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Veniva di lontano (2006)

Veniva di lontano, di là dall'Adriatico. Giovane, ma non si capiva quanto, e lui non lo disse mai. Aveva un viso strano, non brutto, anzi, ma scuro più d’espressione che di colorito. Rideva poco, ma talvolta sorrideva e quando lo faceva, strizzava gli occhi in modo simpatico. Sbarcato in qualche modo, vicino Ancona, che dalle sue parti si scannavano da anni e non c’era scampo dalla miseria, Marko, pastore in patria, venne a fare il pastore qui da noi. Un lavoraccio, su per i monti loro e nostri, in solitudine continua, che i locali mitigavano con qualche scappata a casa per qualche ora, chi dalla moglie, dalla fidanzata o per provviste fresche, comunque anche per scusa, tornare in paese, farsi una bella bevuta con gli amici. A lui, che nessuno accolse in casa, toccò la baracca di pietre e lamiera, vicino alla pietraia, dove c’era la sorgente d’acqua buona, legna da ardere e vi passava il sentiero che dalla valle, il paese, andava in cima al monte, alla croce di legno. Vigilava sul gregge, con due cani, mungeva ogni giorno e accantonava il latte in bidoni di alluminio che il padrone, coi muli, veniva giornalmente a ritirare. Poche battute sugli animali che si erano azzoppati o allontanati o persi, o recuperati. Una specie di contabilità giornaliera, da professionisti. Il padrone, che pareva preoccupato di non dargli più della giusta confidenza, ogni tanto gli portava delle riviste, di quelle patinate, dove il maggior spazio è occupato da ragazze procaci, eternamente in costume da bagno. Con un’occhiata d’intesa, tra uomini, non c’erano commenti da fare, di nessun genere.

L’estate cadeva verso l’autunno, gli alberi prendevano, a mano a mano, tutti i colori del giallo, sino al rosso bruno e il vento di tramontana, ora era più frequente e li spogliava. Marko aspettava le prime minacce di neve che avrebbero segnato il ritorno a valle, il trasferimento del gregge alle pianure vicino al mare, dove c’è gente, calore. Non che lo esternasse, ma era impaziente, come i suoi cani, quando si apprestavano a trasferire l’armento su un altro pascolo. Tuttavia, larvatamente, una preoccupazione insorgeva ogni tanto. Avvicinarsi ai luoghi abitati, voleva anche dire mostrarsi maggiormente e denunciare la sua presenza di straniero, che non essendo regolarizzata, poteva significare l’arresto, il trasferimento il quei lager che chiamano posti di accoglienza e rispedito in patria. La sua poverissima famiglia aveva dilapidato i pochi denari che avevano per le emergenze, per pagare il suo traghettamento in Italia. Tornare almeno con del denaro, altrimenti il fallimento era totale. Quindi era necessario restare per accumulare un po’ di soldi. La preoccupazione, ma anche il desiderio di contatto umano. Erano mesi che vedeva, come persona, il solo padrone delle pecore. Aveva finito da poco di mungere, i bidoni erano allineati vicino al sentiero, aveva mangiato un po’ di pane e formaggio e stava bevendo dalla bottiglia. Alzando la testa e il mento per bere, gli occhi, indipendentemente da lui che beveva, fecero il giro della cresta montuosa che gli era davanti. Scesero per il taglio costituito dal sentiero e captarono una visione, che lo fece sobbalzare, mandandogli l’acqua di traverso. Il sole era ancora alto e illuminava appieno quel pendio del monte e giurò a se stesso, di aver visto due persone, sicuramente donne, per via dei colori degli indumenti. Erano passati altre volte degli escursionisti, in gruppi anche numerosi, ma si era tenuto in disparte, solo i cani avevano fatto un putiferio. Già i cani. Come mai non avevano segnalato nulla, quelle persone potevano essere alla distanza di tre quattrocento metri in linea d’aria. La tramontana spirava verso quella parte. Ora sentiva le voci avvicinarsi e a sua volta si diresse verso il sentiero, per...incrociarle. Ansimava e non per la fatica. Una inarrestabile eccitazione lo coglieva e un turbine di pensieri lo frastornava, mentre le sentiva sempre più vicine. Apparvero e non si meravigliarono affatto di vederlo, l’avevano già visto di lassù, da una curva del sentiero e decisamente dirette verso di lui come per chiedere qualcosa.

- Buona sera. Quando siamo passate stamattina non c’era nessuno. Abbiamo visto la sorgente e vorremmo riempire le borracce, prima di scendere. Quanto impiega lei di solito, da qui al paese ? Chiese quella bruna, che pareva più spigliata e cordiale.

- Io, due ore. Voi forse tre, di passo buono.

Rispose Marko in italiano burbero, come fanno gli stranieri.

- Che bello quassù, ci sta volentieri?

Continuò la bruna, mentre l’altra si era avviata verso la sorgente, un centinaio di metri più là, dietro quei gattici e una quercia.

- Io pastore. Più bello paese.

La ragazza si era seduta su un masso, si asciugava il sudore, infilandosi la mano sotto la maglietta con un grosso fazzoletto per detergersi, lo stava facendo a lungo. Si sollevò un poco la maglia, nella manovra, scopriva un poco i fianchi e il ventre. Marko doveva aver preso quel fare come un segnale. Quante volte aveva sentito suoi compatrioti raccontare sulla libertà sessuale delle italiane, della loro disponibilità ai rapporti con l’altro sesso. E aveva in mente quelle della rivista, scorsa mentre cenava e deve aver pensato che era venuta per lui l’ora di fare quell’esperienza, che al suo paese era quasi proibitiva e che qui pareva comune. In breve l’eccitazione diventò parossistica, ebbe soltanto un attimo la sensazione che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma aveva la gola secca. Un lampo di pensiero lo riportò lontano a costumi e usanze del suo paese, che deve averlo scacciato subito, e il suo sguardo diventò gelido, la mascella contratta, pallido tremante come dovesse affrontare un mostro combattente. Afferrò la ragazza strappandola da sul masso e nello sforzo di trascinarla a terra, impiegò troppa energia che la mandò a urtare, con un rumore di ossa rotte, contro altri massi. Rimase lì immobile. La compagna, che aveva evidentemente visto la scena, urlando stava sopraggiungendo e Marko si girava su se stesso come cercando qualcosa da fare, non sapendo che. La sopraggiunta chiamava a gran voce il nome dell’amica ed in breve le fu sopra. Gridò inorridita alla vista di lei esanime a terra e un piccolo rivolo di sangue a lato della bocca. Urlò qualcosa all’indirizzo di Marko e fuggì a perdifiato verso il sentiero e verso fondovalle, cadendo più volte, ma via come impazzita. Lui fece il cenno di inseguirla, forse fermarla ma, frastornato, capì che era troppo lontana. Tornò verso il corpo della ragazza bruna, lo guardò a lungo, si passò le mani sul viso, come si fa in cerca di risposte, poi la sollevò sulle forti braccia e la portò dentro la baracca-ovile. L’adagiò sul suo giaciglio, pelli di pecora una sull’altra, una coperta colorata e più morbida, su tutto, disordinato come dal primo giorno. Bevve quasi d’un fiato, quasi un fiasco di pessimo vino che il padrone gli forniva. Vomitò il vino e la magra cena, barcollò a lungo fuori e dentro, mugolando una disperazione quasi animalesca. Lanciava invocazioni non si sa a quale dio, si percosse il viso, le mani, si sedette si alzò di nuovo. Andò a chiudere la recinzione di sterpi perché gli animali non si allontanassero e legò il cane anziano all’ovile. Ormai era buio, rientrò. Si spogliò completamente nudo, spogliò la ragazza morta e si sdraiò accanto a lei. Senza guardarla mai, con la sinistra l’accarezzava quanto poteva, il ventre, le cosce, il pube e il sesso, mentre con l’altra accarezzava se stesso, come fosse la mano di lei e a lungo il membro, finché ebbe un orgasmo, poi un altro e un altro.

Si alzò, bagnato di sudore e dei suoi umori, uscì dalla baracca, sciolse la corda che legava il cane alla recinzione, la prese con se e si diresse verso la sorgente. Il cielo aveva solo il lucore delle stelle, spirava un’aria fresca con sentori di bosco, e di animali, ma gradevole, carezzevole.

Non era ancora l’alba quando, silenziosamente, arrivò la polizia, con il padrone delle pecore. Entrarono nella baracca, ne uscirono subito guardando a destra e a manca. Subito uno degli agenti chiamò da là, verso la sorgente: Marko era appeso per il collo, con la corda del cane, all’ultimo ramo vivo della quercia.

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