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Marzo 2002
Roma
Ore 8.10
 
 
Sole. Cielo fresco e pulito. I colli, solo un segno appena tracciato, lontani. Un pastello leggero, roseo d’una luce quasi liquida. Voli liberi. Grida.
Nell’aria come una promessa di primavera. Sui tetti, sui rami già pesanti di gemme. Sulla frenesia della strada tratteggiata di colori in fuga.
     Quella mattina aveva deciso di mettere a posto un po’ di armadi.
Visto che certi non si chiudevano più. La doccia la faceva dopo. Dopo la sudata. Voleva proprio rivoltare casa. Una furia dentro.
Ancora in camicia da notte, Nora, i capelli tirati su, tutti gli sportelli aperti. Ché c’è proprio da svuotare e vedere un po’, ogni tanto. Curiosare. Quando le prendeva ‘sta cosa del mettere in ordine inutile contrastarla. Certo, la cosa. E lei. Ottimo modo per schiacciare rospi. Per starsene a non pensare, concentrata sul lavoro delle mani, sui movimenti misurati, organizzati. Tanto, pensi, pensi e a che serve. Le cose bisogna lasciarle andare come vogliono.
Era sempre stata un’attività divertente quella del rivoltare tutto, in fondo. Uscivano fuori le cose più strane. Dimenticate. I trucioli vaporizzati del tempo. Pronti a materializzarsi, a caricarsi di ricordi. Un giorno, in uno dei suoi raptus, aveva ritrovato addirittura il bastoncello bianco del test di gravidanza. Con la puntina azzurra. Che poi ormai s’era scolorita. Ma allora era azzurra. Dopo prove e riprove e niente. Prove e niente, quella era azzurra. Inconfondibilmente, trionfalmente azzurra. Da maschio. Di maschio. Ma dai…non è possibile. Sarà un errore, ‘sti test sono sempre fasulli, aveva detto Fabio. Fasulli se dicono di no. Mica se dicono di sì, aveva detto lei. E s’era venuta a sedere sul letto, dalla parte sua, spalle a Fabio, che restava sdraiato, incredulo, e la guardava. Lei sentiva che la guardava. Stava davvero ricordando tutto, adesso, mentre tirava fuori vecchie tovaglie, pizzi dimenticati, un asciugamanetto che aveva ricamato sua nonna. Devo lavarlo, s’è ingiallito, pensa. Immagini. Sensazioni. Tutto ricorda di quel giorno lontano. Quello del bastoncino del test. E s’era sentita come se avesse un segreto, allora, un qualcosa da tenersi negli occhi e non dire a nessuno. Che tanto sicuramente già le si vedeva. Una specie d’esplosione, un trasalimento di gemma. Un’ansia felice, come di sera prima dei regali.
Tanto tempo, tantissimo tempo prima. Era passata una vita da quella mattina. D’agosto. Chissà se si vedevano gli anni. S’era guardata un attimo allo specchio sopra la cassapanca. Ancora andava bene. Ok, aveva pensato. Niente ciccia. I capelli lunghi e lucidi. Elastici, come lei. Tutto quello che era passato era scivolato sul suo viso. Sul suo corpo. Al diavolo il tempo. Per adesso vinco io. Al lavoro. Le maniche della vestaglia arrotolate. Un operaio pronto all’opera. Un archeologo dei ricordi.
Via. All’aria tutto. Stravolgimento di ordine fittizio. L’avesse potuto fare anche in testa, non sarebbe stato male. E nella sua vita. Rivoltarsi anche lei.
Effetto della primavera. O no.
Beh, si comincia sul serio, adesso.
Per fare un grande ordine ci vuole un grande disordine, diceva nonna.
Era a buon punto, allora. (pure in testa)
 
E poi era primavera. Proprio. Aria tiepida che entrava dalla finestra aperta.
In balcone le prime gemme sulla buganvillea. E primule. Gialle, viola. Bianche.
Voglia di cassetti foderati di carta di Varese. Gigli blu su campo ocra chiaro.
E metterci un piccolo coccio con l’olio di lemongrass. Profumatissimo. L’aveva comprato. Fogli di carta, coccio a forma di rosa. Olio essenziale. Un paio di boccette. Tutta l’attrezzatura, insomma.
E adesso se ne stava lì, a svuotare tutto. Tutto  il settimanale sul letto. In piena rivoluzione. Fuori, un merlo cantava. Insistente. Un pensiero inceppato.
Una fissazione sonora. Una stasi del tempo.
E da un cassetto era caduta fuori quella busta. Un po’ spiegazzata. Strappata, sopra. Carta intestata della scuola per l’infanzia Peter Pan.
Aveva tirato fuori il foglietto e letto.
 
 
 
 
28.09.1992
Roma
 
Gent.ma Sig.ra Nora Ferretti
 
La presente per invitarla ad un colloquio con la maestra Angela Ugonotti,
presso la nostra scuola, il 7.10.1992, alle ore 15.30
 
il Direttore Didattico
(timbro e firma illeggibili)
 
 
E s’era ricordata tutto.
S’era fermata, il foglietto, un po’ scolorito, nella mano destra, la busta a sinistra, il braccio crollato lungo il corpo. La busta a terra. Una mano a togliere la ciocca dalla fronte. Doveva lavarsi anche i capelli. Le faceva sempre bene.
 
Soprattutto la faccia della maestra, stava ricordando, mentre le diceva
- Signora, che ha Giorgio?
 
Certi visi, l’espressione di certi visi in momenti particolari, importanti, un addio, una rivelazione, un dolore tagliente, una confidenza, l’immagine della morte, certi visi s’imprimono, marchiano così saldamente le pieghe della memoria che basta un niente per farli riaffiorare.
Una palla di gomma spinta sott’acqua.
 
..
(by poetella)
 
 

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