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Dentro vs. fuori

Vita inceppata. C’è una calma piatta sul mare dell’esserci, un non partire, un non avviarsi di alcunché, che si distende orizzontale sul panorama della vita come una salma in un sarcofago, e mummificando ogni intrapresa, ogni entusiasmo, ogni valuta della pena di vivere…
Il fatto è che quando il fuori è contro il dentro, vivere, sopravvivere, diventa impossibile. E non è che mentendo al dentro lo si possa ingannare davvero. L’estetica, là fuori, dev’essere consonante, adeguata al dentro, viceversa ci si pone da sé i propri paletti e non si va da nessuna parte. È il dentro l’intelligentsia; il fuori è costrizione, è obbligo, è giocoforza. Un po’ come le pulsioni: è impossibile espiantarsele. Ma è ottuso, il fuori. È altrettanto impossibile che sia lui a ingannare l’intelligenza, l’interno, come è impossibile per questa il voto di castità estetica. L’esterno non può ingannare l’interno, come questo non può essere senza quello, ahimè. Perché la vita è l’estetica, i sensi che si muovono in un contesto biologico dato; mentre l’intelligenza è una sorta di ipotesi, o di sciarada, fioritaci dentro per un qualche bizzarro capriccio di una madre-natura refrattaria e incompenetrabile.
La natura, lo sappiamo, si muove per necessità intrinseca, e ove questa necessità cade, non si muove più, e perisce. Ma appunto, noi lo sappiamo grazie alla logica. E la logica è la radice su cui si impianta il sistema etico-morale. L’etica è l’interno, il dentro; la natura è il fuori, l’esterno. L’etica, o la morale, è l’interno in quanto noi siamo soltanto ciò, una interiorità, una differenza, un io-soggetto circondato da un vuoto niente, che viene da lui riempito di necessità logica e di spessore morale. Ma lui, l’esterno, è totalmente estraneo e vuoto e indifferente rispetto a qualsivoglia classificazione, o interpretazione, o addirittura compito gli si voglia affibbiare. L’esterno è un dio vuoto, una assenza, come gli dèi tibetani, la cui esistenza, se pure ammissibile, è un “per sé” inscalfibile, imperturbabile, irraggiungibile. A noi non è dato che vivere secondo logica, ossia la nostra logica, sperando che essa coincida con il meglio possibile della nostra cognizione delle cose. Anche se vediamo sovente, se non sempre, come questa logica venga deformata e piegata all’interesse individuale, che finisce per ricadere nell’ambito sconosciuto del vuoto niente, dell’esterno, della natura. Vediamo cioè all’opera una logica che rinuncia a se stessa per negarsi, in fondo, a favore della sua antitesi naturale, da cui è insorta proprio per superarla in una sintesi perfetta. Ma anche questa opera della logica contro se stessa è un frutto della logica. Chi si nega alla razionalità ha un suo tornaconto raziocinante che lui crede di asservire al proprio interesse, ma che invece gli si rivolta contro perché ogni passo indietro del logos porta necessariamente alla sua sconfitta, perché è un passo avanti del niente a cui il logos contrappone il verbo appunto per riempirlo.
Noi siamo una “differenza ontologica” e morale, e l’etica è il nostro territorio, la nostra patria. Negandola, neghiamo l’essere, il nostro essere- il risultato è la contraddizione, e il risultato della contraddizione è la guerra. Perciò dovremmo cercare quella consonanza, quell’armonia tra fuori e dentro, tra esterno e interno. Perciò dovremmo vivere a norma della nostra meravigliosa invenzione, la logica, ossia strutturare eticamente la nostra Odissea sulla faccia del mondo. Già, ma niente è più difficile su tale faccia che far coincidere la fisiognomica con la purezza dell’idea (l’eidos) che essa esprime, ma che, più spesso, dissimula.     
 
 

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