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L' Indaco di Kevin

YGROS

Un velo indaco
Mi avvolge la testa
Un sudario di pensieri
E fuggo dall’inferno blu
Nel tiepido
Inferno nero-bile
Della Melancolia.
Klo1980, 27/07/2009  

 

 

 

 

  
L’Indaco di Kevin
 
Il problema di Kevin non era l’autismo, non la sua indecifrabile genialità, nè la stanchezza frammista ad ansia che lo affliggevano sin da quando era nato.
 
Forse il problema di un Kevin normale, sarebbe potuto essere il nome, Kevin Roncacci. Roba da farsi prendere per il culo da tutti i perfidi coetanei quindicenni. A quindici anni o si è geni o tonti o sterili perfidi implumi ragazzotti cinici quanto basta per far chiudere ancora di più Kevin nel suo scrigno dorato. (a volte non implumi…)
 
Il problema del Kevin che non conosceva il normale invece, il macigno che l’affliggeva, era il dono ingestibile dell’amplificazione percettiva dei sensi, era l’innescarsi di sinestesie continue, ma non lineari e prevedibili come per chiunque si fosse mai cimentato nell'esercizio dei sensi.
 
Lui da anni conosceva bene il temine ed il suo significato, ormai se lo ripeteva a memoria quotidianamente (era un atteggiamento un poco autistico in effetti) : “Sinestesia, termine che normalmente indica situazioni in cui una normale stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita come due eventi sensoriali distinti ma conviventi. Nella forma più blanda, questa particolarità è  presente in molti individui. E facile infatti pensare a situazioni frequenti  in cui il contatto o la presenza di un odore o di un sapore evoca immediatamente un'altra reazione sensoriale. Quante volte la vista della frutta è percepita anche come sapore?. Questo è spesso dovuta al fatto che i nostri sensi, pur essendo autonomi, non agiscono in maniera del tutto distaccata dagli altri”.
 
Il fatto era che lui di questi eventi sensoriali spesso ne aveva tre o quattro simultanei. 
 
E non solo.
 
Kevin sentiva i racconti del buio nella notte.
 
Percepiva l’odore delle urla.
 
Era irrorato dalle strutture geometriche delle canzoni. 
 
Nel silenzio immobile arrivavano vibrazioni incontenibili di movimenti celesti.
 
Sentiva e vedeva i colori delle note, e a volte andava in overdose dalla musicalità dei colori.
 
E i colori, per Kevin, non si potevano spegnere, li poteva attenuare, o poteva sperare in una giornata in bianco e nero. Aveva anche pensato di levarsi gli occhi e buttarli via, per trovare un po’ di pace, ma quasi subito la mente all’erta gli suggerì che i sensi restanti si sarebbero ancora più affinati, e per il suo tatto non ci sarebbero state più neanche costosissime sete pregiate a lenire l’abrasione mentale portata da tutto ciò che lo avrebbe contornato.  
 
E poi Marco e Angela, sua gioia e disperazione, due braccia di un porto nel suo continuo mare in tempesta, due braccia di un porto che pareva accogliente, rassicurante e gentile, il suo faro nella notte delle emergenze.  Rivelandosi poi sempre un porto senza fondo e senza solidi moli ai quali potere attraccare.
 
Genitori che i primi anni correvano e impazzivano nel non capire.
Genitori che negli anni a venire lo coprivano di amore per potere capire.
Genitori che negli anni a finire si allontanavano riversando amore dispendioso, per non vedere.
Per non vedere una creatura semplice ma di una densità interiore tale da poter smuovere interi oceani, ma una creatura incapace di gestire e contenere tutto ciò che un mondo normale aveva da offrire... a gente normale. Lui era venuto al mondo con un senso di regalità unico, era impregnato di profonda stima di se stesso, era per natura piuttosto ribelle ed anticonformista. Inevitabile il suo esacerbato rapporto con il sistema in generale, con gli schemi imposti, con qualunque tipo di autorità.
 
Kevin era frainteso per “elemento alternativo” per il semplice motivo che spesso trovava un modo diverso per fare le cose che tutti naturalmente fanno nel modo naturale, era additato soventemente come asociale, specialmente in una scuola che era troppo piccola e banale per lui. Era un Kevin irrequieto, incompreso, e quando cercava di dire chiaramente ciò di cui avesse bisogno per essere compreso, era l’introvabilità di quei bisogni che innescava ennesime sedute e pillole di molteplici colori.
 
No.
 
Non furono i farmaci a farlo finire, ma l’incapacità di un popolo di ciechi medici immanenti e impavidi professori che non volevano rassegnarsi a credere e capire, che esisteva un trascendente da amare ed accudire, e con quell’aura indaco, non era giusto lasciarlo morire.

 

Fine

(E inizio, della Marea.)

A seguire, La Marea sta Passando (The Tide is Turning).

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