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Perdonare Gioia - Eddy Braune

Perdono, perdonare, parole semplici ma difficili, a volte le senti pesare sul cuore.

Per anni non ho saputo cosa volesse dire la parola perdono. Per anni avevo cancellato quella parola dal mio vocabolario e non intendevo usarla mai più per nessuna ragione al mondo. Ma poi successe qualcosa che mi fece cambiare e finalmente dopo anni di duro risentimento mi sentivo finalmente più libera e felice perché avevo donato a qualcuno il mio perdono.

Quella giornata era iniziata all’insegna della malinconia, i brutti pensieri che affollavano la mia mente durate la notte mi tormentavano ancora, mi sentivo strana, ma tutto sarebbe passato non appena le mie splendide piccine si sarebbero svegliate reclamando la loro papa e le mie attenzioni.

Quando finalmente le avrei sistemate saremmo andate a fare una bella passeggiata al parco poco lontano la nostra casa.

Il trillo del telefono mi fece fare un salto, alzai il ricevitore e risposi aspettando di udire la voce di un’amica. Ma mai e poi mai pensavo di risentire, dopo dieci anni, quella voce calda e profonda che ricordavo così bene ma che tanto, tanto male mi aveva fatto in passato, un passato che preferivo non rammentare.
Cosa mai vorrà dopo così tanto tempo, come avrà avuto il mio numero?
- Pronto… Elena… sono Gianni…
- Gianni chi?
- Eh dai Elena che lo sai chi sono, Gianni il marito di Gioia.
- Gioia, Gioia, mi dispiace io non conosco nessuno con quel nome.
- Accidenti Elena non chiudere il telefono, devo assolutamente parlarti di Gioia. Sta male, molto male. Ha bisogno di te, devi venire con urgenza.
- No!
- Elena tu devi venire…
- Ho detto di no, e poi chi sei tu per darmi ordini. Mi dispiace ma ora devo andare.
- No Elena per carità ascol…
Sbattei la cornetta sulla forcella con tutta la rabbia che mi trovavo addosso. Iniziai a tremare tutta e la testa mi girava.
Ma tu guarda che tipo, dopo quello che mi ha fatto si permette anche di darmi ordini.
Gianni e Gioia… Gianni e Gioia… Gioia…
Dovetti sedermi sulla poltrona più vicina perché le gambe mi tremavano ed i miei occhi erano annebbiati dalle lacrime che scendevano copiose giù dal viso. Il cuore batteva impazzito nel petto e sembrava stritolato da una morsa. Non immaginavo fosse possibile provare ancora tanto dolore nell’udire quei due nomi, eppure era proprio così. Dopo così tanto tempo ero convinta di aver scordato tutto ed invece mille e mille ricordi tornavano a tormentarmi.
La nostra famiglia era una grande famiglia che divideva tutto, gioie, dolori e speranze.
Gioia ed io siamo nate a pochi mesi di distanza, prima io e poi lei, ma da quando siamo nate fino a qualche settimana prima del matrimonio di mia cugina, non ci siamo mai separate, anzi diventammo ancora più unite dopo la morte dei miei genitori a causa di uno scontro frontale con un camion. Gli zii mi presero con loro e io e Gioia oltre che essere cugine diventammo sorelle. Noi due formavamo una bella coppia, io la più spiritosa lei la più bella. Ma non la invidiavo per la sua bellezza, non mi importava più di tanto perché anche così c’erano tanti ragazzi che mi facevano il filo. L’asilo, le elementari, le medie, le superiori tutto abbiamo condiviso ma l’università ci ha separate, lei da una parte ed io dall’altra e fu così che la mia vita cominciò a cambiare.
Frequentavo l’università da qualche mese, in principio mi sentivo sola senza mia cugina anche se ci tenevamo in contatto per telefono o per lettera, ma poi un po’ alla volta feci delle nuove amiche con le quali andavo molto d’accordo. Una sera fummo invitate a partecipare ad una festa organizzata da altri studenti ed è lì che incontrai Gianni, uno degli organizzatori. Era il più bel ragazzo che avessi mai visto. Alto, capelli neri, occhi azzurri come laghi di montagna, corpo da favola, dal suo modo di fare, dal suo portamento si capiva che proveniva da una famiglia agiata. Tutte le ragazze presenti facevano a gare per stare con lui. Rimasi incantata, lo spiai per tutta la sera, sospirando ogni volta che gli capitava di girare quegli splendidi occhi dalla mia parte. Pensavo desolata che non mi avrebbe mai notato ed invece dopo un po’ che in estasi lo spiavo lui mi raggiunse, si presentò e mi fece mille domande alle quali risposi senza timore e lui soddisfò le mie. Per tutta la sera ridemmo e scherzammo ignari di ciò che ci circondava. Conclusa la festa folle accompagnarmi al mio alloggio. Dopo di allora lo rividi molte altre volte, mi invitò spesso in pizzeria, al cinema o per una passeggiata e così ci accorgemmo di essere innamorati. Il nostro amore era bello e tenero perciò non ci sembrò strano vivere nello stesso appartamento, il suo. Ci amavamo alla follia, tra noi non c’erano screzi ma tanta armonia, quindi anche se sapevamo di essere troppo giovani decidemmo di sposarci. Mi portò a conoscere la sua famiglia, mi sorpresi non poco quando scoprii che discendeva da un antico casato, a parte questo, i suoi genitori mi accolsero a braccia aperte e gioirono del nostro progetto. Tutto cominciò ad andare a rotoli quando invece portai Gianni a conoscere la mia famiglia. I miei non parvero entusiasti della nostra decisione e Gioia mise il muso e mi parlò a mala pena però a Gianni fece mille moine, anzi non lo mollò neanche un secondo.
Con la scusa di aiutarmi nei preparativi del matrimonio che si sarebbe celebrato nella città di Gianni, Gioia veniva spesso da noi e mi accompagnava anche a casa dei genitori del mio ragazzo e ogni volta che lo faceva mi accorgevo che era accolta con entusiasmo mentre io, ad ogni nuova visita mi sentivo circondata da tanta freddezza anzi dal gelo.
Non so quando, né come e perché, ma un po’ alla volta anche le attenzioni di Gianni nei miei confronti cambiarono. Quando uscivo per andare in facoltà o in biblioteca per le mie ricerche mi telefonava in continuazione e controllava tutte le chiamate del mio cellulare, quando scopriva un numero che non conosceva mi faceva una scenata, purtroppo di scenate ce ne furono tante perché qualcuno che si chiamava Carlo continuava a lasciarmi dei messaggi indiscreti e niente valeva far capire a Gianni che non sapevo chi fosse costui. Io ero convinta che si trattasse di uno scherzo di qualche bontempone. Conoscevamo un solo Carlo, un giovane serio amico carissimo di Gianni che sarebbe stato il testimone alle nostre nozze, felicemente fidanzato con una simpatica ragazza. Carlo ci giurò solennemente di non essere lui il latore di un simile stupido scherzo.
La maggior parte delle mie ricerche le svolgevo in biblioteca ed è proprio lì che conobbi un ragazzo che reputai subito molto simpatico, spesso lui si sedeva al mio tavolo e fu così che iniziammo a scambiarci pareri sulle nostre ricerche, una volta mi aiutò a portare fino alla macchina dei libri pesantissimi, mentre un’altra volta mi chiese un consiglio, era disperato e non sapeva cosa regalare alla sua fidanzata per il suo compleanno quando gli elencai alcune cose che potevano piacerle per la gioia mi baciò sulla bocca, fu un bacio rapido, sfuggente che mi lasciò interdetta. Dopo di allora lo incontrai ancora ma cercai di evitarlo il più possibile.

Il giorno del nostro matrimonio si stava avvicinando, mancavano poche settimane, quando cominciai a sentirmi stanca e al mattino mi alzavo dal letto con la nausea, malesseri che non attribuivo solo allo stress per i preparativi, una visita dal dottore confermò i miei sospetti: ero incinta. La mia gioia fu tanta che telefonai subito a mia cugina che mi ascoltò in silenzio e senza partecipare alla mia felicità come mi sarei aspettata che facesse. Alla fine del mio entusiasmante discorso Gioia mi consigliò di non dirlo subito a Gianni ma di attendere il giorno delle nozze perché così avrei fatto il più bel dono al mio sposo. Io scioccamente le diedi ascolto anche perché Gianni in quel momento era assente, si trovava in visita dai suoi nonni ed io ero impegnata con un esame molto importante.
Quella sera andai alla stazione a prenderlo, con il cuore ricolmo di felicità per il dolce segreto che nascondeva, dubitavo di riuscire a non palesarlo subito ma poi immaginavo la faccia radiosa che Gianni avrebbe fatto quando il giorno che ci saremmo sposati glielo avrei svelato, immaginavo la sua gioia e quel giorno sarebbe diventato il più bello della nostra vita.
Lui scese dal treno stupendo più che mai ed io gli corsi incontro abbracciandolo forte, mi guardò sorpreso, non eravamo usi ad esternare i nostri sentimenti in pubblico, ma mi sorrise e mi baciò frettolosamente.
Arrivando a casa scoprimmo che la porta d’entrata non era chiusa a chiave, io ero più che sicura di averlo fatto. Gianni mi disse di aspettare che sarebbe stato lui ad entrare per primo a controllare che tutto fosse a posto, ma io lo seguì lo stesso, quando aprimmo la porta della nostra camera rimasi inchiodata al pavimento scioccata, nel nostro letto, nudo, giaceva il ragazzo che avevo conosciuto in biblioteca. Che storia era mai quella e come ciò era possibile?
Lui ci guardò languido con un sorriso sornione sulle labbra e come niente fosse si alzò dal letto raccolse i suoi vestiti seminati per la stanza e disse:
- Scusami, non mi sono ricordato che il tuo bello doveva tornare stasera. – E poi sparì.
Io confusa dura come una statua guardavo la scena senza capire cosa stava succedendo, a quel punto Gianni si girò verso di me come una furia chiamandomi sgualdrina mi diede un ceffone che mi fece cadere sul tappeto. Io lo fissavo vacua senza riuscire a proferir parola, la guancia mi bruciava e le lacrime mi scorrevano giù dal viso. Gianni continuò a insultarmi. Mi sollevò da terra scuotendomi e mi ordinò di fare la valigia e di andarmene subito perché non voleva avere più niente a che fare con me. Ma quello che mi straziò il cuore fu ciò che disse prima di sbattermi la porta in faccia:
- E io stupido che non volevo credere a Gioia, ma ora so che era tutto vero. E adesso vattene e non farti vedere mai più.
Ferma davanti alla porta sbarrata tutto era nebuloso irreale, l’unica cosa che il mio cervello inebetito aveva captato era la parola Gioia. Cosa centrava Gioia con quello che era appena successo? Dopo di allora l’ho cercata sperando in una sua spiegazione ma invano, si faceva sempre negare. Gli zii e tutta la mia famiglia e persino i genitori di Gianni si rifiutarono di aiutarmi.

Mi rifugiai a casa di Laura l’amica più sincera e la sola che mi era rimasta. Lei mi consolò e mi coccolò, mi curò amorevolmente quando febbricitante rimasi per interminabili giorni a letto e il dolore mi fece quasi impazzire togliendomi anche la gioia più bella di una donna quella di essere madre. Persi il bambino che già tanto amavo, ma ciò che mi faceva soffrire ancora di più era che Gianni non l’avrebbe saputo mai. La guarigione fu lunga e lenta e solo allora Laura mi raccontò che Gianni si era sposato un mese prima con Gioia perché era incinta del suo bambino. Non provai nulla a questa notizia il dolore mi aveva reso insensibile, ricordo solo che pensai che era davvero misero l’amore che Gianni mi aveva giurato se si era consolato così alla svelta e proprio con mia cugina.
Non potevo più sopportare di vivere nella città dove tanto dolore avevo patito così abbandonai tutto e mi trasferii lontano il più lontano possibile da lì e rincominciare a vivere serenamente, ma giurai a me stessa che mai più mi sarei fidata di un uomo.
Da anni vivevo nella città che avevo scelto e pensavo di aver lasciato tutto alle spalle e che niente ormai mi avrebbe toccato, invece la rabbia ritornò ad infiammarmi quando la mia amica, l’unica persona che mi collegava ancora alla mia città natale, venne a trovarmi per raccontarmi quello che aveva scoperto.
Lei lavorava in un negozio come commessa e da poco nel suo reparto era stata assunta una nuova ragazza, un giorno durante la pausa pranzo, tra un boccone ed una chiacchiera non ricorda come erano finite a parlare di scherzi fatti agli amici. La nuova ragazza ridendo a crepapelle raccontò che un suo amico anni prima, insieme ad una certa Gioia avevano tramato ai danni di una ragazza e che il suo amico ci aveva guadagnato un bel gruzzoletto. In pratica la storia si era svolta così: Gioia, era gelosa della cugina che si sarebbe sposata con un ricco e bellissimo giovane che lei voleva ad ogni costo, aveva ingaggiato il suo amico per importunare la cugina con messaggi al cellulare e perché le girasse attorno mentre Gioia scattava delle fotografie compromettenti, il tutto serviva a far ingelosire il fidanzato di lei. Lo scherzo arrivò al culmine quando al giorno convenuto il giovane entrato in casa della poverina con le chiavi che gli aveva dato la perfida Gioia, si fece trovare nudo nel letto. Morale della storia il riccone aveva mollato la fidanzata a pochi giorni dalle nozze. Così Gioia aveva consolato il ragazzo tradito e dopo essere rimasta incinta a bella apposta lo aveva sposato con la benedizione dei genitori di lui che si era ingraziata in vari modi e raccontando delle bugie sul comportamento della cugina.
Ci vollero anni per placare la mia rabbia ritrovare la serenità, non permisi a nessun uomo di avvicinarmi fino a che nel mio ufficio arrivò il nuovo direttore e scelse me per sua segretaria. Era giovane, affascinante, simpatico, sempre pronto al sorriso, ogni giorno mi accoglieva con una battuta, non era pretenzioso ma paziente, un po’ alla volta la sua simpatia, la sua pazienza, la sua dolcezza conquistarono il mio cuore. Scoprimmo di amarci e stare bene insieme, ci sposammo presto e il regalo più bello che il buon Dio potesse farci sono le nostre splendide piccine che ci donano gioia e felicità.
E ora, quando credevo di aver chiuso a doppia mandata nel fondo di un cassetto della mia mente quel spiacevole periodo della mia vita, ecco che ritorna in superficie a ricordarmi le umiliazioni subite.
- So che ti fa male ricordare il passato e le bugie di Gioia, ma se il tuo cuore di dice di andare da lei e sapere perché ha bisogno di te, allora ascolta il tuo cuore, pensaci e se puoi cerca di perdonarla.

Così disse Enrico mio marito quando gli raccontai della telefonata, riflettei molto, alla fine decisi di andare anche se ero timorosa di soffrire ancora.
Ero sola quella mattina, nell’ospedale della mia città, nel reperto di terapia intensiva a spiare attraverso il vetro mia cugina Gioia che inerme nel suo letto soffriva. Il suo corpo esile era circondato da macchinari che emettevano il loro flebile bip, bip e tanti tubicini le uscivano da ogni parte.
Era lì immobile con gli occhi chiusi ignara che la osservavo, era lì in attesa di un trapianto di fegato e la speranza di tornare a vivere una vita normale con suo figlio e l’uomo che una volta era mio, ma che ora non mi interessava più perché ne avevo trovato uno che valeva tutto l’oro che pesava, un uomo che amavo più di me stessa e che mi amava davvero.
Per uno strano gioco del destino tra tutti i parenti chiamati dai dottori all’esame di compatibilità, quella idonea ero io. Io, proprio io, se volevo le avrei ridato la vita. Non sapevo cosa fare, il sacrificio era enorme, ci sarebbero voluti tre o quattro mesi di convalescenza dopo l’intervento. Era una decisione difficile e non spettava solo a me prenderla, c’erano Enrico e le bambine, dovevo pensare anche a loro in caso qualcosa fosse andato storto.
Chiesi ai dottori di lasciarmi un po’ di tempo, questi risposero che l’ammalata ne aveva poco di tempo e che avrei dovuto fare in fretta a decidere.
Nel corridoio trovai la zia mi guardò smarrita e tra le lacrime mi abbracciò chiedendo mille volte scusa per come lei e tutti gli altri si erano comportati nei miei confronti. Sempre piangendo disse che Gioia prima di entrare in ospedale aveva voluto confessare come si erano svolti i fatti e che si vergognava molto per aver agito così e in tutti quegli anni aveva sentito terribilmente la mia mancanza. Ora solo io avevo il potere di perdonare tutti e di aiutarla.

La mia cara amica mi ospitava e da casa sua telefonai ad Enrico, speravo che la sua dolcezza mi aiutasse a decidere. Lui stette ad ascoltarmi per delle ore e poi disse quello che già una volta mi aveva detto: ascolta il cuore.
Per tutta la notte ascoltai il cuore e alla fine presi la mia decisione: Gioia mi aveva fatto molto male ma prima eravamo come sorelle e le sorelle qualunque cosa accada si aiutano.
Il mattino seguente in ospedale mi affrettai a cercare il dottore per comunicargli cosa avevo deciso, in qualsiasi modo avrei regalato un pezzetto di fegato a mia cugina. Lo trovai nella camera di Gioia, quando entrai nella sua stanza era piena di persone che cercavano di nascondere le lacrime, il dottore mi guardò serio scuotendo la testa poi uscì lasciandomi lì sulla porta senza sapere cosa fare. Gianni si staccò dal letto della moglie mi si avvicinò.
- Lei è sveglia e vuole parlarti, ti prego vai da lei.
Lo disse senza guardarmi negli occhi.
Lentamente mi accostai al letto, Gioia era talmente pallida che faceva paura, a fatica mi prese la mano e sospirò:
- Ciao Elena… grazie di essere venuta ma non sarà più necessario… mi resta poco tempo ma sono felice di vederti…voglio chiederti perdono per quello che ti ho fatto…ero gelosa, tu avresti avuto tutto…e io…io no…perdonami ti supplico…
Le strinsi forte la mano e poi l’abbracciai.
- Si, va bene Gioia io ti perdono.
Mi sorrise debolmente e spirò tra le mie braccia.
Era morta felice perché aveva avuto il mio perdono ed io mi sentivo libera, finalmente libera perché glielo avevo donato.

LadyBea48


-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione Paolo Rafficoni
-Editing: Rita Foldi
-Racconto di Eddy Braune [LadyBea48]
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