Perle di Poesia 58 | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Perle di Poesia 58

 

 

Perchè il bianco mughetto profumi e ci porti qui la sua fragranza

  

 

Ripiegami

Ma ritornami
A spremere dei succhi di mora
Gettati ai rovi
Ritornami a corpo
Come acciaio sul braccio
E il ticchettio infinito dell’ora
Tra le gambe tornami a scuotere
Che non posso rigirarmi fra i suoni
e le lingue di sospetto appese al labbro
(la meraviglia getta un fiore)
Resettate le forme d’origami
accolla ancora al tuo senso
ciò di cui io sono fatta
Perché sei un idea di mani e silenzi
Senza meta
Ritornami a sciogliere come miele scuro
E stelle fra coni di arsura
Restituiscimi al battito dei polsi
Alla linfa delle dita e dei sogni
Come se mai avessi perso
Un giorno
La mia essenza
(Ripiegami)

©MissNightingale

 

 

La finestra

:
1
Letto tiepido. Un piede scalzo sotto la coperta di lana. Il calore che scende tra le righe della pelle,
fino ad arrivare dentro le ossa. Le mani umide, il freddo evaporato nel sudore.
Una maglietta di cotone rosa, impigliata sulle scapole, traccia sulla schiena una piega dolorosa,
da poter ricalcare nell’acqua fredda, al mattino. La figura di lei spesa sul materasso.
Quel ricamo giovanile sulla stoffa e il seno curvo, premuto sul cuscino.
Le gambe slacciate su un acquerello, dove la tela cuce il movimento leggero, sulle sue labbra dure.
< Anche e gomiti scrosciano, come aghi, tessendo il sonno.
Un sonno che si infila nella camera scura senza far rumore.

[Ci sono forme di fiato
roridi filtraggi di luce
a sedimentare nell’alba

e la mia pelle ti cerca
avanza nelle cuspidi
di questa notte che si fa inizio

Sento ancora quelle dita percorrermi
lavarmi di piacere
nell’attimo poco prima del sonno

-e si fa giorno
sull’inchiostrata avarizia di labbra-]

2

La stanza non è ben vista dal vicinato. Sporge su un cimitero e le persiane restano sempre chiuse.
L’aria è afona, non emette suono. Quando la ragazza si alza sembra sospesa.
Quando le cose le scivolano di mano, non toccano terra.
Il cielo non mostra il suo azzurro, le sue nicchie viola sparse all’orizzonte.
Le tende non conoscono la distensione di una mano.

[Atomo di silenzio
che come fuliggine
percorre gli angoli
-nel raschiare pareti
che di luce s’ammalano-]

3

La gente nella bottega mormora. Sulle mani incrocia filamenti d’ira da poter indirizzare sulla
finestra, appesa al palazzo, estranea. Il panettiere spreca poche parole sull’uscio della camera.
Saluta con la farina impastata nella bocca, con il grembiule bagnato dalla notte unta nel forno.
Gratta il suo mento robusto, aspettando che qualcuno apra il suo attendere.
Riceve i soldi dalla fessura sotto la porta e striscia via nei saluti. Muti.
Il pane non serve alla ragazza, tanto meno luci, sorrisi. Non apre mai la porta.
Il panettiere non ci fa caso, il suo pane è preso ogni mattina.
Qualcosa deve pur uscire dalla porta, esordiva davanti alla clientela.
Il mio pane non va in giro a bussare. La signorina non ama essere disturbata.
Le sue parole sembravano turbate, uscivano sconnesse, senza un filo logico.
Tratte da una lingua che correva su dei piccoli pezzi di granito.

[Voci come d’infranti vetri
ciondolano sull’uscio
del silenzio che geme
e grondando lievito
ti lecco via le briciole
da ingerire
fra le grida
di mormoranti paure
-turbandomi le ore
e lacerandomi i mesi-
nell’assurdo eterno ritorno]

4

Il cimitero prestava un panorama trascurabile.
Lei non si era accorta della vicinanza delle tombe.
Le persone la conoscevano come un luogo che non avevano assaporato.
Una stanza che si paga l’affitto e non si preoccupa di spingersi oltre.
Avevano pensato che fosse femmina, dalla calma con cui serviva le fessure sotto la porta.
Una ragazza dalle dita fine, da poter scivolare sui cardini senza muoverli.
Nessuno trovava conferma alla propria opinione.
Allo stesso tempo, erano convinti che non poteva essere altrimenti.

[Ed è dinoccolata aria
questa tua vertebra
che sbriciola paure
e ne fa spiragli
che snocciolano
e detergono
sulle tue lapidi stanche
in graffi di barlume
sguarnito]

5

A volte il barista scrollava il capo, girava il caffè nel termos, premeva la fronte con un canovaccio,
e assaporando tra le labbra il sudore, diceva di essere stato da lei una notte.
Era sera piena, il bibliotecario aveva citato già tre bestemmie sulla saracinesca difettosa,
i suoi amen avevano chiuso la giornata lavorativa.
Per un vecchio paese il sole tramonta sotto le serrande dei negozi, non nelle gole dei monti.
Quelle rimangono lontane e il sole non sembra farci caso.
Le stelle cominciavano a punzecchiare il blu scuro della notte.
> Il barista non riconosceva il cielo a quell’ora.
Lo chiamava buio, come se un altro tessuto avesse coperto la leggera seta azzurrognola.
Proprio in quel momento, in cui tutti avevano intrapreso la via di casa, il suo occhio bieco aveva
scorto la finestra aperta.
Una chioma piatta che sciorinava sulle persiane grezze.

[In stantii sapori sulla lingua
a sudare desideri
di vergini notti

quando tutto sferraglia
stordendo la notte
e la luna

Mentre danzando nel vuoto
annuso quelle stelle
che adunche mi arridono
<
Mentre in bave di luce
annichilisco il mio sapere
vomitando luce]

6

La ragazza non badava a lui, inarcava le dita come per salire sulle spire scure
che la mancanza di luce aveva creato. L’indice indugiava il passo, mentre l’anulare, violento,
spingeva da dietro.
Un andare zoppo, ridicolo. Incespicava sulle dita sorridendo, arruffando con le labbra
l’aria che come un imbuto spingeva all’interno la sua pressione.
Accarezzò il cordone stretto al collo.
Tirò su un respiro e richiuse la cerniera della finestra. Urlò.
< Il barista percepiva una nitida sensazione di sospensione, come una brezza che s’aggrappa
ad un lieve tepore, aspettando che il vento disperda l’ultimo bagliore di una calda folata.
< il vento tardò qualche istante, ma venne con le sue parole a confondere l’attesa.
< Venne con le foglie secche, l’inverno scremato nella sua portata.
Le immagini ribaltate dal ruzzolare della carta.

[Il tuo fiato si fa mancanza
come lame sul fianco
a mancarmi respiro

Scorre la corda
arruffa la gola
sfregando malinconie

Camminando appena
in saltelli e scrosci
nel silenzio inumano]

7

Non conoscevo la ragazza. La sua esistenza è legata al dubbio, alle voci snelle dei lampioni.
Alle facce del barista che nel bicchiere di Vodka immergeva l’andare sciolto delle dita,
e con esse uno strano odore di solitudine.
Lentamente gocciava il bancone, la schiena del bicchiere sbrodolava fuori.
Mescolava tra le labbra il liquore, mentre nelle guance smorzava le ginestre in fiore.
Parlava poco. Attendeva che il cielo se ne andasse. Arrivasse lei.

[Inoculando alcool
sommergo la vita
e ne prosciugo gli argini
nell’implosione di un cielo
che si deterge di lei]

©NuoveForme&Morfea77

 

 

Nell'asimmetrico vespero

Gialle ginestre caldeggiano morbide lune
agosto fermo nell'asimmetrico vespero
gorgheggia l'augello spiumato or sconfinando
in confuse e grassocce nuvole d'amarena
aggrappato alle urne fracassate ai rovi
picchietta l'orologio scarlatto le ore torride
filastrocca un silenzioso cantico muto
un gelso affiora verdeggiando l'attimo che giace

©lacrimablu75

 

 

Immersione

Mi immergo nel lago profondo
dei tuoi occhi di cristallo.
Discendo le correnti
mi soffermo sulle tue labbra.
Poi giù fino al tuo cuore.
Dolce approdo per chi sa nuotare

©essiamonoi

 

 

Perchè gli occhi si aprano dentro il respiro del giorno

 

La voce del marinaio (Speranza d'un naufragio)

Qualcuno ha detto che il sole non sorgerà più
Qualcuno ha detto che il sole non sorgerà più
ed un altro ha sospirato perché notte sarà in eterno
C’è una mano oltre la stanza ed un cuore sulla riva
c’è un silenzio che muore al buio della stiva.
Signor Capitano qui non va mica tutto bene
ho le ossa rotte e le piaghe nelle vene
E vorrei fuggire via ma qui c’è solo mare
Per me sarebbe dolce persino naufragare.
Potrei veder la terra al di là di questa luna
e scucire i miei bottoni troppo stretti sulla vita
Costruir sogni di sabbia sulla riva di un cielo
Farmi trainare dalla vela d’un mistero.
Signor Capitano ma io, che le parlo a fare
Domani noi saremo, sempre su questo mare
A questo peschereccio abbiamo abboccato in tanti
e siamo più di mille, stretti e sporchi come denti.
Domani è un altro giorno e spero di naufragare
per conoscere la terra e guardar distante il mare
Perché qui sopra io, non ho mai visto l’amore
Sento solo il silenzio che in eterno si fa ... Rumore
di Lisbon

in ricordo del Poeta Alessandro Lisbon

©baronerosso1

 

 

Riscrizioni di sinapsi

Accidenti
C'è dell'altro nel bicchiere
sul tavolo rimasto accidenti
Accidenti
c'è dell'altro nel bicchiere
mi dico prendilo in mano,
sul tavolo rimasto,
mi dico prendilo in mano,
alzalo e guardalo controluce
ma poi penso che non ne valga
la pena
sollevarlo ad ostentarlo,sollevarlo ad ostentarlo,
a palesarlo come un augurio
a tutti i presenti,
se ci fosse qualcuno
alzalo e guardalo
controluce
ma poi penso che non ne valga
la pena
sollevarlo ed ostentarlo,
a palesarlo come un augurio
a tutti i presenti,
se ci fosse qualcuno

©ormedelcaos

 


-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Redazione
-Autori di Rosso Venexiano
-Editing MaLaLingua
-Segreteria Eddy Braune
-Opere pittoriche dell'Artista Odo Tinteri e testi di Princ3ss che ringraziamo
 

 

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