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Un uso "distorto" del verbo sedurre

Quanto stiamo per scrivere farà storcere il naso a qualche linguista (i vocabolari, infatti, “dissentono”), ma siamo convinti della bontà della nostra tesi. Intendiamo parlare dell’uso “distorto” del verbo sedurre. Il significato proprio di questo verbo - come sostiene il Tommaseo - è “condurre fuori della via retta, con frode piú che con forza, e senza che il sedotto se ne avvegga, in tutto, ancorché colpevole anch’esso del cadere”. Sedurre significa, insomma, “condurre a sé” qualcuno, sottometterlo alla sua volontà. È il latino “se ducere” (http://www.etimo.it/?term=sedurre&find=Cerca ). Nel “sedurre”, dunque, c’è sempre l’idea dell’inganno nascosto, dell’allettamento ingannevole, dell’insidia: la sedusse con belle parole. È adoperato in modo improprio, “distorto”, quando manca l’idea dell’inganno, del male: questo libro mi seduce (dov’è l’inganno?). A nostro modo di vedere, insomma, non si può dare al suddetto verbo un significato che propriamente non ha, e cioè dargli l’accezione di “piacere”, “attrarre”, “deliziare”, “persuadere”, “commuovere” e simili. Nell’esempio precedente, quindi, la forma ‘corretta’ è: questo libro mi piace, mi diverte, mi alletta.
 

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