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La prolunga

Un racconto da ombrellone e... non solo
 
 
 Maggio andava provando le sue domeniche affollando l’aria della piazza di campane, di rondini e di dolci attese.
Le poltroncine di vimini del Café Tarantola erano tornate a sgambettare sotto i portici meridionali e i soliti perdigiorno s’erano già accaparrati i tavolini più strategici.
   «Fra cinquant’anni rideranno della nostra tecnologia del cazzo», sentenziava la pelata lustra di Maccione, «a ben guardare, l’uomo ha saputo costruirsi soltanto delle prolunghe, fin da quando impugnò la clava per prolungarsi il cazzotto…»
 
      Maccione tamburellava con le dita aspettando l’attenzione della minuscola platea del tavolo: «L’automobile è la prolunga delle gambe, il telefono ci prolunga la voce, e la televisione, la vista…».
«Esatto. E la gru ci prolunga braccia e bicipiti» aggiungeva compiaciuto Ossario, un geometra addetto alle edificazioni mortuarie e ribattezzato a proposito.
«La chirurgia per prolungarci la vita…», azzardava Tavazzi che paventava da tempo un intervento alla cistifelia.
«E il mutuo a prolungarci l’agonia», s’inseriva al volo Marianino che aveva la battuta facile.
Riprendeva le redini Maccione, cronico del web: «Per questo, dico che il futuro sta nel computer: il computer è la prolunga del cervello».
«Palle!», Marianino non era mai d’accordo con Maccione, «il computer, semmai, ci prolunga la memoria e la logica, non la cucuzza!»
«Un’eccezione per le teste di cazzo ci può stare», conciliava con garbo il signore col cappello floscio e il tic all’occhio che sembrava passare lì per caso, ma non mancava mai di fermarsi e dire la sua.
 
     Metteva tutti d’accordo l’arrivo di Evelina col vassoio. Gagliarda molisana dallo sguardo malizioso e i noti appetiti, Evelina non lasciava dubbi sul tipo di prolunga che restava da inventare.
 
   Scattava, nel frattempo, la prolunga del guinzaglio di Birillo, il pincher nano della signora Ilde. Infilatosi sotto il tavolo, nella sua mattutina caccia agli odori, Birillo s’ingegnava a legare, con un minuzioso doppio giro di prolunga, la gamba di Marianino a quella del tavolo.
Seguirono i vezzosi strilli e le scuse accorate da parte della signora Ilde insieme ai goffi tentativi di Marianino per liberarsi.
Oltre che al guinzaglio, i due erano rimasti agganciati con gli sguardi, persi in audace, sfrontata insistenza e i loro sforzi per liberare rispettivamente l’arto e il cagnolino, sembravano affievolirsi sempre più anziché acuirsi. Fu necessaria la gru Ossario a sollevare il tavolo mentre Tavazzi sfilava la prolunga da sotto.
    
     Maggio, che folleggiava nella piazza, aveva fatto le sue prime vittime e i perdigiorno del Cafè Tarantola ebbero l’immediata, simultanea sensazione d’aver perso il loro elemento più pregiato, il bel Marianino, dall’animo gentile e lo sguardo al caramello, trascinato pure lui nel giogo tecnologico delle prolunghe.
Del resto, anche in amore, se ne vanno sempre i migliori.

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