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Il romanzo dell'arte occidentale 8) Categorie. Il ritratto.

Se prendiamo a oggetto della nostra considerazione una cosa come il ritratto, osserveremo che essenzialmente esso ci presenta due referenti figurali: la Imago Hominis e l’Ecce homo, che sono poi in sostanza lo stesso. La  Imago Hominis (H I S) è essenzialmente più una teologia che una raffigurazione. E la vediamo in effetti emergere e incrementarsi più che altro in area romanico-bizantina, in un ambito cioè ancora remotamente morale e edificante, più che non artistico. E, NB, quanto più è morale, tanto meno è umana, spaziale e realistica. In ambito bizantino, poi, questa mancata  veridicità dell’immagine arriva ad assumere una franchezza deliberata quando, a seguito di una seconda ondata iconoclasta (e dopo che una prima aveva già causato molte distruzioni d’immagini sacre), venne indetto un sinodo da parte delle autorità politico-religiose proprio per dirimere la questione delle immagini. Così il secondo sinodo niceno (787) sancì la definitiva liberatoria delle immagini e ne fissò una specie di normativa. Le immagini, dipinte o a mosaico, in chiesa, di massima, o comunque in luoghi pubblici e anche in casa, dovevano riferirsi in prima istanza al Cristo, il Cristo Pantocratore, poi alla Madonna, ai santi e in seguito eventualmente anche a personaggi significativi della nomenclatura politico-religiosa bizantina.
Le immagini venivano composte per la venerazione e, datasi la stragrande maggioranza dei fedeli per analfabeta, per loro istruzione e introduzione alle storie sacre. Non dovevano essere adorate per sé, ma venerate per il loro contenuto “narrativo”, per così dire, di modo che il loro aspetto, pur obbedendo ai codici estetizzanti della cultura bizantina, doveva apparire astratto, ossia spirituale, non somigliare alla carne e alle ossa dei mortali. Queste norme si imposero universalmente e, anche a insaputa, immaginiamo, degli stessi artisti, finirono per influenzare e “dirigere” il “tocco” di pressoché tutta la pittura occidentale. Fino al gotico, appunto.
Ora, se noi tracciamo una linea, per esempio, dal Cristo Pantocratore di Tahull e, passando per il romanico-gotico, per esempio dal Cavallini a Duccio Da Boninsegna, o Giotto, arriviamo all’autoritratto di Dürer, che ci scrive sopra “Ho ritratto me stesso a mia immagine e somiglianza”, ecco che ci si sciorina sotto gli occhi, attraverso le immagini, tutto quel percorso che dal disperato misticismo visionario dei proto-romanici, porta alla centralità dell’esperienza soggettiva dell’individuo e alla sua giustapposizione al valore trascendentale e ultraterreno del rappresentato. Ossia, la bussola del valore si inverte di segno, “atterrando” dal cielo di Dio ad altezza d’uomo. Era questo l’Umanesimo che i gotici inconsapevolmente stavano già covando. Questa trasvalutazione a rovescio, questa trasmigrazione dell’Anima Mundi dal Dio all’uomo. Perciò era focalizzata in Cristo, nel Dio-fatto-uomo, la loro gnoseologia. E perciò anche, e in una completa inconsapevolezza, furono loro stessi i capostipiti della laicità.
Ed ecco come a Tahull un Cristo astratto, dipinto a larghi à plat cromatici, circondati da un segno perentorio che li astringe nell’implacabile contorno grafico della figura, che del resto risulta a sua volta ingabbiata in un’aureola variopinta, ma invalicabile, come in una conchiglia sottovuoto, ossia esente da coordinate spaziali; ecco come una tale Imago Hominis “celeste”, dalle sue guance e dalle sue ombre, disegnati come ornamenti, trabalta nel chiaroscuro “naturale” del Cavallini, che Giotto tenterà di perfezionare per adeguarlo alla sintesi oramai spaziale che egli opererà fra la tradizione gotica e quella bizantina. Diventando una reale immagine d’uomo.
E se quest’uomo è ancora il Dio incarnato che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, il passo successivo, sintetizzato dal “gesto” di Dürer di “crearsi” a propria immagine e somiglianza, sarà quello di spodestare Iddio dal suo trono celeste e, in un’eroica auto-genesi dell’autocoscienza artistica e filosofica, porre l’uomo, l’essere umano, trionfante e doloroso, superbo ed affranto, al centro di tutte le cose.
Così, la Imago Hominis non sarà più il volto del Cristo, ma la immagine dell’uomo, vero, reale, carnale: l’immagine vista dall’uomo. Cioè, la prospettiva.
 

  
 

 

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