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Werner Bischof

Bischof retrospettiva
Werner Bischof, uno dei fotoreporter di maggiore spicco a livello internazionale del dopoguerra, nasce a Zurigo il 26 aprile 1916. Seguendo la sua attitudine alla pittura, frequenta per un anno un corso di disegno a Schiers. Insoddisfatto, nel 1934 si iscrive alla scuola di arti applicate di Zurigo dove frequenta il corso di fotografia tenuto da Hans Fisler. Specializzatosi nello still-life e conseguito il diploma nel 1936, avvia un laboratorio di fotografia e grafica per manifesti e riviste; due anni dopo viene assunto dagli editori Amstutz Herdeg. In occasione dell'Esposizione nazionale svizzera del 1939, progetta l'allestimento del padiglione delle arti grafiche e collabora alla realizzazione di quello della moda.
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Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, dopo un breve soggiorno a Parigi, si arruola nell'esercito svizzero svolgendo anche la mansione di reporter di guerra. Quest'esperienza gli permette di valutare il divario esistente tra la fotografia in studio, basata su un'attenta pianificazione, e il fotoreportage, rapido nell'esecuzione quanto imprevedibile nelle dinamiche. Sceglierà quest'ultimo, per il contatto umano e la possibilità di un continuo raffronto col presente, senza però rinunciare alla perfezione tecnica maturata nel corso della sua formazione. Nel frattempo conosce Arnold Kubler, scrittore, uomo di teatro e caporedattore della rivista d'arte e cultura "Du", e con lui, tra il '41 e il '42, instaura un duraturo rapporto di collaborazione. Contemporaneamente, frequenta gli ambienti delle avanguardie artistiche zurighesi aderendo al movimento surrealista "Allianz".
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Nel 1942 Bischof pubblica le sue prime immagini su "Du", ma l'anno cruciale è il 1945: mette da parte tutto quello che aveva creato precedentemente, sale su una jeep e viaggia per il mondo devastato dalla guerra: Germania, Francia, Olanda, Italia, Grecia. Qui documenta la situazione dei profughi e gli aiuti umanitari dell'organizzazione svizzera Schweizer-Spende attraverso una serie di reportage inviati a "Du".
La guerra spazza via le tenere ed eleganti immagini del passato e l'obiettivo della macchina fotografica di Bischof penetra in una realtà di tragedia e disperazione: «Poi venne la guerra, e con essa la distruzione della mia torre d'avorio, il volto dell'uomo sofferente divenne il nucleo centrale».
La violenza delle immagini rimane sempre mitigata da una eleganza compositiva a cui Bischof non rinuncerà mai. Nel conflitto del mondo rimane il suo sogno di purezza: nelle sue immagini si percepiscono contemporaneamente l'orrore per ciò che bisogna mostrare e una fede che non vuole lasciarsi spezzare. Bischof sa cogliere senza enfasi il respiro dei superstiti, di coloro che sono scampati al massacro e che intendono riprendere la vita. Nelle sue foto trapela la speranza. Nel 1947 inizia un lungo viaggio nell'Europa Orientale: Ungheria, Romania, Cecoslovacchia. Lavora per "Du". Documenta gli orrori della guerra con un particolare interesse per le persone.
 Intanto a Zurigo iniziano i dissapori con la rivista "Du". Prende i primi contatti con "Life", la rivista americana per la quale realizza una serie di reportage dall'India, dal Giappone e dalla Corea.
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Nel 1948 Bischof entra a far parte della Magnum Photos Inc., la prima cooperativa internazionale di fotografi, dove conosce Robert Capa e Chim. A partire dal 1950 inizia a viaggiare quasi soltanto fuori dall'Europa.
I due reportage certamente più celebri, probabilmente più intensi e suggestivi, sono quelli sull'India (commissionato dalla Magnum nel 1951-'52) e sul Giappone.
Nel primo, è emblematica l'immagine di tre donne che, in vesti tradizionali e col loro bagaglio in bilico sulla testa, camminano in fila indiana su uno sfondo di ciminiere: una foto di forte impatto che esemplifica quella costante attenzione riservata da Bischof ai contrasti stridenti, ma  sono le immagini di persone sfinite dalla fame per le strade di Patna che fanno sensazione e lo rendono famoso.
In Giappone la sua anima fondamentalmente "pittorica" riemerge con impeto: non più sguardi persi nel vuoto e membra emaciate, dunque, ma candidi monaci shintoisti, pennellate di neve e lunghi nastri di seta  appesi ad asciugare.
Nel 1953 va in America: visita prima New York, dove non si sente a suo agio, poi va in Sudamerica su incarico della Magnum.
Il flauto nei pressi di Cuzco, Perù: è un'opera che l'artista realizza proprio pochi giorni prima di morire in un incidente sulle Ande peruviane il 16 maggio 1954.
 
 
- Fotografie: © Magnum Photos
- Testi tratti da Storia della fotografia - Bruno Mondadori e Nadir Magazine - Nora Dal Monte 05/2007
- ricerca e adattamento materiale: Anna De Vivo

- Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano - Rosso Foto
- Supervisione: Manuela Verbasi
- Progettazione grafica e web editing: Anna De Vivo
 

 

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