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Rosa Matteucci, lo sguardo sornione dell'innocenza critica: tutta mio padre

Il reame etrusco dei morti è localizzato nell’imperscrutabile mondo sotterraneo dove la mistica unità del mondo celeste e del mondo terrestre prendono forme arcaiche. È proprio in questo reame, dove nella più sobria stanza da pranzo, è da tempo allestito il banchetto etrusco; ed è lì che si attenderà, per partecipare al convivio di famiglia, l’arrivo, tardo, della nostra autrice di “Tutta mio padre” che elegantemente vestita, siederà alla destra del capotavola… il suo cane! E al banchetto certamente non le toccherà come cibo… il cacio cotto!
Rosa Matteucci è nata a Orvieto nel 1960, vive a Genova e soggiorna a Roma. Ha pubblicato tre romanzi, tutti da Adelphi: Lourdes (1998), Libera la Karenina che è in te (2003), Cuore di mamma (2006) e per Rizzoli India per signorine (2008). Collabora come editorialista con “La Stampa” e “Corriere dell’Umbria”. Scrive sceneggiature cinematografiche e ha partecipato come attrice ai film “Mi piace lavorare” di Francesca Comencini (2004) e “La tigre e la neve” di Roberto Benigni (2005). Con “Tutta mio padre”, edito dalla Bompiani, è tra i 12 candidati al Premio Strega 2010.
Le pagine di questo romanzo evidenziano il rapporto di ambiguo affetto che l’autrice ha sempre avuto con la figura paterna così sfuggente da sembrarle una, nessuna, centomila vite “non vissute” pienamente da quel padre tanto amato nell’illusione di una vicinanza insperata. La ricerca inconscia di un essere forte a cui affidarsi la fa navigare nel gran mare dell’esistenza! Eppure l’aver generato lei, così “sensibile”, gli ha dato la sicurezza della sua immortalità, e sembra che quest’uomo dai perigliosi viaggi, dalla follia artistica, abbia calcolato nel più minimo particolare la possibilità, di tramandare ai posteri le stravaganti sue vicissitudini, ora realizzata dal racconto, dei suoi “nascosti” affetti, della sua “misteriosa” vita. Aveva recitato la parte di se stesso solo per ispirare l’unica persona che potesse raccontarla, la figlia, che un giorno, con questo romanzo, lo avrebbe reso davvero un eroe classico, quale nella realtà mai lo era stato, dove il riso più sfrenato suona dal profondo degli abissi della commozione.
«Il sacco con le spoglie di mio padre lo caricherò sulle spalle e lo porterò via. Piccola e ostinata come una formica che trasporti la carcassa di un cervo volante. Lo custodirò con cura, mi accaparrerò i suoi resti e la sua memoria».
Ma il romanzo cartaceo purtroppo è destinato a dissolversi nel tempo e a vanificare così nel nulla, qualsiasi rimembranza; se non si riversasse il sentimento qui scritto, nella rete dell’on web!

Per Rosso Venexiano, Giuseppe Lorin
     
     

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