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Lenzuola, federe. Pile di federe e lenzuola. Quest’anta del mio armadio è così: stracolma di lenzuola e federe. Alcune con ricami fatti a mano su cui riconosco le cifre della nonna, su altre quelle della prozia che abitava questa casa, poi ancora tante federe e lenzuola bianche,  di tessuto spesso e pesante,  lisce,  senza angoli ,  con passamanerie e ricami fatti  a macchina  da mia madre.
Tutte di quel cotone potente, resistente, inattaccabile, eterno, che non si cura di chi gli sparisce addosso.
 
Non amo granché i colori di quei ricami a macchina e neppure prediligo il bianco, infatti spiccano, in tutto quel nitore spettrale, un blu scuro, un grigio e un  giallo di mia scelta, però mica posso  buttarle via, sarebbe uno spreco, un dispregio.
Quindi ho deciso che quelle coi ricami a mano (quelli a intaglio, che chissà quanto tempo e fatica...) le affiderò a un’amica, bravissima con la macchina da cucire, e ne farò tende o tendine, mentre una parte di tutto quel bianco lo impaccherò sopra l’armadio, aspettando qualcuno a cui regalarlo, o dimenticandolo.
 
Perché io le lenzuola le voglio dei colori che piacciono a me, quelli che mi somigliano e non ho colpa se quel maledetto cotone rimane indenne nei secoli. Mica l’ho scelto io.
Io ho scelto quelle del mio matrimonio, ormai quasi terminate, in nettissima minoranza sui ripiani perché erano di cotone moderno:  quel bel cotone leggero,  che dura poco e si consuma. Finisce.
 
Esattamente come noi.
 
 

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