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Julia Margaret Cameron

 

"La mia aspirazione è di nobilitare la Fotografia e di assicurarle il carattere e le qualità di una grande Arte combinando insieme il reale e l’ideale e nulla sacrificando della Verità pur con tutta la possibile devozione alla Poesia e alla Bellezza".
Julia Margaret Cameron
 
 

 
Julia Margaret Cameron è forse la prima fotografa nella storia. Vissuta fra il 1815 e il 1879. Era nata a Calcutta, aveva vissuto in Gran Bretagna e alla corte di Versailles, con la nonna materna che era una nobildonna francese. Va sposa a Charles Cameron un giurista più vecchio di lei di 20 anni che era stato il responsabile più importante dei Codici Indiani. Fa la fotografa per una quindicina d'anni. Inizia che non è giovanissima, a 48 anni, mentre, dopo gli anni passati a Calcutta e poi a Londra, si è trasferita con il marito sull'Isola di Wight, a Freshwater Bay.
   
   
Julia fa tutto lei: crea uno studio, mette in posa i soggetti seguendo le sue ispirazioni, allestisce il gabinetto per sviluppare e stampare le lastre che sono quindi completamente opera sua. Nonostante appaia nelle fotografie dell'epoca come una donna non bella e oltretutto con un'aria rassegnata e depressa, era invece di un dinamismo che Darwin, suo ospite a Freshwater Bay, definì «esplosivo». Julia Cameron era una donna di carattere, dava ordini imperiosi e ascoltava i suoi desideri buttandosi nelle imprese con passione. I racconti di sue modelle la descrivono spesso coperta del grembiulone con cui stampava, pieno di macchie di acidi, il volto acceso per il fuoco dell'arte che in lei si agitava.

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Al loro tempo le fotografie erano state giudicate tecnologicamente retrò e sbagliate, la Cameron era apprezzata nel suo ambiente colto e fra gli artisti come i simbolisti e i preraffaeliti perché c'era uno scambio di motivi. Il famoso ritratto di Carlyle di J.M.C. anticipa di un anno il dipinto che poi gli farà Watts, grande amico della fotografa. Le figure femminili della Cameron fanno certo pensare per le pose e per i dettagli alla simbologia dei preraffaeliti. C'è però qualcosa di più in queste donne ritratte e che non è solamente il segno della modernità che il mezzo fotografico predispone sui suoi soggetti.

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I ritratti che lei ha scelto sono di grande interesse e le hanno dato agio di commentare nel caso dei soggetti femminili la forza che esprimono, lo sguardo tutt'altro passivo e sottomesso che queste donne vittoriane esprimono nelle fotografie di J. C.. L'artista concepiva la riproduzione fotografica dei suoi soggetti solo come idealizzazione degli stessi. Le donne sono quindi ninfe, dee, angeli e interpreti di versi famosi oppure eroine della storia e del mondo letterario, come Beatrice Cenci e Ofelia. Non tutte le modelle sono attrici nei quadri dei suoi ideali culturali, ci sono ritratti diretti e non sotto il controllo delle proiezioni letterarie e mitologiche della creatrice. Julia Duckworth, nipote di Julia e che darà alla luce dopo il suo secondo matrimonio Virginia Woolf appare bellissima con i capelli sciolti, metà volto illuminato e l'altra metà semioscurata in un'ombra che esalta la decisione dello sguardo.

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Tutto ciò è molto interessante altrettanto quanto la sua vocazione verso la narrazione, l'idealizzazione, il collocamento del suo soggetto dentro alle aure e ai contesti che le ispirava. Infatti se la disaffezione tecnica è abbastanza comune alle donne come lo è l'aggiramento affinché le tecnologie non le sminuiscano, non ancora così chiara è questa vocazione delle donne dell'ottocento alla narrazione attraverso le immagini, alla contraffazione della realtà così come si presenta che diventa indifferenza verso la documentazione della realtà.

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Si può fare un parallelo con un'altra donna pioniera nell'uso delle immagini. Alice Guy Blachè è la prima regista, contemporanea di Meliès. Come lui anche lei sceglie il cinema narrativo. Lo fa però con una vocazione, una disponibilità in più. Meliès infatti non faceva altro che riprendere quanto era del suo mestiere di illusionista. Sono questi i suoi primi lavori.

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Poi vede che i trucchi potevano servire, e usa le coreografie che aveva in teatro arrivando sempre più a affinare le tecniche di costruzione di un mondo fantastico che poi riprendeva. Meliès andò completamente in malora per costruire degli oggetti cinematografici sempre più raffinati e fantastici fino a avere un gruppo di persone che colorava i fotogrammi delle sue pellicole. Alice Guy viceversa non si rovinò finanziariamente per il cinema però fu sua l'idea di raccontare agli inizi della storia del cinema la Fata dei cavoli e di allestire un set dove una coppia andava a comprarsi i bambini che nascevano sotto cavoli di legno che aveva messo in fila.

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Un'idea che apparteneva al mondo della letteratura per l'infanzia, perché le donne sono grandi lettrici, e che avviò alla storia forse il primo film di finzione. Su questa primogenitura c'è stato un dibattito fra gli storici e le storiche del cinema delle origini. Alcuni danno ragione a Alice Guy per avere fatto il suo primo film di finzione prima di Meliès, cioè prima del maggio 1896. Riferendosi a L'Arroseur arrosè, come primo film di finzione, Alison MacMahan autrice della più recente biografia critica sulla regista (Alice Guy Blachè: Lost Visionary of the Cinema by Alison McMahan, Continuum, N.Y., 2002) dice che comunque sia Meliès e Alice Guy non avrebbero fatto il primo film di finzione, perché il film dei Lumierès è del 1895.

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Julia Margaret Cameron è lei che allestisce finzioni per i suoi soggetti, vuole che indossino cappe di velluto, gli scompiglia i capelli, mette in posa le modelle a scrivere lettere, a guardare oggetti lontani o viceversa fissano ferme l'obiettivo della macchina fotografica. Non è difficile dire che la poca istruzione scientifica che ricevevano le donne non andava certo a sollecitare la loro curiosità per la realtà. Non è così solamente. Julia Cameron allestiva contesti che non strumentalizzavano i soggetti, piuttosto cercava soggetti per i quali costruire le sue fantasie e interpretazioni o andava a cercarli mescolando su quanto vedeva in loro i motivi che voleva reinterpretare.

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Il messaggio di J.C. è allo stesso tempo essenziale e in alcune pose molto moderno; pochi tratti, un gesto o un dettaglio che contrastano il pesante descrittivismo che era usato nei quadri dei simbolisti. La finzione della Cameron non è solo pittorica, serve per corredare, sottolineare, variare la geografia dei volti. Quando fotografa le donne, prive dell'identità pubblica maschile, il suo stile costruisce soggetti unici, indimenticabili, donne sulle quali apriamo il discorso dell'immaginario e la collocazione in una storia che l'immagine sollecita e apre. La fotografia idealizzata della Cameron è più un'apertura verso il divenire che non definizione stabile.

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In epoca vittoriana agli uomini veniva riconosciuta la genialità, anche se leggendo i romanzi delle Bronte o di Jane Austen, che scrivevano nell'epoca precedente, riesce difficile credere che qualche donna non pensasse diversamente e non si concentrasse soprattutto sulle qualità femminili.

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Al suo tempo solo gli uomini erano veramente celebri, personaggi dell'ambiente colto e stravagante a cui anche la Cameron apparteneva e che capivano che cosa voleva dire con le fotografie.

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Come ha detto Alberta Gnugnoli, questi uomini famosi la sostennero, si fecero ritrarre, nel caso di Darwin insistettero anche per pagarle i ritratti, la apprezzarono e la seguirono nelle sue ideazioni.

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E come ha fatto notare la studiosa questo sostegno c'è stato molto di più ai tempi della Cameron che non oggi. Il patriarcato che opprimeva le donne confinandole nella sola cura domestica, aveva dei margini di manovra che consentivano l'aiuto, l'accettazione della progettualità e dei desideri femminili molto più che non sotto il segno dell'uguaglianza, gli uomini accettavano con pietà e contegno la volontà femminile di esprimersi.

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Oggi è sicuramente più difficile accettare la differenza femminile senza vederla come minacciosa competizione, che non sta alle regole.

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La casa della Cameron, Dimbola Lodge, situata nell’ Isola di Wight, in Inghilterra, è oggi adibita a museo ed ospita una mostra permanente che documenta il lavoro dell’artista.

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- Fotografie:  Fonte web
- Testi: Fonti web
- Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano - Rosso Foto
- Direttore di Rosso Foto:  Paolo Rafficoni
- Supervisione: Manuela Verbasi
- Editing: Paolo Rafficoni, Anna De Vivo
 

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