Scritto da © Adriana in una ... - Lun, 22/04/2013 - 05:58
Quell’anno la RAI, per realizzare il programma “L’ISOLA DEI FAMOSI”, avendo deciso in commissione che quella sarebbe dovuta essere l’edizione più spettacolare e, quindi, più seguita, non badò a spese ed, alfine di rendere le prove più difficili ed entusiasmanti, prese due specialisti americani per gli effetti speciali: Gorge Williamson e Philip Hower. La regia dallo studio di Roma fu affidata a Davide Dominghetti che era quanto di meglio ci fosse allora. A presentare il programma furono chiamati Giorgio Borsetti e Wilma Codali, che a quei tempi andavano per la maggiore.
Si decise che i concorrenti fossero, si famosi, ma di molto diversa estrazione sociale, ragion per cui si invitò: un magistrato Giovanni Messeri, molto noto allora per la sua lotta alla malavita organizzata; un regista televisivo Riccardo Maine, impegnato a documentare gli abusi contro la natura; un ballerino Paolo Conis, coreografo tv in lotta per i diritti degli omosessuali; un giornalista sportivo, Aldo Detari, noto commentatore di ciclismo; una presentatrice, Maria Bulgari, molto polemica e disinvolta, fondatrice di un’associazione che annoverava tra i suoi iscritti tutti coloro che, per un motivo o per un altro, erano stati licenziati dalla RAI; tre attrici, Rita Bradè, Maria Kramer, Ottavia Pegolo, bellissime fisicamente; un’avvocatessa, Caterina Cortesini, famosa per aver vinto in processi di risonanza nazionale; infine due cameraman tra i più bravi della RAI, Enrico Scippacercola e Giovanni Pappalettera. Il tutorato, con intervento dalla vicina isola di Oboha, fu affidato all’espertissimo Ermanno Velardi, psicologo di chiara fama.
Vista dall’alto, l’isola, aveva la strana forma dell’uomo pesce, cioè di quel essere dal corpo squamoso simile a quello di un film di fantascienza degli anni cinquanta. Gli indigeni, abitanti delle isole vicine, la chiamavano Maupiti, cioè perla, perchè i mari del suo circondario nel quale essi non osavano avventurarsi, erano pieni di ostriche perlifere. La sorgente a sud est la chiamavano Apoha (nascosta), dal momento che essa sgorgava dall’interno di una grotta che si apriva direttamente sulle acque del Pacifico. Accanto alla nomenclatura geografica polinesiana c’era quella spagnola in quanto l’isola fu meta di due conquistadores per l’approvvigionamento dell’acqua: Hernan Cortez prima e Francisco de Orillano poi. Infatti costoro diedero i nomi a gran parte di quelle terre, così che il grosso altopiano situato a sud lo chiamarono Mesa de Granata (1456 m), mentre quello a nord lo chiamarono Mesa de Merenghes in quanto vi trovarono degli avogados che scambiarono per arance deformate. Due laghi al sud, formati da infiltrazione di acquamarina li chiamarono: Aqua de salud poiché, di origine vulcanica, presentava delle fumarole Ad est vi era una lunga distesa sabbiosa che denominarono Tierra di de Orillano, mentre ad ovest, un’altra striscia di sabbia fu chiamata Tierra do muerto. Tale nome ebbe origine dal fatto che i conquistadores non trovarono solo l’acqua in quell’isola, ma anche la morte. Un’intera squadra di dodici marinai del de Orillano furono rinvenuti su quella spiaggia con i corpi completamente privi di sangue. Un mistero mai risolto! I frati che seguivano la spedizione, , terrorizzati da tale evento, pregarono il de Orillano di abbandonare subito quel posto perché posseduto da chissà quale spirito Maligno.
Si narra anche che due giovani indigeni, Tonka e Meneth, avessero voluto sfidare la maledizione del posto e, sbarcati sull’isola, si inoltrarono nella fitta vegetazione della foresta dell’entroterra per raggiungere per la via più breve la Mesa de Granata, ma non ci arrivarono mai. Qualcosa di tremendo li indusse a tornarsene indietro e, quando arrivarono al loro accampamento, avevano i capelli bianchi e la mente sconvolta. Dicevano di aver visto pesci verdi grandissimi che camminavano ritti con delle zanne enormi.
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