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La gazza (m’égare et m’agace)

(perdonate il forse eccessivo FONO-SIMBOLISMO di questa poesia-gazzarra)
 
Il becco la gazza aguzza
e secca picchia
schiocchi di gola
come di nocche
o nacchere spagnole.
 
Svolazza per sollazzo
col quacchero coro.
Ed è gazzarra nella ramaglia!
Ridacchia
come il teschio
sul desco del sagrato.
 
Starnazza
finché di risa quasi morta non stramazza
e giù strabuzza con le zampe all’insù.
Poi si raddrizza,
le piume di raso rassetta
e riattizza le ciance.
Quanta spocchia!
Zompa, trotta, marcia.
Come un polletto ruspante raspa.
 
Guardala mentre corre impettita
e si raggruzzola con chi razzola
là nella ficaia che s’abbuia.
 
Ora me guarda che invisibile mi credevo.
Appollaiata mi scruta.
Ci guardiamo.
Non ha né cresta né bargiglio
ma uno strano rostro d’arancia.
Mi guarda attenta.
Ha occhi di fanciulla.
Pupille di gazzella.
E guarda proprio me
che invisibile mi credevo.
 
29-6-2008
 

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