Scritto da © ferdinandocelinio - Gio, 11/04/2019 - 21:21
Nella giovinezza le cose
erano sature
come un carnevale
e tutti mischiavano peli
e bave della bocca
alla risacca del mare.
Nessuno poteva ancora sapere
cosa sarebbe stata la vita.
Io l’ho dimenticato,
sto seduto su una seggiola
in un Uranio senza nome
e alle volte coltivo qualche sogno,
quando mi sfiora il ricordo.
*
Penso che iddio
sia grato
agli uomini.
Ma, io schivo
i miei sogni
come fosse inverno,
brucio
le mie donne al rogo,
i miei dolori
al fuoco fatuo della risata
e mi trascino
sulla spiaggia di Punta Faro,
osservo
il grosso Pilone
bianco e rosso
con la sabbia finissima
che m’inzuppa i piedi
e ho una critica
per il pensiero buono,
per i buoni sentimenti,
perché credo
nella coscienza della puttana
che si sfila le mutande
e regala un pezzo
di paradiso
al primo sfigato del bordello,
la mia intelligenza
è una canzone amara
cantata sottovoce
da un vecchio ubriacone;
il fatto è che ho paura
di sentirmi all’altezza,
sono una mosca
in un mondo di merda illustrissima,
e mi chiedo
se sia necessario cambiare
se sia giusto
tirarsi fuori da questo
lento incedere
della morte prematura,
eppure l’aria è buona
in questo dodici aprile
della primavera del Signore,
e le comari
organizzano
una festa segreta
tirate su
dai loro caviglioni gonfi
in questa muta mattina
nelle campagne di Sperone,
il mare,
in lontananza,
chiede dolci rivolte,
forse non è
cambiare che serve,
ma lasciarsi trascinare
arresi dalla corrente
come sassolini
o faggi
che il vento piega
senza spezzare.
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