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la volta in cui celinio sfidò il nazi-fascismo

lo conobbi il secondo anno della scuola superiore il piccolo Giuda, Stello Andreozzi, una mattina che ci fu un gran baccano all’uscita e ad un ragazzo gli strapparono un pezzo d’orecchio, a morsi.
“io voglio essere buono con te…Giulio ha sbagliato –per via dell’orecchio intendo…ma se tu ti metti a fare sti proclami contro il negazionismo…ste robe da comunisti…vedi, Mario, è tutta una balla, non c’è stato mai niente. niente.”
 aveva la forza crudele del leader e il soprannome gli derivò probabilmente da quel suo senso sprezzante d’inumanità o, forse, dalle strampalate idee sul ruolo dell’uomo nel mondo, che apparivano ancora più inverosimili indosso ad un ragazzo d’appena 15 anni.
io, al tempo, c’avevo un senso inutile della giustizia nel cervello, incantato com’ero dai buoni sentimenti della vita, e proprio non lo reggevo quell’Adolfo dal cazzotto facile, quella specie d’insulto alla purezza dell’adolescenza, e mi stavo decidendo a combinargliene una, da quando vidi quel frammento di lobo insanguinato nel marciapiede polveroso della scuola. così m’armai di buon coraggio e una mattina di manifestazione, nudo come l’anima di un angelo, gli andai incontro e con tono irrisorio gli feci: “Andreozzi, quello che rispetto di te, è soltanto che c’hai na’ madre come quella! c’ha dentro gli occhi ‘na voglia che pare ‘na mignotta. tutta sesso quella donna, mamma mia!” lui guardò incarognito i suoi compari e estrasse da un taschino nello stivale il tirapugni, una cosa di metallo e pelle che s’infilava nella mano e ti faceva diventare le nocche alla Robocop, poi mi guardò, sputò per terra e disse: “celinio, sei la feccia dell’Umanità…ti pesto la faccia come fossi un mortaio…ti riduco così male, che manco tuo padre ti riconosce all’obitorio…” poi partì, da solo, con li scagnozzi che rimasero appoggiati al muretto, come nel livello finale d’un videogioco –il cattivo contro il buono, il Male contro il Bene, l’eroe e l’antagonista- e me ne tirò uno, che ancora me lo ricordo tutto quel sangue che spruzzò a getto, come se m’avesse fatto scoppiare l’occhio, come nei film di Rocky. non caddi, resistetti in piedi, ma la vista mi s’annebbiò e indietreggiai d’almeno 5 passi, con le ginocchia che mi facevano giacomo giacomo, con un dolore profondo, mai provato prima, forse. ma mentre mi si faceva incontro nuovamente, gli sferrai un calcione all’altezza del ginocchio, e cominciai a menar pugni, in faccia, in testa, come un ossesso. fu a quel punto che Giulio e King Kong, i gorilloni, si destarono dal torpore e fecero quei venti metri più veloci di Usain Bolt a Pechino 2015 e mi puntarono. fortuna volle, quella volta, che proprio mentre le bestie mi venivano in contro, proprio in quel momento, col piccolo Giuda finito fuori combattimento per terra, passarono da quella strada due poliziotti, due pischelli, anche loro, che forse erano in servizio da n’annetto o due, e si misero fra loro e me, la salvezza, la gioia!
la storia finì che ci portarono in caserma tutt’e quattro e ci tennero lì dalle 6 alle 8 ore, ora non ricordo, ma poi finì a niente, non immolarono celinio come il vendicatore dei deboli e non bollarono Andreozzi come una testa calda nazi-fascista che seminava il terrore tra i giovanotti, ci fecero una predica, del tipo, ragazzi, d’ora in poi, tenete le mani a posto o sono guai, chiamarono i nostri genitori e ci lasciarono andare. Andreozzi e suoi compari continuarono a fare lo schifo dentro la scuola e ci lanciavamo degli sguardi rabbiosi e fulminanti, poi passarono gli anni, ci diplomammo e non lo vidi più. probabilmente sarà finito in galera, probabilmente sarà a capo di una grossa multinazionale, fatto sta che la morale di questa storia non l’ho mai capita, e forse è da allora che ho cominciato a non credere più negli uomini e ad arrendermi a una società ingiusta, non lo so, forse è così, ma non m’interessa nemmeno saperlo.       

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