Una sera a Venezia tra realtà e sogno - Sergio Maffucci | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Una sera a Venezia tra realtà e sogno - Sergio Maffucci

Una folla strabocchevole ha appena assistito al volo della Colombina ed al corteo storico, momenti, questi, che aprono ufficialmente il periodo carnevalesco a Venezia.

Ora, gradatamente e confusamente, la gente sta lasciando piazzetta S. Marco confondendosi con coloro che non sono riusciti ad arrivare sotto il campanile ed hanno seguito, in posizione meno favorevole, la discesa della “Colombina” dalla sua sommità fino alla loggetta di Palazzo Ducale, dove è in sua attesa il “Doge”, pro tempore, della festa.

Si è rinnovato, così, in chiave più moderna e spettacolare l’antico rito propiziatorio del volo della colomba, che era costituito da un grande involucro a forma di colomba, pieno di coriandoli che veniva fatto “volare” dal campanile alla torre dell’orologio. Appena giunto a destinazione la “colomba” si rompeva e tutti i coriandoli si spandevano per piazza S. Marco. Il modo con cui essi volavano era oggetto di pronostico per l’andamento dell’anno a seguire.

A fatica raggiungo piazza S. Marco, dove prosegue la cerimonia dell’apertura del Carnevale, con la sfilata delle maschere ed altri spettacoli proposti da un palco allestito all’estremità della piazza, opposta alla Basilica.
Il pomeriggio trascorre così per alcune ore, immerso nello spettacolo più genuino, colorito e multiforme costituito dalle innumerevoli persone assiepate nella grande piazza.
Veneziani di ogni età che hanno indossato gli antichi costumi, quasi tutti di foggia settecentesca, sontuosi e ricchi in ogni particolare o dei costumi originali, preparati con cura e maestria, con i quali dare sfoggio alla loro fantasia creativa.
Non è raro, nell’incontrare coppie o gruppi di persone in “costume”, rivivere idealmente un momento degli sfarzi carnascialeschi della Venezia del ‘700.
Quanta magia ed anche quanto mistero sono legati al carnevale veneziano, celebrato in tante opere letterarie ed in tante rappresentazioni pittoriche.

Dopo una giornata così coinvolgente ed anche defatigante, il desiderio di cercare un po’ di calma, allontanandosi dalla folla chiassosa, diventa impellente, insieme al desiderio di vivere in maniera più intima e personale l’atmosfera del carnevale in questa città unica al mondo, per collocazione e storia.

Decido, quindi, di allontanarmi dai percorsi cittadini più frequentati ed infilarmi, senza meta, nel dedalo di calli, campielli e rive.
E’ trascorsa oltre un’ora dal tramonto, il buio a Venezia si avverte più che in altre città: le calli strette, l’assenza di negozi al di fuori dei percorsi turistici, amplificano questa sensazione di ombra che ti circonda e sovrasta ed a poco valgono i radi lampioni che rischiarano, a tratti, l’antico acciottolato.

Camminare in quelle condizioni, sentirsi immerso nel forte odore che proviene dalle acque dei canali, ti porta, inevitabilmente, a volare con la fantasia per immaginare come potesse essere l’atmosfera della Venezia storica.

Nel 1700 la Repubblica era ancora una delle grandi potenze politiche ed economiche, anche se il suo declino già s’intravedeva all’orizzonte. I nuovi scenari politici e mercantili che il “nuovo mondo” aveva creato contribuivano, sempre di più, a spostare ed a modificare le rotte dei traffici economici.
Mi sforzo di figurare le quotidiane attività della vita politica e sociale, sia dei nobili sia del popolo della Serenissima; lo splendore e lo sfarzo dei suoi aristocratici palazzi affacciati sul Canal Grande; la sontuosa qualità della vita dei nobili e dei ricchi mercanti che grazie ai loro mezzi, alla loro sensibilità e con il contributo dei migliori artisti dell’epoca, hanno reso Venezia una delle città più ricche di monumenti ed opere d’arte.

Un brivido mi percorre il corpo mentre questi pensieri si affacciano alla mente.
Mi accade sempre così quando l’immaginazione cerca di ricostruire i tempi passati che hanno un fascino tale da procurarmi una sorta di rimpianto, anche se il loro lato fascinoso e seducente era riservato solo a pochi… Immaginare di far parte di quei pochi, non costa nulla.
I miei passi, seppur leggeri, risuonano discretamente fra le mura delle antiche case. L’ombra della mia figura, che riproduce una sagoma avvolta dal rosso mantello sovrastata dal tricorno, continua ad ondeggiare da un lampione all’altro, or precedendomi, or seguendomi, sulle vecchie pietre, unica compagna di questo mio pensoso e lento incedere.

Tanto sono preso dalle riflessioni e dalle emozioni di quei luoghi, che ho perso l’orientamento e mi ritrovo in una zona di Venezia in cui non sono mai stato, anche negli anni precedenti e, per di più, nel buio quasi totale.
“Che strano!” Dico ad alta voce. “E’ vero che Venezia è una città scarsamente illuminata, ma così mi sembra eccessivo, forse in questa parte del Sestiere c’è un guasto… fortunatamente il cielo è sereno e la luna, quasi piena, rischiara la zona rendendo ancora più intrigante la situazione e più aderente alla realtà d’un tempo”. “Ecco ora sono proprio nel settecento, anche se mi manca una lanterna”.
Dopo queste considerazioni, cerco di recuperare l’orientamento per tornare in albergo prima che mi diano per disperso. Il ristorante per la cena è prenotato per le nove, cerco di vedere che ore sono al chiaro di luna… l’orologio indica le sei e dieci. “Ma se erano le sei e qualche minuto almeno mezz’ora fa…come possono essere le sei e dieci ora?” Mi chiedo, sempre parlando ad alta voce e contrariato. “Con questo buio non si vede quasi nulla, fammi vedere meglio”. Cerco di mettermi nella migliore posizione per vederlo di nuovo. “Ah, ecco l’orologio è fermo, proprio ora si doveva scaricare la batteria!” “Vediamo quello del cellulare”. “Qui la batteria è carica e sono… le sei e dieci… come le sei e dieci?” “Anche il cellulare non va ora?” “Tanto per completare il quadro: non c’è campo!” “Ma che cazzo sta succedendo?”
Una strana sensazione s’impadronisce della mia mente: le luci spente, l’orologio fermo, il cellulare, carico, ma morto anch’esso. Tutto ciò non è normale e non è nemmeno uno scherzo di carnevale, penso, cercando di dissimulare un’evidente inquietudine che mi assale, ma che cerco di contenere.
“Dai Giulio, sii razionale, una spiegazione ci sarà pure, non ti lasciare sopraffare da queste strane coincidenze, Venezia sarà anche una città di misteri ma siamo nel ventunesimo secolo…credo…” Tutte queste considerazioni dette a voce forte, tanto sono solo, servono ad infondermi un po’ di coraggio.
“Ma che sto pensando, mi sto lasciando suggestionare!” Riprendo a camminare velocemente nella speranza di arrivare quanto prima almeno dove c’è un po’ di gente, lì mi farò indicare la strada e tutto questo sarà solo uno sgradito ricordo di un momento di debolezza.
Proseguo con disagio nel dedalo delle calli, ma ho la sensazione di girare a vuoto quasi fossi in un labirinto e l’emozione continua a crescere.
Ecco che a qualche decina di metri da me, scorgo una figura femminile venirmi incontro: porta una lanterna nella mano destra che ne illumina la figura abbigliata come una nobildonna del ‘700.
< Incredibile, ora pure una maschera che sembra abbia preso tanto seriamente il suo ruolo da camminare con una lanterna ad olio come si usava oltre due secoli fa!>.
Questa improvvisa apparizione ha, comunque, un effetto positivo sul mio stato d’animo, offrendomi la possibilità di chiedere informazioni per tornare nella zona del ghetto nel Sestiere di Cannaregio.
Mentre si avvicina, mi accorgo che l’abito, anche alla luce del lume, è di fattura pregevole e lussuoso al pari degli accessori, maschera ad occhiale compresa, dietro la quale s’intuisce il volto di una giovane donna.
Quando siamo abbastanza vicini da poterci guardare negli occhi, la maschera, anticipandomi, mi dice:
“Buona sera siora maschera!” Secondo l’usanza in voga durante le feste di carnevale del ‘700.
Sorpreso e lusingato dall’essere assimilato, con il mio modesto abbigliamento, ad una superba maschera come la sua, ricambio con calore il saluto:
“Buonasera a lei bellissima maschera!”
Il mio accento tradisce l’origine non veneta e la signora, fermandosi, mi chiede:
“Lei, siora maschera è di Roma, vero?”
“Sì, sono di Roma, è tanto evidente?”
“Sì, anche perché qualche anno fa sono stata a Roma a trovare il Santo Padre Pio VI”.
“Papa Pio sesto?” Chiedo con malcelato stupore.
“Certo, Papa Pio VI, della famiglia dei conti Braschi”.
< Ah, ora ho capito, questa “maschera” si è talmente immedesimata nel personaggio che rappresenta che non solo l’abito, la lanterna ed il resto, ma anche i riferimenti storici sono quelli del tempo del suo personaggio, però!>.
“Scusi la mia ignoranza e la mia curiosità, chi è il personaggio che ho di fronte, se posso chiederlo, siora maschera?”
Un lampo d’incredulo stupore attraversa i begli occhi che traguardano attraverso i fori della mascherina. Uno stupore che reputo manifestato ad arte: un’interpretazione magistrale in ogni dettaglio…
“Sono la marchesa Fiorenza Vendramin Sale!”
“Ah, bene, ma perdoni ancora la mia ignoranza “siora maschera”, non conosco questo personaggio, può soddisfare la mia plebea curiosità parlandomi di codesta marchesa”.
Le chiedo assecondando platealmente l’interpretazione della signora…
“Sono la figlia di Francesco Vendramin, proprietario del teatro S. Luca, dove il sior Goldoni rappresenta e recita le sue commedie; ho sposato il marchese Filippo Luigi Sale Manfredi di Vicenza”.
“Molte grazie….”.
.
“Lei siora maschera a che famiglia appartiene della nobiltà romana?”

“La mia maschera, se così la vogliamo chiamare, non raffigura nessun nobiluomo, non ho nobili natali da vantare, sono solo me stesso”.
Appena finisco la frase mi tolgo la “bauta” che mi copre il viso per manifestarmi per quello che sono.
“Ecco, io sono Giulio e basta!”
“Interessante!” Fa la maschera o la marchesa, a questo punto non so più con chi stia parlando.
La maschera/marchesa si avvicina ancor di più, alza il braccio destro per illuminarmi il volto e:
“Vedo che ciò che la maschera celava e molto pregevole in guisa tale da turbare il mio animo”:
Nel pronunciare queste parole mi carezza il viso ed i suoi occhi mi perforano la mente e mi scuotono il corpo.
mi dico .
Non riesco a finire questo pensiero che la “marchesa” si toglie la mascherina, posa la lanterna su un muro vicino e accosta il suo viso al mio, fino a sfiorare le mie labbra.
Avvertire il calore del volto, aspirare il profumo intenso ed inebriante che emanava il suo corpo, una fragranza mai sentita prima d’ora, mi procurano un gran turbamento e confondono ancor di più la mia mente. Ogni mia resistenza, se mai ci fosse stata, ad una situazione così paradossale si è liquefatta e non ho resistito al desiderio di baciare quelle labbra tentatrici che mi hanno ricambiato con un trasporto ed una sensualità mai provata.
Mi trovo trascinato in un vortice di passione e di erotismo come non mai.
Le mie mani sollevano il suo abito e non trovano alcun indumento intimo: era già pronta all’amplesso! Altrettanto fanno le sue mani, che con consumata perizia guidano il mio sesso fino alla sua “porta” già aperta e madida, per poi introdurlo dopo avermi spinto contro il muro ed abbrancatomi con le gambe mentre l’afferravo per le natiche per assecondarla.
Da quel momento in poi perdo il senso della realtà, se di realtà si tratta, non comprendo più ciò che sta accadendo. Mi sento sospeso tra sogno e realtà, proiettato in un'altra dimensione forse onirica o forse reale, ma tanta era la voluttà di quell’amplesso che nulla più m’importava. “Fiorenza” conduce il rapporto con un erotismo a me sconosciuto da farmi perdere il lume della ragione.

Quanto sia durato questo folle atto d’amore, non ricordo, ma l’appagamento provato, il contesto in cui si è svolto e la persona che mi ha letteralmente trascinato in quest’esperienza, mi ha lasciato talmente soddisfatto nel corpo e nello spirito che desideravo che il tempo fissasse, per sempre, quelle straordinarie emozioni.

Appena ripresa una parte della mia lucidità, mi accorgo che la marchesa/maschera si è già ricomposta e, senza proferir parola, prende la lanterna e s’allontana.
Cerco di sistemarmi a mia volta e mi giro per chiamarla…per chiederle un numero di telefono, ma non la vedo più, sembra sparita nel nulla così com’è apparsa. Corro per cercarla: niente! Nessun portone che possa far pensare che vi sia entrata: nulla di nulla, come se si fosse dissolta nell’aria.
Il mio stato confusionale si accentua ulteriormente. Un gran turbamento ed una serie di dubbi, s’insinuano dentro di me e scuotono dalle fondamenta la mia razionalità che non sa trovare alcuna risposta all’accaduto.
“A cosa sto pensando?” Mi dico scrollando la testa. “ I segni inequivocabili di un rapporto sessuale sono ben presenti e reali sul mio corpo e questo non è né un sogno, né frutto di fantasia!” Continuo a ripetere parlando da solo.
“Tutta questa storia ha dell’incredibile, non sarò mica diventato matto all’improvviso!”
“Sono completamente stordito, non riesco a spiegare razionalmente quanto accaduto, ma non posso nemmeno lontanamente pensare di aver fatto l’amore con un fantasma o con una donna che, pur disinibita ed “esperta”, non sparisce in questo modo”.
Solo ora mi rendo conto che alcuni lampioni sono accesi: la luce è tornata e mi accorgo che la mascherina che indossava la marchesa sta per terra, vicino al muro dove abbiamo consumato il focoso amplesso.
La raccolgo con delicatezza, l’accosto al viso: è pregna del suo profumo e trasmette tutta la malia di Fiorenza. Ne assaporo la fragranza con voluttà e con rimpianto; la ripongo con cura nella tasca della giacca.

Riprendo in parte contatto con la realtà e mi chiedo: Che ora sarà? L’orologio è scarico, il cellulare è impazzito, oggi è successo di tutto.
Quando passo sotto un lampioncino, provo a riguardare l’orologio, senza convinzione, con grande stupore leggo che sono le 19,20 e la lancetta dei secondi si muove! Prendo anche il cellulare, non senza emozione: segna le 19,21 e ha il campo pieno!
Mi fermo, sono senza fiato, basito ed incredulo. Non so e non voglio spiegarmi quest’altra anomalia.
Adesso che devo pensare, che sono andato io nel passato ed ho fatto l’amore con una signora di oltre 200 anni fa?
Ho una vertigine, mi appoggio al muro di una casa per non cadere, non so se riuscirò ad arrivare all’albergo e ad affrontare mia moglie e gli amici in questo stato d’animo.
Il rumore dei passi di alcune persone mi rassicura momentaneamente.
“Bene, sto rientrando nella normalità!” Mi dico a denti stretti.
Ancora pochi minuti e, finalmente, mi ritrovo nella confusione della gente e delle maschere, spero vere, del Carnevale e non nego di provare piacere nell’immergermi di nuovo nella folla rumorosa e colorata, che allontana i miei pensieri ed in parte attenua la mia tensione.

Finalmente arrivo in albergo.
“Giulio che fine hai fatto?” Chiede decisa, mia moglie “Ti ho chiamato più volte fino a mezz’ora fa, ma non eri raggiungibile…”.
Penso, abbozzando un sorriso.
“Beh, che ridi?”
“Rido perché mi sono “perso” nelle calli di Venezia ed ho girato a vuoto per un bel po’ e forse lì non c’era campo, ma solo campielli”. Replico con una battuta.
“Ora mi faccio una doccia, mi cambio ed andiamo a cena”.
“Sbrigati però!” Fa Luisa con tono seccato. “Giulio?” “Sì, che c’è?” “Non senti un odore strano, anzi un profumo strano, ce l’hai addosso” Un attimo d’imbarazzato silenzio mentre istintivamente tocco la tasca della giacca poi, con un guizzo dei miei:
“Dei ragazzi hanno cominciato a spruzzare le persone con dei flaconi in cui c’erano gli odori che senti…è Carnevale anche per queste cose!”
“Dai fatti la doccia, fai presto!”
“Sì, sì faccio subito!”

La mattina seguente, dopo una notte pressoché insonne, scendo alla reception e chiedo la cortesia di usare il P.C. per una ricerca su Internet.
Inserisco il nome di Fiorenza Vendramin su Google.
Numerosi i riferimenti a questo nome, su uno di essi si apre una pagina dedicata a lei. Lo stupore è grande nel vedere il suo ritratto riprodotto nella pagina.
“Cazzo, ma questa è proprio lei, la maschera/marchesa… quella che ho incontrato ieri sera e con la quale ho fatto l’amore! Non è una che le somigli, è proprio lei, pure il vestito sembra lo stesso”. Proseguo a leggere.
“Qui c’è scritto che:- La marchesa Vendramin Sale era nota per i suoi atteggiamenti disinvolti e scandalosi, poco consoni al suo stato sociale; subì le invidie e le maldicenze delle nobildonne locali per la sua bellezza e per la sua cultura; aveva una marcata idiosincrasia per le regole sociali ed i divieti in genere –“.

“Ecco, se occorreva un’altra conferma…questa descrizione coincide con la donna che ho incontrato ed i suoi comportamenti”.

Clicco sul pulsante di chiusura della pagina, mi alzo e vado nella sala dove mi raggiungerà Luisa per fare colazione.

Mi siedo al tavolo. Sono assente e frastornato e mi rendo conto che dovrò, d’ora in poi, convivere con questo ricordo e con i dubbi sull’irrazionalità della storia, senza poterla condividere con nessuno!


Vero, surreale, inspiegabile che sia quanto mi è accaduto, quella piccola maschera, attraverso la quale sono stato trafitto da due occhi meravigliosi, sarà la testimonianza di quell’amplesso, forse consumato in una piega delle dimensioni spazio/tempo, che rimarrà sempre uno degli eventi più emozionanti e coinvolgenti che abbia mai provato.

Sergio Maffucci [Sermaf]


-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione: Paolo Rafficoni
-Editing: Alexis, Livia Aversa
-Racconto di Sergio Maffucci [Sermaf]
-tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto

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