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Il Mostro

Francisco Maria Rivelino Moonster, era conosciuto da tutti i telecronisti del mondo come Frankye Moonster, o più semplicemente il Mostro. Era stato calciatore dalla fine degli anni 70, fino all’inizio degli anni 90. Aveva giocato nei migliori campionati di calcio sudamericani ed europei. Suo padre era un emigrante tedesco, sua madre era un’india del Messico. I suoi genitori non si erano mai sposati. Suo padre aveva già una famiglia in Germania. Quando Francisco nacque, il signor Moonster rimase solo il tempo di sentire i suoi primi vagiti, dargli il suo cognome e poi scomparve per sempre. Né sua madre, né lui l’avevano più visto; né tanto meno si erano mai presi lo scomodo di cercarlo.
Francisco era cresciuto in una favela, esposto a tutte le vicissitudini del caso, aveva conosciuto la galera, la droga e tutto il resto. Sarebbe stato un caso umano come tanti altri, se non avesse avuto la fortuna di essere un fenomeno nel dare calci al pallone.
Dal padre aveva ereditato il fisico da superuomo di razza ariana, direbbe ancora qualcuno oggi, dalla madre e dai suoi antenati indi, aveva ereditato la pelle scura e l’istinto omicida. Per lui fra il campo da calcio e le strade dove era cresciuto non c’erano molta differenze. Nel primo caso c’erano i difensori avversari che non ci pensavano due volte su ad entrargli duro nelle gambe pur di fermarlo, nel secondo caso c’erano quelli delle bande rivali che quando lo incontravano non stavano lì certo a complimentarsi con lui. In ogni caso l’importante era uscirne sempre vincitore, o al massimo riuscire a riportare la vecchia pellaccia a casa ogni sera.
Franckye era chiamato il Mostro, non solo perché aveva il volto da serial killer, ma anche perché sparava cannonate che facevano schizzare il pallone oltre i 150 Km orari e all’epoca i palloni di cuoio erano un bel po’ pesanti e magari qualche portiere o qualche avversario preferivano scansarsi e prendere qualche gol, pur di non rischiare di finire con le ossa rotte.
Franckye aveva vinto un bel po’ di trofei a livello di club, gli era mancato solo il mondiale con la sua nazionale, ma non si può avere tutto dalla vita. Era stato osannato dai giornali di tutto il mondo e, malgrado non fosse bello come un divo del cinema, aveva avuto tante ammiratrici e anche tanti soldi. Ma gli anni erano passati abbastanza in fretta e il vecchio attaccante aveva dovuto cedere il posto a nuovi fenomeni e anche la stampa l’aveva relegato nell’olimpo delle vecchie glorie, che rimane un modo carino per dire che l’avevano buttato nel ripostiglio dei calciatori dimenticati. Ai suoi tempi non c’erano ancora i social e quando uscivi di scena, con molta probabilità ne uscivi per sempre. Tra vizi e feste varie, anche gran parte dei soldi guadagnati erano finiti. Fu così che il vecchio Mostro, era finito per essere un comune mortale sull’orlo della disperazione, come ce ne sono tanti sulla faccia della terra.
Fortuna aveva voluto che un autore di programmi televisivi in vacanza di piacere dalle sue parte l’aveva incontrato e riconosciuto in un bar. Questo tizio, che da bambino era stato un suo fun, non l’aveva mollato per tutta la sera, gli aveva offerto da bere un drink dietro l’altro e gli aveva riempito la testa di chiacchiere e alla fine l’aveva convinto a firmare un contratto per partecipare ad un reality show, dove persone che una volta erano famose, o di fama di terzo o quart’ordine, vivevano su un’isola dei Caraibi facendo finta di essere naufraghi.
Frankye, non ce l’aveva la televisione in casa, e gli venne da chiedersi come poteva la gente seguire una cosa simile, ma visto che si trattava di guadagnare un po’ di soldi puliti senza tanti sforzi, decise di accettare, e poi una vacanza ai Caraibi era una vita che voleva farla.
Era la quarta settimana del programma, Frankye aveva capito come funzionava la cosa. Aveva anche superato due volte la prova del televoto ed era rimasto a parcheggio sull’isola caraibica. Alla gente da casa sembrava che andasse a genio, gli altri partecipanti del programma invece lo odiavano, ma nessuno aveva il coraggio di dirgli le cose in faccia. La cosa un po’ gli dispiaceva. Non era tanto il fatto di non piacere, ciò che gli dava tanto fastidio era quel vocio sommesso che gli capitava di sentire da lontano tutti i giorni e che si interrompeva non appena si trovava a passare. I concorrenti parlavano male di lui anche quando le telecamere erano spente. Eppure non aveva fatto del male a nessuno, almeno fino a quel momento riteneva di essersi comportato abbastanza bene con tutti. Era proprio che non apparteneva a quel gruppo di aperetivari, mangiatori di finger food e musicachillouttomani, quelli facevano parte tutti della stessa cricca e lui non aveva la benché minima idea di volerne far parte.
Peggio delle donne, erano i concorrenti maschi. Erano i più fregnoni di tutti, avevano il corpo completamente depilato e macchiato di tatuaggi. Anche lui era tatuato, ma i suoi tatuaggi avevano un significato vero, erano un linguaggio in codice e risalivano al tempo in cui era stato in carcere. Se li era guadagnati a suon di cazzotti e notti passate in bianco a vegliare sulla sua stessa vita in una cella tre metri per dieci, in compagnia della peggiore feccia del mondo.
Gli uomini che partecipavano con lui al programma, avevano tutti corpi atletici e muscolosi, ma affrontavano ogni situazione piangendo come bambini e questa era una cosa che lo mandava proprio fuori di matti, sembravano essere fatti di cristallo, che si scalfivano solo se parlavi con un tono di voce un po’ più alto.
Dalle parti dove era cresciuto lui, c’era un tizio che era nato con un solo braccio e che una volta durante una rissa, fece fuori tre uomini, prima che la polizia lo abbattesse a cannonate. Il mondo stava andava a rotoli anche per questo tipo di atteggiamento.
Il guaio era che questi tipi qui erano gli esempi ai quali si inspiravano le nuove generazioni. A guardare come erano diventati fiacchi gli uomini, al Mostro non sembrava neanche tanto strano se nel prossimo conflitto bellico serio, gli Stati che avrebbero potuto permetterselo, avessero utilizzato l’atomica. Se questo era il materiale umano, per i governi occidentali sarebbe stato impossibile contare sui propri eserciti.
Erano le 4 del pomeriggio. Un paio di ore prima c’era stato un temporale improvviso. Era venuto giù uno scroscio d’acqua che era durato giusto una decina di minuti, poi il cielo si era di nuovo liberato dalle nuvole ed era tornato a battere il sole. L’acqua caduta sul suolo aveva impiegato un attimo ad evaporare e a rimanere sospesa nell’aria. Insomma, non solo facevano 40 gradi, ma c’era anche un’afa terribile.
C’erano in atto le riprese per la striscia serale del programma. La scena era questa. C’erano la valletta di un gioco a premi di vent’anni fa, che adesso aveva più di 40 anni, un accenno di pancia, le cosce piene di cellulite e le tette rifatte, che era impegnata in un discussione con un pornoattore famoso per le dimensioni del suo pene. Franckye e un altro giovane concorrente, ex partecipante di chissà quale programma pomeridiano, facevano da testimoni della disputa. Il loro compito era quello di stare dritti in silenzio attorno a loro, fingendo un’espressione allarmata e pronti ad intervenire se i toni della discussione si fossero alzati più del dovuto. Motivo della lite erano due scodelle di riso in bianco che erano scomparse misteriosamente la sera prima. Con tutto il ben di Dio che servivano al buffet quando le telecamere erano spente, quei due dovevano impegnarsi a dirsele di tutti i colori, accusandosi a vicenda di aver mangiato di stramacchio una cinquantina di grammi di riso scaldato, spinti dalla fame. I cameraman sudati fino al midollo, investivano fino all’ultima stilla del loro talento per saltare da un’inquadratura all’altra, con la loro pesante attrezzatura. Tra l’inquadratura di un volto e l’altro, c’erano sempre di mezzo le tette di gomma della valletta e il cazzo oltre la media da moscio del porno attore, ambedue costretti in costumini elasticizzati di una taglia più piccoli rispetto alla misura giusta. Era quello che si aspettava di vedere la gente da casa, non gliene fregava niente del riso in bianco, né del caldo, né dei sentimenti dei concorrenti, la gente non aspettava altro di vedere le tette e il cazzo anche ad ora di pranzo, o a metà pomeriggio, o un attimo prima di mettersi a tavola per la cena. Ma tutto doveva sembrare un incidente, perché il giorno, il pomeriggio o la sera non sono momenti adatti per vedere certe cose alla tele. Doveva sembrare un incidente per forza, altrimenti come si sarebbe potuto spiegarlo ai propri figli o alla propria coscienza? Come ci si sarebbe potuto scandalizzare, parlarne, protestare, scrivere la propria indignazione sui social network e far diventare l’episodio una questione di Stato, che ne avrebbero parlato anche i telegiornali e avrebbero organizzato dei talk show a posta? Per un cazzo e una tetta comparsi all’improvviso in televisione in fascia protetta, avrebbero smosso l’opinione pubblica, fino a far intervenire la politica, la Chiesa, i movimenti femministi, i centri sociali, i nuovi cantautori politicamente corretti e anche quelli scorretti, si sarebbe mosso tutto l’apparato e l’economia sarebbe girata per almeno un altro paio di settimane.
Il mondo era diventato una polveriera e a più di un balordo era venuto in mente di mettersi a fumare proprio a due passi dalla porta d’entrata. I capi di Stato giocavano a chi aveva il bottone più grosso come degli adolescenti nei bagni della scuola durante la ricreazione, piovevano bombe sui civili, c’erano bambini capaci di montare bendati un mitragliatore in meno di dieci minuti, ma alla gente piaceva ancora scandalizzarsi per le solite cose e su questo tutti riuscivano a portarsi a casa la pagnotta e a pagare il mutuo della loro casa.
La lite andava avanti e anche le riprese andavano avanti. I due contendenti ce la stavano mettendo proprio tutta a tirarsi merda addosso, parlavano a voce alta sbracciandosi un bel po’ in modo da smuovere la loro carne in eccesso. Per vincere la noia, il valletto cercava di intromettersi e fare da paciere, ma gli altri due lo zittivano appena questi cercava di rubare loro la scena. Franckye invece, ne aveva già le palle piene da un bel po’ e si limitava a sbadigliare quando le telecamera non lo inquadrava, e a guardare nel vuoto.
Il pornoattore indossava un perizoma, a Moonster che gli era di fianco capitava di cadere con lo sguardo sulle sue chiappe nude che lasciavano intravedere la ricrescita del pelo. Ogni volta che succedeva questo, il calciatore aveva un moto di repulsione e si spostava di lato, impallando la telecamera e  facendo bestemmiare l’addetto alle riprese.
- FRANK!- urlava il cameraman;
- Scusa amico, mi sono distratto- si giustificava il Mostro e si riprendeva da dove si erano interrotti.
Finalmente la sessione di riprese era finita e tutti tirarono un sospiro di sollievo.
In lontananza si vedeva la barca che si avvicinava per prelevare tutti e portarli all’albergo che era su un’altra isola.
I tecnici fecero un ultimo sforzo nello smontare le loro attrezzature il più presto possibile.
La valletta si aggiustò il reggiseno di una misura più stretto, mostrando per un attimo a tutti il suo ben di dio appena rimesso a nuovo dal chirurgo plastico.
Il pornoattore rimise dentro un testicolo che gli stava uscendo dal costume. Cercò di cingere con un braccio i fianchi della donna e di darle un bacio rappacificatore sulla guancia, ma lei lo scacciò e si allontanò verso la riva. Tutti videro la scena, ma il pornoattore li passò tutti in rassegna bruciandoli con lo sguardo, pronto ad aggredire nel caso qualcuno facesse un minimo commento. Sfidò tutti tranne uno. Frankye Moonster aspettava il suo turno facendosi schioccare le nocche, ma il pornoattore lo ignorò. Gli diede le spalle e anche lui si avviò lentamente verso la riva ad aspettare la barca. Una zanzara l’aveva punto su una chiappa e gli aveva lasciato un bozzo tutto rosso che cresceva sempre di più. Il Mostro osservò l’attore porno grattarsi il culo, mentre camminava.
- Ma Cristo Santo! – esclamò – Ma proprio col culo di fuori lo devono far stare a quello lì? – disse al giovane valletto, ma questi senza rispondere, tirò il mento all’insù e si recò verso gli altri due.
Frankye scambio un’occhiata col capo cameraman, che ricambiò con un sorriso.
- Me la dai una sigaretta? – gli chiese l’ex calciatore;
- Mi dispiace Frank, non fumo – gli rispose l’uomo.
La barca arrivò e caricò tutti. Il viaggio di ritorno all’albergo fu un vero calvario per il pornoattore. A furia di grattarsi dove l’aveva punto l’insetto, si era fatto crescere un bubbone rosso fuoco, che gli stava deformando tutta la chiappa. Si sentiva il fuoco di Sant’Antonio su metà parte del culo, non riusciva a stare seduto e gli tirava la gamba. Tentava di stare dritto in piedi, ma il movimento della barca lo sballottava a destra e a manca facendolo finire sugli altri passeggeri, che tendendo le braccia a fatica lo rimettevano in piedi, ma quello lasciato per un attimo ritto, finiva per riprecipitare su di essi  e ricominciava d’accapo la danza.
Il timoniere seduto a poppa con le gambe larghe e una mano stretta attorno all’asta che muoveva l’elica del motore, gli urlava di starsene seduto con l’idioma del luogo. Il pornoattore lo mandava a quel paese, e continuava a cercare di tenersi in equilibrio. Il bruciore e il movimento della barca lo mandarono completamente in panico. La vecchia celebrità dei film a luci rosse, cominciò ad urlare, a dimenarsi ed implorare la pietà di Dio.
Strinse l’elastico del perizoma con entrambe le mani e stava per tirarselo giù, ma Frankye Moonster lo fermò appena in tempo trattenendolo per un polso.
- Ehi fermo, non puoi mostrare il tuo gioiello a telecamere spente- gli disse;
- Fanculo le telecamere, non lo reggo più questo coso – replicò il pornoattore;
- Ascolta – continuò Frankye – Qui intorno è pieno di squali, sarebbe un peccato se ad uno di loro, venisse in mente di cenare con le tue palle stasera –
La minaccia del Mostro riuscì ad acquietare per un attimo il dolore del divo del porno, che se ne stette per un po’ piegato sul bordo della barca mostrando a tutti il suo culaccio col bubbone, la ricrescita di pelo e il filo infrachiappale del perizoma.
Frankye guardò di nuovo il capo cameraman, che continuava a sorridergli come uno che ne aveva viste anche di peggiori. Il Mostro gli ricambiò ancora una volta il sorriso,
- Meglio questo che farsi sventolare il cazzo in faccia per il resto del viaggio – commentò.
Appena arrivati sull’isola maggiore, il pornoattore si lanciò dalla barca e cominciò a rotolarsi sulla riva, piangendo ed implorando aiuto, lasciando basiti i turisti presenti, che lo guardavano ammutoliti senza sapere cosa gli fosse successo.
Scesero tutti gli altri, Frankye Moonster toccò terra per ultimo.
Il più giovane della troupe fu mandato di corsa a chiamare il medico nell’albergo, gli altri fecero capannello attorno al disperato. Con tutta quella gente in giro, la valletta non perse occasione di mostrare la sua carne nuova di chirurgo plastico. Si chinò sull’ attore per consolarlo e quasi tutto il seno gli strabordò fuori dal reggiseno. Rimasero coperti dalla stoffa solo i capezzoli. Gli occhi di tutti furono solo per lei. Se li sentiva addosso come un vestito. Si ostinava ad ostentare un’espressione seria, ma dentro di se rideva. Il trucchetto funzionava alla perfezione. Il chirurgo delle star era caro, ma faceva dei gran lavori. Presto sarebbe tornata di nuovo sulla cresta dell’onda e non avrebbe dovuto elemosinare mai più una vacanza ai caraibi, né un party in piscina, né un gioiello, né una partecipazione in qualche programma televisivo nella fascia mattutina.
La valletta continuò la sua pantomima da crocerossina. Si sedette sulla sabbia bagnata, prese la testa dell’attore, che se ne strava sdraiato a pancia in giù, e se la mise sulle gambe. Cominciò ad accarezzargli la guancia. L’attore se ne stava con gli occhi chiusi sulle sue cosce.
- Fatti coraggio tesoro, fra poco arriva il medico – gli diceva in modo che tutti potessero sentire,
- Fatti coraggio tesoro -  gli ripeté,
- Fatti coraggio tesoro – continuava a dirgli, passandogli una mano fra i capelli.
Sembrava  una scena di una ficton.
- Fatti coraggio tesoro –
- Piantala, ti prego – l’attore ne aveva abbastanza,
- Perché mi dici così? – piagnucolò la valletta,
- Piantala ti ho detto, sto male –
- Oh e cosa ti senti? Dimmelo! –
- Sta zitta, non puoi capire –
- Certo che ti capisco – insisté la valletta,
- Mi brucia il culo – replicò l’attore.
Ci fu una risata generale. Alla valletta le si seccò la gola dall’imbarazzo, abbassò lo sguardo, -Stronzo – gli soffiò all’orecchio, si alzò e lo lasciò affondare con la faccia nella sabbia.
Frank ne ebbe abbastanza di aspettare l’arrivo del medico e si avviò verso l’albergo. Si sentiva distrutto. Aveva bisogno di una birra, di una sigaretta e - perché no? – anche di una doccia, anzi prima di una doccia.
Il calciatore entrò nella sua camera. Rovistò dappertutto in cerca delle sigarette, ma non le trovò. In camera era vietato fumare e forse la cameriera pulendo le cicche che lui aveva lasciato in giro la sera prima, aveva fatto la spia al direttore e gliel’avevano sequestrate quando lui non c’era. Non avevano avuto il coraggio di affrontarlo. Il Mostro sbuffò ed aprì il frigo bar della camera. Avevano portato via anche le birre. Forse si erano accorti anche che quando beveva diventava molesto.
- Porca puttana! – sospirò Frankye.
Si spogliò e si buttò sotto la doccia.
Il Mostro si era appena infilato le mutande, quando qualcuno bussò alla porta. Andò ad aprire e si trovò davanti uno degli assistenti della produzione. Era un tappetto di al massimo 1 metro e 60, era giovane, ma aveva già perso quasi tutti i capelli. Aveva un paio di occhiali dalla montatura spessa, poggiati su un paio di orecchie a sventola. Aveva l’aria da sfigato, forse per questo era un tipo simpatico a tutti, Frankye compreso.
- Frank, il capo ti aspetto nel suo ufficio – il capo era l’autore che l’aveva messo sotto contratto e che dirigeva tutta la baracca.
- Ok mi infilo la camicia e sono pronto – Il Mostro fece qualche passo indietro per prendere la camicia.
- Frank –
- Si? –
- Già che ci sei, infilati anche un paio di pantaloni- disse il ragazzo ridendo e scomparve.
Frankye entrò nell’ufficio del capo senza bussare e si sedette davanti alla sua scrivania.
Il capo era impegnato in una discussione a telefono. L’aria condizionata era sparata a palla nella stanza. Il Mostro, che era da poco uscito dalla doccia, fu scosso da un paio di fremiti di freddo. Il capo, con la cornetta attaccata all’orecchio destro, se ne accorse e godè vedendolo tremare.
L’uomo seduto dietro la scrivania, vestito in giacca e cravatta, coi capelli gelatinati tirati all’indietro, rimase a parlare a lungo, senza considerare il suo ospite, che continuava ad aspettare il suo turno, grattandosi la caviglia ed ispezionandosi lo spazio fra le dita del piede, per vincere la noia e il freddo.
- Come sta? – chiese secco il capo al telefono. Stava parlando con l’agente del pornoattore.
- Gli hanno fatto un’iniezione di cortisone per fermare il gonfiore. Adesso è in camera che sta riposando, era molto agitato. Gli era cresciuta quasi una terza chiappa, dovevi vederlo – rispose la voce all’altro capo del telefono.
- Finalmente, l’ha trovato qualcuno che gli facesse il culo – scherzò maligno il capo, ma nessuno rise.
- Domani sera c’è la diretta, riuscirà a stare in piedi? – tornò a chiedere serio il capo;
- Certo, faremo il possibile per farlo partecipare –
- Perfetto –
- C’è solo una questione – disse l’agente
- Cosa? – chiese il capo
- Ha detto che non vuole più indossare il perizoma –
- Cazzate! – sbottò il capo;
- Di sera ci sono ancora più insetti in quel posto – ribatté l’agente;
- Non me ne frega niente se ci sono insetti in quel posto – lo rimbrottò il capo – Farò spalmare la pomata a tutti, finanche nel buco del culo; chiamerò l’aviazione per fare la disinfestazione. Ma domani sera lui dovrà farsi vedere in perizoma. Ci sono milioni di spettatori che non aspettano altro di vedere il suo affare, che è l’unica cosa interessante che lui ha, e i soldi degli sponsor dei costumi sono quelli che mantengono in piedi l’intera baracca –
- Vedrò di convincerlo – cercò di mediare l’agente, che al suo stipendio ci teneva;
- Digli che se non mostra il culo e il cazzo, può anche farsi le valigie e andarsene a fanculo in Italia – urlò il capo e riattaccò la cornetta.
Ci fu un attimo di silenzio. Il capo fissò il calciatore, come se lo vedesse per la prima volta. Il Mostro, abbozzò un sorriso di circostanza, - Salve capo! – gli disse.
Il capo non gli rispose, tornò ad assumere la sua espressione tremendamente seria, tirò un lungo respiro col naso, aprì un cassetto alla sua destra, tirò fuori un blocchetto ad anelli, con su scritto la parola  “Copione”, e glielo sbatté davanti sulla scrivania.
- L’hai letto? – gli chiese secco il capo.
- Qualcosina – rispose quasi imbarazzato Franckye.
- Aprilo a pagina 72 –
Frankye eseguì. Girò lentamente il copione verso di se e lo aprì a pagina 72.
- Leggi –
Il Mostro fissò il capo negli occhi. Il capo rimase impassibile e sostenne lo sguardo del calciatore.
- Leggi, cosa c’è scritto – continuò il capo.
Ci fu ancora un attimo di silenzio fra i due. Continuarono a fissarsi nelle palle degli occhi, nessuno dei due voleva mollare. Che Franckye avesse fegato era una cosa risaputa, adesso bisognava capire quanto ne avesse il capo.
- Le-ggi – continuò piano questi da dietro la scrivania con le dita che stringevano forte i bordi del tavolo.
- Non ho gli occhiali – lo sfidò l’ex calciatore.
- Leggi per Dio!!!! – irruppe isterico il capo, emettendo un gridolino acuto che fece sorridere il Mostro.
- Ok bello, hai vinto tu – acconsentì la vecchia gloria del calcio.
Si schiarì la voce, accostò il blocco più vicino alla sua vista e cominciò a leggere ad alta voce.
“Valery trova in Franckye Moonster una persona capace di ascoltarla. L’uomo ha più o meno l’età che dovrebbe avere il padre della ragazza che è morto quando lei aveva appena 8 anni. Frank e Valery passano molto tempo assieme, parlano di tutto e di tutti, l’uomo si rivolge alla ragazza sempre con modi gentili, lui la difende durante una discussione con tutto il gruppo, lei gli dà una mano a costruire un piccolo rifugio. Proprio in questo luogo, durante una chiacchierata notturna nasce fra i due un amore platonico”…
- Fermo lì – intervenne il capo.
Frankye smise di leggere.
- Platonico, hai capito bene? Sai cosa vuol dire platonico? – continuò il capo.
- Veramente no – mentì il calciatore.
- Te lo dico io allora cosa vuol dire platonico – il capo accompagnò il crescendo del suo tono di voce dando uno schiaffo alla scrivania – Platonico vuol dire per finta, Cristo santo! Vuol dire che lei te lo fa indurire fra le gambe, ma tu non la tocchi, Puttana Eva! Vuol dire che ascolti le sue stronzate durante il giorno e la notte, quando sei da solo a letto, pensando a lei ti tiri una sega. Hai capito adesso? – disse tutto d’un fiato il capoccia.
- Ho capito – rispose Frank,
- Ho capito un cazzo! – urlò ancora il capo – Dovevi solo far finta. Dovevate star lì quasi per baciarvi, ma poi dovevate fermarvi. Invece tu le sei saltato addosso, sono dovuti intervenire quelli delle riprese per separarvi. Ad uno gli hai perfino mollato un cazzotto! – il capo si era fatto rosso in viso, le vene sul collo stavano letteralmente per scoppiargli. Malgrado il freddo nella stanza, la fronte e le ascelle gli si erano inondate di sudore.
- Non sapevo che la cosa dovesse essere platonica – rispose il calciatore.
- Smettila di coglionarmi!!! – eruttò definitivamente il capo con gli occhi rossi dalla rabbia, - Brutto stronzo, ci è mancato poco che ti denunciassero – scaricò completamente la sua furia dando un pugno sul piano della scrivania.
Moonster guardò la scena impassibile. Stava per ridergli in faccia, ma si trattenne e si mise a fissarlo serio.
Il capo sbuffava aria dal naso senza sosta. Gli tremavano le mani per il nervoso. Aprì di scatto un cassetto della sua scrivania. Tirò fuori un porta sigarette e un accendino. Si mise in bocca una paglia e l’accese. Si stese sullo schienale della sedia e cominciò a dare delle grosse boccate mentre guardava in alto verso il soffitto.
Calò il silenzio per qualche minuto.
- Tu adesso devi fare una sola cosa – riprese il capo strapazzando il mozzicone nel portacenere, - Domani sera, durante la diretta, la conduttrice dallo studio farà riferimento a quello che è successo ieri e proporrà di eliminarti dal gioco. Tu chiederai scusa, piangerai, ascoltami bene, pian – ge – rai – e implorerai il perdono di Valery. Lei ti perdonerà, ti abbraccerà anche e farete la pace, ma alla fine verrai eliminato lo stesso. Non si può passare su queste cose. Il cazzo e le tette vanno bene, ma non possiamo ancora spingerci oltre, soprattutto se la ragazza in questione può diventare la mia ragazza da un momento all’altro. Sei fuori amico –
Frank questa volta rise sul serio. Era davvero tutto troppo comico.
Per il capo la questione era chiusa. Ignorò totalmente il suo interlocutore. Aprì un registro e cominciò a scrivere qualcosa su una pagina bianca.
- Ascoltami un attimo tu adesso – disse il Mostro. Il capo alzò lo sguardo sul volto duro del calciatore.
- Avevo su per giù 23 anni. Giocavo ancora in Messico. Due sere prima della finale di coppa ebbi una discussione con mia moglie. Uscii di casa e andai ad ubriacarmi in un locale. Pagai una baldracca e me la portai appresso fino a casa. Volevo scoparmela davanti a mia moglie. Non appena lei mi vide entrare con un’altra donna, le saltò addosso e la riempì di botte facendola scappare coi vestiti e metà dei capelli strappati via. Ma non fu ancora contenta. Andò via e ritornò dopo un’ora coi suoi fratelli ed un altro tizio che sembrava una montagna. Mi bastonarono in tre quasi per tutta la notte per farmi pagare quell’affronto. Sono rimasto svenuto quasi per un giorno intero e quando mi sono ripreso, ho avuto giusto il tempo per togliermi il sangue dalla faccia e andare allo stadio. Era la mia prima finale importante, tutti contavano su di me. Giocai tutta la partita con il naso e un braccio rotto e con gli occhi semichiusi dai pugni che avevo avuto in faccia. Eravamo noi i favoriti, ma perdemmo contro una squadra che non valeva niente e si era trovata in finale per puro caso. A fine partita ce l’avevano tutti con me. Il pubblico voleva la mia testa e c’è mancato poco che negli spogliatoi i miei compagni di squadra non lo accontentassero. Bene, nonostante tutto, non riuscii a versare una lacrima e se non piansi allora non credo che lo farò mai –
- Invece questa volta lo farai – ribatté il capo,
- Ah si? E chi mi farà piangere? – rispose Frankye.
Il capo pigiò un tasto dell’interfono e chiamò a voce alta: - Murph! Murph! Vieni subito qua, abbiamo una faccenda da sistemare –
- Chi cazzo è Murph?- domandò il calciatore alzandosi dalla sedia.
Il capo non rispose, ma le sue labbra si allargarono a formare un sorrisetto maligno, mentre dal corridoio sopraggiunse il rumore di passi lenti, ma pesanti come colpi di grancassa.
La porta dell’ufficio del capo si aprì e comparve un omone alto un metro e novanta, ma largo al punto che per superare l’uscio dovette girare il tronco. Era Murph. Non era muscoloso, ma non era neanche grasso. Era tutto un fascio di carne rivestito di pelle e peli neri e arruffati, che racchiudeva un altro fascio di carne, che a sua volta racchiudeva un altro fascio di carne e chissà quante volte la cosa si ripeteva fino ad arrivare alle ossa dello scheletro. Murph era tutta carne rivestita di pelle e peli arruffati, ma niente cervello. Sembrava essere stato programmato per fare una sola cosa. Una volta entrato nella stanza, guardò il capo, che con un cenno della testa gli indicò il suo ospite. La montagna di carne girò la testa verso Frankye e mostrò un sorriso da bambino di tre anni pronto a fare il suo giochino preferito. Mosse un passo in avanti, poi lentamente spostò l’altro piede.
- Ehi Murph, ragioniamo un attimo amico – tentò di fermarlo il Mostro, ma Murph continuava ad avanzare, lento ed inesorabile verso di lui.
L’omone era ormai giunto a meno di un metro di distanza dal calciatore, ma Frankye fu veloce come una saetta: prese dalla parte del collo una bottiglia di bourbon presente sulla scrivania del capo e la piantò con tutta la sua forza, dalla parte più spessa del fondo appena sopra la fronte, dove cominciava l’attaccatura dei capelli. La bottiglia si infranse e il bourbon schizzò negli occhi di Murph. Il gigante urlò per la fitta di dolore alla testa e per il bruciore agli occhi. Si coprì il volto con le sue manone. Cercò di pulirsi via l’alcol che lo rendeva cieco. Scoprì il volto nel tentativo di riacquisire l’orientamento, ma il Mostro gli scaricò un gancio sinistro dritto sul naso.
- Cristo Santo! – esclamò il calciatore, sentendo le ossa della sua mano sgretolarsi contro la faccia dell’omaccione. L’obiettivo però l’aveva raggiunto.
Murph crollò a terra facendo tramare tutto il piano. Sembrò quasi che il pavimento si dovesse aprire facendo precipitare tutti i presenti nel piano sottostante.
Il gigante giaceva a terra in stato di semi incoscienza. Il sangue gli colava dalla ferita che aveva sulla fronte e dal naso.
Frank prese il boccione pieno d’acqua coi pesci rossi, poggiato su un piano di una parete attrezzata e glielo versò sulla faccia.
- Dai Murph, svegliati – lo chiamò.
Murph alla fine si riebbe. Tirò un sospiro come quando vieni strappato via da un sogno. Alzò per un attimo la testa, ma ricadde di nuovo all’indietro. Tossiva e si lamentava. Respirava a fatica, teneva la bocca spalancata emettendo dei rantoli a causa del naso rotto.
- Dai bello, rialzati – Frankye gli porse il braccio destro. Murph lo agguantò con entrambi le mani. Il Mostro dovette puntare bene i piedi a terra per non ruzzolargli addosso.
- Dai bello, ddddaaaaiiii – i due fecero entrambi uno sforzo immane, il Mostro scorreggiò un paio di volte nell’impegno di fare da sostegno per il gigante. Alla fine però, Murph si rimise in piedi.
Avevano entrambi il fiatone. Murph abbracciò il calciatore.
- È tutto OK, amico, è tutto a posto – lo rincuorò Frank.
- Dai, ora vai a darti una sistemata in infermeria e poi vai al bar e ordina tutto quello che vuoi, offro io. - Il calciatore l’aveva resettato e riprogrammato. Il gigante non disse più niente, ma si voltò verso la porta. Franckye gli diede una pacca sulla schiena e lui lentamente come era arrivato, si avviò verso l’uscita.
Il capo aveva seguito tutta la scena muto, seduto sulla sua poltrona. Rimasto di nuovo solo con lui nel suo ufficio, Franckye si girò di scatto e lo fissò minaccioso.
- Adesso tocca a te – gli disse. Molto probabilmente aveva la mano sinistra fratturata, ma la sola mano destra era sufficiente per dargli una lezione.
Il Mostro fece per andargli incontro per prenderlo per la collottola della camicia, ma il capo diede un calcio al bordo della scrivania facendola scivolare sul pavimento, giusto quel tanto per aprirsi un varco e filare via per mettersi in salvo.
- Figlio di Troia – gli urlò dietro Frankye. Prese il registro, sul quale prima il capo stava segnando i suoi appunti, e lo scagliò fuori dalla porta.
Il calciatore era rimasto solo nell’ufficio del capo. Aveva il fiatone e gli tremavano le mani per la rabbia. Si piegò in posizione prona con le mani appoggiate sulle cosce. Ingoiò grandi boccate d’aria dalla bocca che teneva spalancata. Man mano che i suoi polmoni si riempivano d’aria si sentì più calmo e il livello di adrenalina scendeva sempre di più. Tirò un ultimo grande respiro prima di rimettersi in posizione eretta. Si era definitivamente calmato, ma al posto della rabbia era subentrata la stanchezza. Il Mostro si sentì fiacco come non si era mai sentito prima. “Sto invecchiando sul serio” gli venne da pensare.
Si mosse verso la poltrona lasciata libera dal capo e vi si lasciò cadere sopra. Vi rimase immobile per qualche minuto con gli occhi chiusi. Stava quasi per addormentarsi. Poi, riaprì di scatto gli occhi. Il condizionatore che continuava a sputare fuori aria gelida, continuava a dargli fastidio. Prese il telecomando e lo spense. Si accostò con la poltrona alla scrivania, tirò una cicca dal porta sigarette e l’accese. Cominciò a fumare tranquillamente. Si mise a frugare nei cassetti della scrivania, da quello più in basso prese un barattolino di metallo, tipo portapillole. Svitò il tappo e con gran sorpresa vide che all’interno vi era contenuta della cocaina. Ne aveva tirata su un bel po’ per non riconoscerla al primo colpo.
- Che figlio di puttana! – rise il calciatore.
Prese un pizzico di polvere fra il pollice e l’indice e la tirò su col naso. Si sentì percorrere da una scossa elettrica attraverso tutto il corpo.
- Wow! – esclamò completamente invaso dalla botta.
Di colpo si sentiva di nuovo meglio. Si guardò la mano tumefatta. Non gli faceva più male.
Provò a chiudere lentamente il pugno, ma non ci riuscì a causa del gonfiore.
Sapeva che più tardi sarebbe dovuto passare in infermeria. Ma per il momento non aveva voglia di muoversi dalla poltrona.
Riprese la sigaretta fra le dita e riprese a dare delle lunghe boccate.
Si sentiva bene. Era di nuovo padrone di se stesso. Era di nuovo libero. Un cavallo selvatico libero di fare quello che voleva e di andarsene dove gli pareva.
Sorrise mentre sputava fuori l’ultima boccata di fumo. Pestò la cicca consumata direttamente sulla superficie di legno, poi vi appoggiò sopra i piedi, incrociandoli l’uno sull’altro.
- Ehi Frank! –
Il calciatore volse lo sguardo verso la porta. Sull’uscio c’era il tappetto che era venuto a chiamarlo prima in camera. Il ragazzo guardò il disordine che imperversava nella stanza.
-  Ma cosa è successo qui? – chiese ridendo.
- Abbiamo avuto un diverbio io e il capo – rise di rimando il Mostro.
Il tappetto non riuscì più a trattenersi e scoppiò in una risata tale da piegarlo in due.
- Si è chiuso nella sua stanza ed ha cominciato a buttar giù cristi e madonne, ha giurato che te la farà pagare cara. L’avrà sentito tutto l’albergo – continuò, - Stai attento che quel bastardo domani ti farà qualche brutto scherzo durante la diretta –
- Non ci sarà nessuna diretta per me –
- Come? – chiese il ragazzo meravigliato.
- Il tempo di mettere la mia roba in valigia e parto stasera –
Il tappetto rise di nuovo e ancora più forte, - Ti scatenerà addosso il suo team di avvocati –
- Nella mia favela la legge sono io e le puttane quando ti mettono il culo in faccia vuol dire che sono in fregola – rispose il Mostro.
Il tappetto, restò in silenzio, col suo sorriso mezzo ebete a guardare con ammirazione la vecchia gloria del calcio.
- Mi mancherai Frank, anzi credo che mancherai a tutti noi – disse.
Stava per andarsene, ma il calciatore lo chiamò: - Ehi Tu! - dopo tanto tempo ancora non aveva imparato il nome del giovane assistente.
Il ragazzo si girò di nuovo,
- Al volo! – Frankye gli lanciò il barattolino magico. Il tappetto svitò il tappo e guardò dentro.
Eh si, quell’uomo seduto sulla poltrona davanti a lui, era proprio come gliel’aveva descritto una volta suo padre.

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