Ieri ero preso da quattro luci all’orizzonte.
Non quattro come contare i miei capelli,
piuttosto una quantità che le dita di Rossella
a stento contenevano. Non sono riuscito
a pensarle sole, nemmeno stelle – data l’ora –
ma posso affermare che un ricordo chiamava
sottovoce da quell’unica direzione che porta
alla luce antichi clamori o gesti persi dagli occhi.
Lo racconto con aria distratta, perché
è utile fermare il respiro per un attimo solo,
non tanto a lungo, altrimenti il malessere diventa
motore e rende sempre più veloce l’urto dei globuli
nelle vene, nelle aorte, e all’orizzonte – violenti –
tutti quei punti luminosi esplodono
in una inflorescenza tremenda di suoni e biancori.
Vorrei, vorrei, vorrei: Ti, ancora, sempre... Respiro, adesso.
Erano le dieci di domenica mattina: non posso giurarci,
ma guardavo Rossella come all’orizzonte
più grande di me.
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