A seguito del suicidio di Ada F. ( quarta ed ultima parte) | Prosa e racconti | maria teresa morry | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • Gloria Fiorani
  • Antonio Spagnuolo
  • Gianluca Ceccato
  • Mariagrazia
  • Domenico Puleo

A seguito del suicidio di Ada F. ( quarta ed ultima parte)

Ada aveva scritto  le tre lettere in momenti diversi,  di giorni diversi. Non tutte le serate o le notti  erano adatte a concentrarsi  sul foglio e a pensare all’uomo  cui  scrivere. A volte i pensieri  le rimanevano intrappolati nelle  sensazioni vivide   dei ricordi , e  ne provava commozione;   a volte erano i rumori… …la sera avanzata e la notte  portavano   rumori e ciò la distraeva. Dal bar sottostante la sua casa , spesso salivano le voci dei clienti che sostavano ai  tavolini.  Oppure  i  suoi dirimpettai litigavano, vociando.  In questi casi  doveva  attendere   che avanzasse il  silenzio. Quello interrotto appena dal ticchettio  dell’ orologio .   Ada ,   allora, nella sua vestaglia  allacciata, si sedeva al tavolo  della  cucina,  raccoglieva i  capelli in un fermaglio d’osso , e  iniziava a vergare  un foglio via l’altro,   scriveva, rifletteva , buttava il  foglio e ricominciava.  Per queste lettere  aveva acquistato appositamente una  risma di bella carta spessa, adatta al pennino della sua penna stilografica.
Quanto al contenuto delle lettere, Ada  non  voleva essere patetica, con nessuno dei  tre  uomini.  Voleva solo  essere se stessa  in quel saluto. Né le importava  se costoro  avrebbero   sofferto, leggendo.  Soffrissero pure. Per lei era stato inevitabile e poi  non  ci sarebbe stata a  verificare i loro  stati d’animo.
“  Non devo pensare come se potessi esserci  - si diceva – sono parole definitive, le mie…”.
Le capitava di  riporre  le lettere in un cassetto, convinta di quanto aveva scritto. Ma una volta nel  suo letto, al buio, ci ripensava…forse  una  frase, alla  tal riga ,  era troppo accorata,  troppo vendicativa ? Allora si  rialzava, accendeva la luce, rileggeva i fogli,  verificava, correggeva.   La  stesura di queste  lettere  fu un vero tormento.
 
Luciano entrò nella piccola cucina del suo appartamento di  uomo ritornato  scapolo, ora vedovo, ad essere precisi.    Egli buttò il mazzo di chiavi  sul tavolo ,  che vi cadde con un rumore secco. Fece   scorrere l’acqua dell’acquaio. Si sedette  senza  un particolare pensiero alla mente, se non che Ada non  aveva mai cessato di  entrare nella sua vita e  sconvolgerla.
Rimase qualche secondo pensoso.  Avvertì  il  rumore della prima marcia,  ingranata del bus  52  che passava sotto casa. La fermata  dei mezzi  pubblici si trovava  proprio davanti al portone del suo palazzo.
Luciano aprì  la busta  usando un  tagliacarte, sentì la resistenza della carta spessa. Aprì il foglio e  riconobbe la scrittura fluida e leggermente inclinata della moglie. Il foglio emanava un leggerissimo profumo di sandalo.
Si sorprese  d’ affrontare la lettura della lettera come se  Ada fosse ancora  viva, eppure  lui  era stato al  suo funerale solo pochi giorni prima.
Si sedette alla luce  della  finestra della cucina e lesse:
 
“  Caro  Luciano,
non ti chiedo scusa del mio gesto, non avrebbe alcun senso. Nel momento che ho deciso di farlo il mondo si  è allontanato da me come una biglia  schizzata via. Lascio questo biglietto per dirti la cosa più ovvia, così scontata da portarmi un passo avanti nella disperazione .Tu resti l’   Amore   della mia  vita. Quello che  nasce  vergine una sola volta in noi.  Da quando noi due  non   viviamo più assieme, diversi anni  oramai,  non   ho  mi cessato di pensarti.  Ancora oggi  sono stupita per la  contentezza  che mi  dava  incontrarti casualmente per le strade della   nostra  città!  Vederti  da lontano, mentre tu nemmeno sapevi che  ti stavo osservando!. Magari mentre comperavi  un  giornale o bevevi un caffè , seduto al tavolino  di  un bar. La tua figura inconfondibile tra la  gente….L’ultima  volta che ci incontrammo  e ti chiesi come stavi, mi rispondesti “ mi sento vecchio”,  e mi sentii  ferita da quella tua  risposta…a me non sembravi  affatto  vecchio, era l’espressione del tuo viso che era cambiata, intristita.
Fosti tu  a non voler più continuare la nostra vita in comune; dicesti che  t’eri annoiato, assuefatto al matrimonio. Mi rifiutasti con il tempo,  mi lasciasti dormire  sola nel letto, vivevi  solo per l’ufficio, per il tuo  lavoro….Infine lasciasti casa nostra come un ladro. Ricordo  un venerdì pomeriggio, rientrata  dal lavoro, intuii che c’era qualche cosa di nuovo  nell’aria di casa. Tutto era apparentemente   al proprio  posto, ma c’era un intruso nascosto da qualche parte.  Qualcuno aveva mosso  o spostato  cose.   Corsi in bagno ,  i tuoi oggetti  da  toilette non c’erano, la mensola era del tutto libera.  Aprii  l’armadio: una riga di attaccapanni vuoti  dondolava  come ossa  nere : t’eri presi tutti i  tuoi abiti  e avevi svuotato  i cassetti. Perlustrate  le stanze, mi accorsi che mancavano solo alcuni piccoli  oggetti  tuoi, di famiglia…il bronzetto di Venere… una piccola icona che era stata di  tua madre.  Eri sparito  del  tutto.  T’avrei rivisto una settimana dopo  al bar di via Verdi  : volevi  restituirmi le chiavi di  casa.
T’ho perduto Luciano   e questo  fatto si è preso  i decenni  che abbiamo  vissuto assieme  e  li ha sbriciolati.  Nessuna  nostra  storia comune mi  sembra più esistere.. Sono pure io rimasta senza storia e senza passato.  Continuare  a vivere da sola mi  è insopportabile.  Il mondo mi  si è ristretto come una maglia infeltrita,  non riesco ad interessarmi a nulla, niente mi attrae. Ti  ringrazio  d’aver consentito a non definire   in tribunale la  nostra separazione. Non m’ era rimasto che la formalità
di  sapermi  ancora tua moglie. Le nostre esistenze unite da migliaia di  fili, anche ora che non eri con me,  sono state la mia unica consolazione e anche la mia  ossessione. Ieri sera mi sono  concessa una  cena in città , nello splendido  ristorante  che dà sul Po, hai presente? Ho chiesto  tutte le pietanze più raffinate  e più costose;  ero stanca  delle   code  d’ogni giorno alla  tavola calda assieme ai ferrovieri. C’eri pure tu con me, al tavolo e sorridevi felice come  da tempo  non ti avevo  più visto fare.  Il conto fu da capogiro e ne provai ebbrezza.  Pagai io e tu non facesti nemmeno il  gesto di mettere mano al portafoglio.  Un  bacio ,tua Ada “.
 
Luciano  rilesse  il foglio altre due volte.  “  Sapevo  che  Ada  non aveva mai rinunciato  a noi due” , pensò. Gli  vennero  alla mente le discussioni che  erano  seguite,  tra lui e Ada , dopo ch’egli era uscito dalla casa coniugale. Il  fervore con  il quale lei cercava di convincerlo, passando dall’ira   carica di invettive al pianto sconsolato. Vedeva lei,   scarmigliata ed arrossata  in volto, il viso acceso;  vedeva   se stesso, muto e refrattario, seduto sul divano.
Il numero   52  arrivò pesante alla fermata.  Luciano  ne avvertì  il sibilo dei  freni. Si affacciò alla  finestra   e  vide   Rosa, la  donna con cui aveva cominciato  da poco una  relazione, scendere  dal bus. Ella alzò lo  sguardo alla finestra e , avendolo  scorto,  gli lanciò un sorriso  carico di promesse.
 
 
Piero aveva da poco lacerato  la busta della lettera, quando cominciò ad avvertire il ticchettio della pioggia  sul tetto dell’  autovettura.  Un picchiettare  di piccole dita. La  pioggia  cadeva fitta e perpendicolare.
Prese dalla tasca una sigaretta e l’accese.  Aspirò con  avidità e sentì l’emozione salirgli alla gola.
Si decise a leggere la lettera di Ada:
“  Caro Piero, oramai da tempo non  ti sentivo  .Tu non  mi hai più  cercata ed io non ho  avuto  il coraggio di farlo. Però t’ho pensato  sempre e molte volte ho avuto la tentazione  di prendere il treno per venire alla tua città, poter  telefonare per dirti  “ sono qua, incontriamoci per pochi  minuti ”. Ma penso non avresti  accettato. Tu sei comparso nella mia  vita all’acme della mia solitudine e amarti è stata  per me una grande scoperta, poiché ritenevo   di non esserne    più capace, né di meritare l’amore,    dopo gli anni  d’indifferenza trascorsi con mio marito.  Tu Piero  sei stata la passione,  quell’amore che ogni donna avrebbe voluto conoscere  almeno  una sola volta nella vita.  Noi ci piacemmo subito,  te lo ricordi?  Credo  che nel giro di pochi minuti ci  rendemmo conto di quanto eravamo attratti  l’uno dall’altra.    Fu   un  incontro casuale, il nostro . Io ero nella  tua città, in vacanza. Ci conoscemmo nel giardino   della trattoria  “ All’ Orto “.   Avevo appena finito di pranzare  sotto un vecchio olmo. Non c’era  posto all’interno   del locale  ed il padrone mi aveva apparecchiato un  tavolino fuori,  nel giardino. Tu   passeggiavi fumando una sigaretta. Te n’eri uscito perché all’interno c’era un rumoroso pranzo di nozze e la confusione della gente di aveva infastidito. Ci conoscemmo  così, chiacchierando sotto quell’olmo.  Vennero  a cercarti dopo tre ore , faceva quasi buio e noi due stavamo ancora chiacchierando. Ricordo che stavo seduta sulla panchina in ferro e  nella  penombra vedevo il bianco della  tua camicia  e la  brace della tua sigaretta.
Prima di salutarci,  tu mi dicesti semplicemente  che volevi rivedermi ed io  con altrettanta semplicità ti dissi di sì, che volevo rivederti anch’ io. Non girammo attorno alle parole. Io ero addirittura confusa con me stessa  per una disinvoltura  che non mi  conoscevo.   Fummo così presi  da una attrazione talmente forte che nemmeno ci  faceva  ragionare,  eppure  avevamo  già cinquant’ anni ! Ricordo che  quando stavo ad attenderti,   ero in prenda ad  un’ansia che spariva solo non appena  ti vedessi  arrivare dal fondo della strada dove solitamente  ci davamo appuntamento.  Finimmo a  letto carichi di una tensione che era cresciuta in noi con l’andare dei giorni.  Quante  cose  mi dicevi mentre stavamo  abbracciati  stretti  e tu mi facevi  complimenti amorosi come  fossi una ragazza:  ammiravi i miei capelli, la mia pelle …mi sussurravi cose che nemmeno credo d’aver mai udito.  Ed io mi chiedevo “ sono io la donna  cui sta parlando?”.  L’amore con te accompagnava ogni minuto del nostro stare assieme. Mi abbracciavi e mi dicevi “  “Scusa se  ti tocco,  ma  io ti   vedo anche con le mani”….Poi ti rabbuiavi ed esclamavi  nel tuo schietto toscano :  “ Proprio non lo capisco tuo marito…lasciare una donna come te…”    Ma  è pur vero che anche tu  mi hai lasciato, dopo due anni e non per  stanchezza.  Tu   mi lasciasti  con dolore , perché mi amavi ancora.  Questo lo so bene, decidesti di tornare  con  tua moglie  perché la vedevi preoccupata e tesa, avendo ella intuito  che avevi un’altra donna.  Lei  aveva  iniziato a farti delle  scenate in casa e tu non te la sentivi di affrontare la rottura da lei. Me lo preannunciasti  una sera,  durante  una lunga passeggiata.  E per me , che avevo  ripreso a vivere,  attraverso te, mi si spense daccapo ogni luce. Tornavo sola e sola oggi ho deciso di  partire Voglio solo che tu   sappia e per sempre  che ti  ho amato per quello che  hai saputo  suscitare in  me, nella mia piena  femminilità   e per tuo amore, dopo anni  di muto dolore.
Vorrei  davvero riabbracciarti come la prima volta che ci incontrammo .  Tua Ada”.
 
Piero  guardò davanti a sé, oltre al tergicristallo. Vide una donna correre sotto la  pioggia senza ombrello e già con gli abiti  fradici.  Si  era  accostata ad  una vettura e tentava freneticamente di aprirla. Era un  vecchio modello  , di quelli che si aprivano  ancora con la chiave. La chiave le  cadde a terra e la donna si chinò in una pozzanghera a raccattarla. Finalmente riuscì ad entrare nell’auto. Dopo pochi secondi, Piero vide l’accensione delle  luci posteriori.
Rimase stupito di come la lettera non gli sembrasse che un pezzo di carta. “ Forse ancora non mi sto rendendo conto” si disse.  Pensava che gli sarebbero  venuti alla mente  tutti i momenti passati con Ada, ma si accorgeva che non era affatto così. La sua mente non registrava assolutamente  nulla. “ Sono ancora troppo  turbato dalla notizia”, concluse .  Piegò con cura la lettera e la pose nella  tasca.  Guardò davanti a sé e mise in moto.  La macchina della  donna bagnata di pioggia s’era già allontanata.
 
La terza lettera. Non venne mai aperta. Lorusso  insistette  più volte presso il notaio affinchè gliela spedisse, ma il dottor Barberis  fu  irremovibile. Nacque una violenta  discussione telefonica tra i due. Lorusso  opponeva che  non poteva fare un viaggio  così lungo, dalla Sicilia,   per  ritirare soltanto una lettera. Il notaio,per suo conto,   non voleva assumersi  responsabilità per  discostarsi  dalle istruzioni ricevute. “ Allora – gli ringhiò contro Lorusso -  le invierò una raccomandata con firma autenticata , con la quale  la informerò che rinuncio al ritiro del plico, faccia quello che le aggrada…”  e chiuse seccamente la comunicazione.
La lettera   rimase giacente  nella cassetta di  sicurezza  per circa un mese ancora,  poi  il notaio ritenne  prudente  consultarsi con un suo amico  magistrato. A costui parve  eccessivo l’impuntarsi del professionista e gli suggerì di spedire la lettera  con  tutte le cautele del  caso.
 
 
Un mattino,  quindi, la segretaria  di fiducia,  signorina  Carla,  fu incaricata dal notaio di recarsi alle poste centrali  per inviare  una raccomandata assicurata , sigillata in un bustone giallo   paglierino,   all’indirizzo di Lorusso.
La donna prese il plico e lo  infilò nella borsa a tracolla, con altri documenti.
Era giorno di mercato rionale  , la strada sulla quale si affacciava  lo studio   del notaio appariva trafficata, intenso  il via vai di  gente  affaccendata.
La signorina Carla  , per affrettarsi, scese dal marciapiedi  e cominciò a camminare sulla  strada  a filo  del bordo in cemento.   Ogni  tanto qualche  passante le urtava la spalla. La tracolla della  borsa , tenuta  verso l’interno, cominciò a scivolare più volte, cadendole sull’avambraccio. Senza pensarci  troppo, l’impiegata con un gesto deciso spostò la borsa sulla spalla esterna e  riprese  la camminata veloce.
Fu questione di secondi. Giunta all’incrocio sul ponte che attraversava il Po, la donna  venne avvicinata  da una motocicletta , che  sopraggiungeva  alle sue spalle. Lo strattone  fu  deciso. L’impiegata sentì una mano  violenta  spingerla contro il  muro  del palazzo  d’angolo  e contemporaneamente strapparle la borsa. Perse l’equilibrio senza  nemmeno il tempo  di  lanciare un grido  e si trovò a terra, mentre  avvertiva un dolore lancinante al femore.
Solo dopo,    già  riversa su se stessa, la signorina  Carla cominciò a gridare disperata,  non sapendo se per il male  o per lo scippo della  borsa. Mentre invocava aiuto, cercando pure a malapena di tirarsi  giù le gonne,  in un residuo di meccanico  pudore , ella vide la motocicletta,  montata da due persone , sbandare ai limiti della  caduta e  poi rimettersi diritta , grazie ad un colpo di reni del conducente.   La donna udì  un  colpo potente di acelleratore e  scorse   la borsa nera , impugnata dal passeggero sul sellino posteriore, volteggiare  nella trancolla stretta dalla mano dell’uomo. La moto  sparì a tutta  velocità, oltre il ponte, dopo aver effettuato due rischiosi sorpassi  di  vetture che inchiodarono i freni con consunzione di  gomme.
La signorina Carla finì all’ ospedale per frattura del femore ;  il notaio  Barberis  le rese visita più volte , anche per le formalità necessarie ai fini della denuncia dello scippo.  Pur dispiacendosi   moltissimo di quanto accaduto  alla sua   migliore  impiegata, egli rimase convinto   che quella lettera non poteva  contenere  che messaggi di  malaugurio e  davvero era destino  che non dovesse essere mai consegnata. Non ebbe mai  notizie del  ritrovamento della borsa dell’impiegata né del suo contenuto. Dalla  Sicilia  , Lorusso,  non  diede  più notizie di sé. 
 
 

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 0 utenti e 7392 visitatori collegati.