Scritto da © Piero Lo Iacono - Dom, 25/03/2012 - 13:36
(There is an undertone of envy in your words I sense)
Contro l’invidia
coltivo l’eutanasia
dell’understatement.
Una timida ironia
con cui forgio parole
insospettabili di enfasi.
Anaffettive d’intime risonanze.
Così a chi mi chiede com’è mia figlia
io rispondo che è carina,
invece è bellissima,
ma non lo dico.
Se mi chiedono “come stai”
dico sempre “benino”
(“benone” può destare invidia,
“male” disprezzo).
Devo fare i conti con l’invidia
continuamente. Come tutti.
Dentro e Fuori.
L’invidia da venti diottrie
e dieci decimi.
E come da barricate o trincee
lancio i miei mantra apotropaici
e scaramantici.
Così quando mi domandano
se scrivo poesie dico “ci provo”.
Se mi chiedono se sono poeta rispondo
“beh un versaiolo, un poeticolo”
anche se mi stimo meglio di Montale.
Ma vada pure al cimitero l’invidia
dove non avrà più nulla da invidiare. Spero.
(E forse anch’io dovrei sotterrarmi
per non vedere e non esser visto!)
Ma non è che un’altra immutabile legge di natura:
una gallina riprende a mangiare più volte
se vede accostarsi al suo cibo altre galline.
“Laggiù i fiori appassiti delle vacanze degli altri” (J.L.Godard)
18-8-2006
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