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Non diceva mai quello che lei voleva sentire, lo diceva, ma in altri momenti, quando era presto, quando era tardi, quando lei non c'era. La esasperava di imprevisti, appendeva al chiodo della sua pazienza quello che gli saltava in mente, per lei il chiodo diventava un aspo, che gli serviva a dipanare il filo del discorso, raggomitolava le intenzioni di quel folle, come fossero vere, le intrecciava come fosse futuro.
“Mi senti? Sono qua, vicino al sentimento, non mi chiedere quale, non lo conosco, è il tuo, dovresti saperlo tu, ma tu non me lo dirai, mi vuoi preveggente, stropicci il mio sentire di batuffoli imbevuti di canfora”
“non ti capisco”
“è perché sono ingrassato, te lo dicevo che io non centravo in tutto questo”
“parlami d'amore”
“aspetta che mi avvicino alle tue labbra, così mi capisci, ritorni mare, liquido e sale”
“questo non è parlare d'amore”
“è vero, una brodaglia che ti intruppa, ma questo so dell'amore”
“menti”
“sì, non so nemmeno quello”
Dopo i loro corpi si univano, i discorsi prendevano la forma del come e del dove, li lei lo capiva, di tutto quello che si era detto, rimaneva soltanto una vaga interpretazione, come se fosse fatta da un elaboratore, qualche parola chiave, che apriva il discorso a infinite interpretazioni. Ognuno si prendeva il suo ruolo, segnava tempi e distanze, favoriva i suoi mezzi, l'arrivo era sempre stentato, inciampava di fraintendimenti, crampi, stiramenti.
“ti è piaciuto?”
“cosa?”
“quello che ti è piaciuto”
“allora no”
“preferisci gli sbagli?”
“voglio il tuo amore”
“te l'ho dato”
“non l'ho sentito”
“lo dovevi vedere”
“avevo gli occhi chiusi”
“era bellissimo”
“comunque ti ho capito”
Dopo dormivano sempre abbracciati, lui, con le labbra sul suo orecchio, continuava per un po' a dire cose che forse avrebbero potuto essere capite, prima o dopo o quando lei sarebbe stata presente, nel momento erano solo una ninna nanna, un mantra di imprecisioni, era solo quando lei si addormentava, che nel suo sonno dialogavano, dandosi domande e risposte.
 

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