Una lingua dolce, setosa | erotismo V.M. 18 | Winston | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Una lingua dolce, setosa

Una persona cercò tra le pagine della propria vita una parola che non fosse quella venutale subito alla strozza.
- Non voglio sentirmi come il Sordomuto che ogni volta che deve dirmi qualcosa mi urla in faccia. Poiché, poi, è sempre irritato per quel suo difetto, di cui egli non ha nemmeno colpa, io neanche, dalla gola non gli esce ripetutamente altro che quell' arghhh. (quel per gli impuri) Non che non si faccia capire, perché basterebbe prestare attenzione ai toni delle corde e alla direzione degli occhi per capire se ce l'ha con me o con qualcun altro, se crede di aver subito un torto o è soddisfatto con il mondo intero o con certi in particolare, se desidera solo compagnia oppure vorrebbe starsene solo, ma è che è balzano. Spesso, senza neppur mettersi seduto, cambia atteggiamento e passa da un balenio sorridente e curioso dello sguardo ad un'espressione torva. In tal modo, non si riesce mai a seguirlo, a sapere come ci si dovrebbe comportare.
Il Sordomuto è la donna, o l'uomo che ho sposato tanti anni addietro, che quasi non li ricordo più.
Al contrario, ho perfettamente stampate a colori le foto di un prato di primavera, le fattezze degli amanti. Di coloro che mi hanno amato, le persone che non solo sono riuscite a prendermi, pure occasionalmente: per la strada, su un treno, un autobus, alla fermata di un semaforo, in un bar, una pizzeria, un supermercato, un locale per una pausa purché vociante o incantato, pieno di sogni di vita, che gliene frega delle malinconie, e hanno desiderato solo stringersi e stringermi sinuosamente sulle panche, alle casse, o scivolando lentamente dagli agabelli e tavolini in plastica giù fino ai pavimenti lucidi; boa con le fauci aperte ad angoli ottusi su uno schizzo di gamba, una caviglia, un seno, o una guancia di sorriso che avrebbero voluto annusare, il pene, portarlo ad erigersi per fronteggiarsi le teste, ingoiarlo fino all'estenuazione e vomitarlo, perché come dicevano gli inglesi: soldato che fugge buono per un'altra volta; dissanguarti però, per quel giorno o quella notte, o infilare capo e coda dentro il tuo ventre, o ventre ano e bocca, scorrendo le spire sui tuoi fianchi a sinusoide e sulla schiena, fino a tramortirti prima ancora di ogni impatto.
Io li chiamo preliminari, dove una lingua ha non il diritto, ma l'obbligo, di saettare liberamente fuori e mostrarsi. Una lingua biforcuta, nessuno spavento, non per così poco.
Una lingua dolce, setosa.
L'avete mai provata la pelle di un serpente tra le dita, le avete mai permesso di stordirvi la gola, ottenebrarvi la mente solo al pensiero che essa si possa avvicinare a voi, al vostro sguardo perduto con il suo fare suadente, con quel mancato calpestio del suolo? A volo d'uccello.
Sarà per questo che gli uomini indifferentemente, di ogni genere, si inteneriscono immaginandosi le piume planare loro sui volti, sulle labbra? Le sputacchiano via con un garbo da innamorandi?

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