Scritto da © Andrea Occhi - Gio, 23/02/2012 - 08:44
Il virginale marmo rifletteva, come neve, la luce estiva della sua lucida storia classica. Si sedette sullo stilobate, base delle poderose colonne ioniche del tempio ottastilo, per ammirare quelle costruzioni millenarie e volse lo sguardo verso il tempio dedicato alla vittoria, priva di ali, non per la mutilazione della battaglia, ma perché così, aptera, non volasse via, abbandonandolo ed offrendo ad altri i propri favori. Si sfilò gli occhiali da sole, dalle lenti color verde scuro, a goccia, dalla montatura dorata, ed il cappellino da baseball in jeans con cucita, sopra la tesa, la bandiera americana. Si ravvivò i capelli, come un attore navigato, e, socchiudendo gli occhi, si lasciò incantare dal bianco che lo circondava, immaginando brusii aoristici, il frusciare sinuoso del tessuto dei chitoni lungo gambe affusolate e il brillare di preziose spille. Non si è mai interrotto il flusso canalizzatore della fantasia che permette romantici trasferimenti nello spazio e nel tempo delle emozioni. Continuo ad infrangere le ossa, non solo il mio cuore, contro l’imponenza della rastrematura delle colonne alle mie spalle. Sono e sarò sempre sulla sommità della collina in attesa di essere scagliato nella pietrosa valle sottostante tra il sudore dei guerrieri ed il clangore delle armi. Questi sogni di bambino, che mi allevano ancor oggi, sono nitidi e visibili; se non credete alle mie parole, il mio babbo, a mia insaputa, catturò i miei fantasmi colorati su carta Kodak dieci per dodici. Era il millenovecentosettantasette.
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