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Ippogrifo

 
“Nulla mai nell’universo va perduto. Le cose perse in Terra, dove vanno a finire?” *
“Sulla luna”  rispondeva pronta Anna a zio Giovanni.
“E cosa andiamo a recuperare oggi, testolina matta? Che cosa ti sei dimenticata?”
“Un sogno, quello che ho fatto stanotte non me lo ricordo”.
“Allora monta in sella a Ippogrifo che ce lo  andiamo a riprendere”.

Anna, ormai dentro la magia del volo, allargava le braccia, così Ippogrifo acquistava slancio, dispiegava le ali e s’innalzava volteggiando, mentre la Terra laggiù si riduceva a un puntino. Intanto Giovanni apriva il libro e leggeva; la sua voce li guidava verso i crateri lunari, li portava giù giù sotto la superficie d’argento per gallerie profonde oppure là dove regnava l’ombra, la faccia della luna che non si vede mai. E quanti oggetti  scoprivano su quel satellite polveroso: cassapanche, vecchi vestiti, armature di antichi cavalieri, ma anche cavalieri senza armatura. C’era sempre qualcuno finito lassù in cerca di qualcosa e Anna e Ippogrifo erano curiosi di ascoltare la sua storia, la stessa che zio Giovanni leggeva.
Strano come quel volume dalla copertina rossa potesse contenere tante avventure.  Anna sospettava che lo zio se le inventasse lì per lì, ma lui diceva che un libro è come la luna, ci puoi ritrovare tutto ciò che hai smarrito, la ragione e insieme anche i sogni, perché sembrano diversi, invece  non sono che un’unica cosa.

Zio Giovanni veniva a trovarla quasi ogni sabato e Anna lo attendeva per tutta la settimana con impazienza, però adesso era da un po’ che lui non si faceva vedere.  Sapeva che era partito da solo per uno di quei suoi giri in bicicletta,  quelli che facevano preoccupare zia Rosanna, ma questa volta aveva fatto un viaggio lunghissimo, così le avevano detto, e da dov’era andato non poteva più ritornare, anche se da lì la pensava ogni giorno e lei poteva salutarlo. L’aveva fatto, socchiudendo gli occhi, ma non aveva ricevuto risposta. Forse zio Giovanni era finito sulla luna, ma ci si può arrivare solo pedalando? Anna avrebbe voluto chiederlo ai grandi, se non l’avessero trattenuta gli occhi rossi della zia e quello strano silenzio in casa, così lo aveva domandato a Paolo, un pomeriggio, mentre giocavano in giardino.
“ Ma cosa t’inventi, non hai ancora capito che lo zio è morto proprio per quella bicicletta, l’hanno buttato a terra come uno straccio e …”
“No, non è così , non è così", strillò Anna correndo via, salendo per le scale a perdifiato. Suo fratello era proprio bugiardo, cattivo e pure geloso, perché lo zio, anche se giocava a pallone con lui, non l’aveva mai portato sulla luna. E poi Paolo voleva sempre avere ragione, con la scusa che lei aveva solo cinque anni e lui otto, ma in quest’occasione si sbagliava e lei gliel’avrebbe fatta vedere, avrebbe ritrovato lo zio, l’avrebbe riportato indietro a qualunque costo, se c’è un modo di andare ce ne deve essere per forza un altro per tornare.
Da sola non poteva farcela, aveva bisogno di Ippogrifo, ma lui si presentava unicamente se a chiamarlo era lo zio, la bambina aveva provato a sussurrare il suo nome oppure a urlarlo senza alcun risultato. Forse avrebbe potuto prendere l’idea da quel vecchio che tanto prima col fango aveva fatto l’uomo, poi la donna e alla fine ci aveva soffiato sopra perché imparassero a respirare. La mamma non voleva che mettesse le mani nella terra, però le aveva comprato della plastilina colorata, stava sul tavolino giallo, accanto alla scrivania di Paolo. Anna ne prese un pezzo, modellò una pallina per il corpo, quattro salsicciotti per le zampe, due triangolini per le orecchie e lasciò perdere la criniera e la coda. Anche così Ippogrifo poteva andar bene, ma non poteva fare a meno delle ali e quelle non volevano saperne di rimanere attaccate per quanta pressione lei potesse esercitare con le sue minuscole dita. Schiacciò con tutte le sue forze e il cavallino si afflosciò senza speranza di volo. Anna s’infilò in bocca un pezzo di plastilina e  mentre piangeva e masticava, buttò il resto di Ippogrifo contro l’armadio, poi se ne stette quieta, quasi spaventata per quello che aveva combinato. Quando la mamma entrò in stanza, non la sgridò anzi la prese in braccio. Per un attimo la bambina pensò di dirle: " Mi aiuti, mi fai Ippogrifo?", ma quello era un segreto tra lei  e lo zio, quindi rimase in silenzio.
Quella sera Paolo fu meno dispettoso del solito e la lasciò giocare con le sue macchinine, mentre la osservava con uno sguardo incerto, lo stesso che aveva quando combinava qualche marachella e si avvicinava timoroso alla mamma o al papà senza riuscire a chiedere scusa.


I giorni passavano, agosto era agli sgoccioli, tra un po’sarebbe iniziato l’asilo. Anna non tentava più di chiamare Ippogrifo, e quando vedeva una bicicletta distoglieva gli occhi.
In un mattino piovoso, uno di quelli in cui Paolo era costretto a star chiuso in camera a fare i compiti, la bambina vide sulla scrivania un libro dalla copertina rossa.
“Questo è il libro che mi leggeva lo zio”, urlò rivolta al fratello.
“No, questa è la storia  che devo leggere io prima che inizi la scuola, se voglio evitare dei guai”, rispose Paolo deciso. Poi, cercando di addolcire la voce, aggiunse: “Però se vuoi puoi prenderlo”.
Anna non se lo fece ripetere e stringendo nelle mani il volumetto rosso andò ad accoccolarsi sul tappeto. Se Paolo sosteneva la verità, dov’era finito il libro dello zio? Prima di allora non se l’era mai chiesto, comunque in fondo non doveva essere importante. “In un libro puoi trovare tutto quello che vuoi “, diceva sempre Giovanni, allora anche questo andava bene.
Così lo aprì, accarezzando dolcemente la copertina. E sfiorando le pagine, facendo scorrere le dita sulle righe, senza tralasciare gli spazi bianchi, Anna si ritrovò sulla luna. E guardando bene tra i caratteri d’inchiostro, in mezzo a tante zampette, riconobbe Ippogrifo.
“Sei tu?” gli fece Anna sottovoce.
“Sì”, nitrì Ippogrifo allegramente.
“Hai visto lo zio?”
“ Certo, era proprio qui un minuto fa e stava pedalando”.
“Dov’è? Non lo vedo!”
“ Deve essersi spostato su un altro foglio. Giovanni va forte, sbrigati che lo raggiungiamo!”
La bambina sorrise e girò la pagina.

N.B. La prima frase è tratta da “L’Orlando furioso”di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino.
L’ippogrifo era una creatura mitologica derivata dall’unione di un cavallo con un grifone, ma Anna, essendo una bambina, lo vede come un semplice cavallo alato.

 
 

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