
 
Princess
 
 
La tensione narrativa: punta di freccia (cometa) d'oro zecchino
La tensione è la fiamma, il motore che accende l'impulso per la creazione di un'opera d'arte. Ma la stessa tensione è anche il fattore che la blocca, a momenti, nel suo processo di creazione. La tensione porta a sviluppare l'idea di partenza dello scritto che, attraverso momenti di azione e di stasi, definirà a se stesso (lo scritto) cosa diverrà, cioè se il suo destino sarà ad es. divenire un breve racconto, una novella o un romanzo. E non è soltanto la lunghezza dello scritto a determinare il tipo (racconto, novella, romanzo), ma le caratteristiche che avrà al suo interno. Prendiamo l'esempio di Streghe. All'inizio avrebbe potuto essere un racconto lungo (e lo potrebbe essere anche ora), come racconto lungo avrebbe "raccontato" le vicende, avrebbe fatto quasi un resoconto di quell'evento, e così avevo inteso e iniziato io. Poi... mi sono fermata, chiedendomi qual era nella mia testa e nel mio animo lo scopo del lavoro a cui mi stavo applicando. E' quindi sviluppare l'idea dello scopo del lavoro che ne muta le caratteristiche e l'essenza. Se io voglio indagare a fondo in quel tempo e in quell'evento, ad es. i processi di stregoneria, non potrò infatti limitarmi a una stesura come resoconto, anche se esposta in un bel racconto, bensì mi sarà necessario indagare in modo molto più ampio e dettagliato, creando al mio interno una serie di microtensioni indirizzate alla conoscenza dei vari aspetti che necessariamente dovrò conoscere per far evolvere il mio racconto, fino a farlo divenire ad es. un romanzo. La difficoltà di realizzazione è enorme e non so se ci riuscirò, è questa la complessità dell'opera (d'arte). Rimarrà il fatto di averci pensato, di aver accarezzato l'idea/sogno di realizzare un'opera complessa e compiuta, che non avrà, in caso di felice realizzazione, mai più bisogno della mia mediazione, poiché sarà stata creata prima immedesimandosi in ogni cosa, durante la sua stesura, e in seguito estraniandosi, per ammirarla come opera in sé, e non più mia, ma di chi la vorrà leggere.
 
 
Orme
 
 
L’opera che crea altra opera, opera che mena i suoi passi tra il bianco e l’oscuro, opera d’amore o solo di menzogne, opera che s’ha e s’acchiede ogni più paura, paure d’affanni, paure di gustosi lidi, ahì l’amore, ahì ogni sua pena, ahì quasi a farsi o doversi far del male in quel dardo che supera così ogni frontiera, siamo noi l’opera, lei dice, siamo che di distanza ogni destino ci fece, ci fece viso e ci portò la fronte, si fece acqua e ci portò da bere
 
trovare un 3,14, uno più grande, uno più piccolo ha differenza alcuna se tale può definirsi solo un rapporto, un rapportarsi del numero a due superfici e a che tali esse in esso si contengano o si costringa in esso a loro ogni distanza, sia nel pieno cerchio o solo nel segmento?
 
e dunque il triangolo, volendo tentar la luna, s'avrebbe da rifugiarsi in altro pozzo, parendo così a mezzo di sua vita, o altra via per l'intero, un'altra mezza luna?
 
 
Princess
 
 
Bella l'idea dell'inserimento del "purtroppo" tra le figure del quadro di Kandinsky.
Ma sorge un problema: come avrebbe espresso il pittore questa parola-concetto-sentimento del purtroppo? Avrebbe usato le lettere? Una striscia di colore? Un buco nella tela? Come rappresenteresti l'idea/sensazione del tuo purtroppo di oggi nel quadro di Kandinsky? lo so che anche tu come me non sei un pittore, ma immaginare una rappresentazione del "purtroppo" potrebbe aiutarci nell'analisi.
La conoscenza può avvenire in solitaria, come le scalate delle cime, non hai confronto, non hai nessuno da aspettare, nessuno da aiutare, sei da solo di fronte alla tue responsabilità, anche di sbagliare appiglio, sei responsabile della tua vita e della tua caduta. Così è come un monologo.
La conoscenza può avvenire in compagnia, non sei da solo, c'è chi ti potrà contraddire, e la sua stessa contraddizione sarà motivo di conoscenza ulteriore, chi anche con un cenno del capo ti indicherà la via, una via di salita, una via per procedere, sarà quella forma di in-form-azione di cui si parlava, sì perchè non si è soli. Così è come un dialogo.
 
 
Orme
 
 
E le stelle a dirci o a poter dirci del nostro cammino.
Quel ghiacciarsi dell’acqua in quel piccolo lago appartato dalla corrente del fiume posso vederlo in piccoli cristalli di luce al chiarore di luna o solo freddo che ci cade addosso per quel ghiaccio venutosi a formare tra noi. O anche e solo ancora troppo caldo, quel ghiaccio, alla mano nuda se a distrarlo dalla sua meta che è di quella sua metà anche la lastra nel volerne ancora, e di sua legata o solo allegata vita, rappresentare l'intero loro essere o dover essere lì, ed in quel solo modo dovendo anche rivestirne, del cosmo, la stagione. L’interrogativo, la domanda, la messa in dubbio, l’aver dubitato del pastorello che, buttando il suo flauto, si reca, o potrebbe recarsi senza l’amico/a alla meta, l’averne buttato le note, gli accordi in epoca non di povertà, ma di abbondanza di suono.
Le stelle, il loro disporsi o il nostro vederle così disporsi nell’isolarle dall’intero in quel cielo, il carro, le nereidi, le effimere, la più luminosa, la più lontana, quella che meglio ci legherà legandosi essa stessa ai misteri di una nascita, la nostra astrale metafora, la nostra costellazione e dunque io vergine, tu? ti chiederei guardando verso est o solo allungandoti la mano. Daremmo e prenderemmo distanze o vicinanze dal presepe, da quel recinto in cui ci spinsero o da soli ci incamminammo
L’opera si fa e si disfa, sembrerebbe, senza nessun nostro ricorso o interagire, senza nessun peso o alcuna misura o solo sguardo che accosta e allontana il nostro vicinato
Perdona la luna se questa sera non brilla piena, perdona il passo se appare stanco eppur cammina
 
Vieni, prendiamoci per mano, facciamo il nostro cerchio in un bel grande girotondo, riportiamoci ai piedi di quella nostra grande quercia, al cuore di quel tuo scolaro nonché grande amico a nome Stella di Mizar:
 
 
Il profumo della gente
 
 
Il profumo della gente è come un regalo di Natale.
Tutti i profumi che avevo sentito a quel tempo, soltanto la neve, lo spazio,
con cui mi sono trovato alla fonte di una montagna
con una neve soffice che fa sentire il gelo, che porta tanti profumi
che si sentono delle voci che mi stanno a dire
il tempo di ascoltare la natura
poi stendersi sulla soffice neve.
Il profumo della gente, la loro voce
l'ora è come una pianta che riesce a dare dei tempi
che passa leggera sulla terra.
Il tempo è come un albero che resta fermo e mi guarda dicendo:
trovare uno spazio vuoto per sentire i tanti odori di natura
con cui mi sono trovato
con le persone che danno un profumo di voce.
Questa è la leggerezza miracolosa
e questa è la prima volta che mi sono trovato.
E in questo spazio è come trovare le voci con cui mi potrei confidare.
Mi è successo qualcosa
quando c'è la stagione dell'inverno e ha iniziato a nevicare,
e riesco ad ascoltare la natura.
La società che ci sono tanta gente molto legata a me,
che sa rapportarsi a discorsi che sento.
I profumi considero
come un ramo di quelli che mi stanno parlando
e quella vita lì è stata molto piacevole.
I tronchi immagino come delle persone
che mi stanno dicendo qualcosa.
Le vere persone umane,
l'odore di qualche commento che riescono a fare
e dare un po' senso ad altre cose
ritrovando le stesse persone,
riescono a trovarmi nello spazio vuoto.
Una persona vera, umana, intelligente: Anna
mi ha sorpreso i suoi colori.
Quando si è avvicinata a me mi ha piantato una pianta di vita
nello spazio vuoto.
Nel corso degli anni, quando è venuta da me Anna,
poi l'ho portata nello spazio pieno.
E' successo che quella pianta è diventata un albero
Ci siamo stesi sull'erba
.Io e Anna eravamo stesi sull'erba per ascoltare la terra
La terra diceva:"Prendendo mano per mano, per darmi un significato: di sentire una vita semplice.
Alberto (stella Mizar)
 
 
 
«Cin cin a te, dolce principessa, ogni bene per questo Nuovo Anno! E Auguri alla nostra Stella!»
 
 
«Cin Cin a te, amico mio, e alla stella Mizar, che abbassava gli occhi se lo guardavo, nella sua maglietta fatta di macchie e sudore. Cin Cin a sua madre, per quella collanina che gli aveva messo al collo.
-Proteggi il tuo gene, la tua essenza di vita-, mi sembrava di leggere in quella collana che Mizar portava, a ricordargli la madre.
Troppo angusta e stretta, talvolta, mi appare la parola, eppure nel suo essere, che è vera magia, intravedo una via, una traccia che si va, piano piano, tracciando.
Cin Cin alla festa della parola!»
 
 
 
3.  Come l'arte si crea e poi si distrugge, lasciando le tracce dentro di noi
 
 
Un lungo telo di stoffa blu, una bottiglietta piena di granelli di sabbia, tantissimi granelli di sabbia, e poi via... a incontrare l'altro, dentro e attraverso i suoi segni, quelli appena tracciati sul telo. La libertà assoluta dei segni, che mutavano forma e direzione, spazio e dimensione per l'incontro con l'altro. Una musica e sottofondo ma soprattutto il lieve rumore dei nostri piedi, nel muoversi sulle assi bianche della stanza, nella ricerca di qualcosa, di qualcuno dove il nostro segno/sentimento avrebbe trovato il posto per appoggiarsi. E lì emergere nell'insieme, come opera d'arte corale.
E quando il quadro fu bello e completo, quando nemmeno un granello di sabbia rimase nelle nostre bottigliette... ecco, ci chiesero di distruggerlo! Avremmo dovuto distruggere l'opera d'arte che avevamo appena creato, in una immensa dimensione del sentire.
Mizar alzò la testa verso il maestro che ci chiedeva questo.
Nessuno parlò, nè chiese spiegazioni...
Lentamente sollevammo il lungo telo e la sabbia, grano dopo grano, si raccolse sul fondo, nella piega del telo, e ritornò ad essere sabbia, non più opera d'arte.
Siamo noi la vera opera d'arte. O almeno… così vorrei credere.
 
 
 
venerdì, 30 luglio 2010
 
Toccò a Mizar, Alberto, la veglia alla grande quercia dopo di me. Ricordo che lo accompagnai con quella titubanza che provo di fronte alle persone in difficoltà. Una titubanza che si unisce al timore e fa emergere da noi stessi un particolare senso di protezione verso loro e di ausilio affinchè ciò che avevo fatto io nella veglia alla quercia, riuscisse anche a lui.
E Mizar mi seguì lungo il sentiero, gli indicai la strada percorrendola insieme, cercai parole di incoraggiamento anche se forse non ce n'era bisogno. Isuoi piedi non erano malfermi e affrontava il grande caldo, proprio come lo stavo affrontando io.
Avvertivo solamente un vago senso di ansia che lui manifestava col fiato, senza parlare. O forse era l'ansia che provavo per lui a farmi immaginare che lui sentisse così.
Arrivati alla quercia, gli indicai l'amaca dove si sedette e il papiro arrotolato su cui avrebbe potuto scrivere i suoi pensieri nell'ora di veglia alla quercia. Poi me ne andai assicurandomi che fosse tranquillo, che si sentisse al sicuro e gli indicai i punti di riferimento nel bosco, affinché non perdesse la strada del ritorno.
Ciò che lui provò e poi condivise con noi, durante l'ora di veglia alla quercia, ci lasciò stupiti, sgomenti, increduli.
La sorpresa è il profumo della gente
“Il profumo della gente è come un regalo di Natale.
Tutti i profumi che avevo sentito a quel tempo, soltanto la neve, lo spazio, con cui mi sono trovato alla fonte di una montagna, con una neve soffice che fa sentire il gelo, che porta tanti profumi, che si sentono delle voci che mi stanno a dire il tempo di ascoltare la natura, per stendersi sulla soffice neve.
Il profumo della gente, la loro voce...
l'ora è come una pianta che riesce a dare dei tempi, che passa leggera sulla terra.
Questa è la leggerezza meravigliosa
e questa è la prima volta che mi sono trovato.
E in questo spazio è come trovare le voci con cui mi potrei confidare.
I profumi considero, come un ramo di quelli che mi stanno parlando..." (Mizar, Alberto)
È solo una parte dello scritto, è una tenerezza, un senso, un ventaglio di emozioni che ci ha regalato la stella Mizar, anche se non so dare un'età a questo ragazzo, nato con sindrome di down.
 
 
 
tì tititì vvb
 
 
 

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