Lola | Prosa e racconti | Pierpaolo Pracca | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Lola

Il mio viaggiare
È stato tutto un restare
Qua, dove non fui mai.
 
Giorgio Caproni
 
 
L’idea dell’amore vissuto come assenza e mancanza è il leitmotive di molta letteratura romantica.
Jonh Keats fu uno degli epigoni di questo mito e la sua morte precoce avvenuta all’età di 24 anni fu il suggello del suo modello filosofico-leterario. L’illusione di non consumare la vita onde preservarla dalla corruzione del tempo è quanto troviamo nella sua Ode ad un urna greca. Negli ultimi versi della poesia descrive l’indugio di due amanti intenti a baciarsi raffigurati in un basso rilievo di marmo.
Il non incontrarsi delle loro labbra –il bacio più bello è quello mai dato- è il tentativo di cristallizare un amore che, sospeso, rifiuta le lusinghe del tempo storico.
Una rappresentazione utopica della prossimità perpetua, di un incontro che diventa eterno grazie ad una distanza impossibile da colmare.
In quelle labbra protese che mai si toccheranno coesistono in modo ambivalente l’amore per la vita ed il terrore per la stessa.
Il problema di Keats è l’opposizione mitico-storico, eterno-mortale.
L’uscita dal tempo del mito e dell’infanzia significa il congedo da quel che è stato ed accettare l’apertura di un orizzonte in cui interviene la storia declinata secondo un prima ed un dopo.
Il giorno in cui conobbi Lola immaginavo già tutto quello che sarebbe successo.
I lunghi silenzi, la difficoltà a guardarla, il lento declinare della nostra storia lungo i sentieri dell’abitudine e dell’insofferenza.
Non mi era difficile. D’altronde in quarant’anni avevo capito come funzionavo con le donne e potevo prevedere ogni singola fase di una mia relazione.
Dall’innamoramento, alle fughe, ai tradimenti, fino allo sgusciare furtivo dentro un bozzolo di quotidiana disperazione nella quale non esiste spazio se non quello per un personale annichilimento.
Un suicidio sublimato durante il quale potevo esprimere tutta la mia forza autodistruttiva.
Una tendenza al non essere con tutto il mio essere.
Eppure innamorarmi era un trucco per tenere lontana la tentazione del suicidio. La speranza illusoria ed effimera di un senso. E mettermi con donne sbagliate era un modo per poi ricominciare tutto d’accapo, per ritardare il momento della scelta, di procrastinare l’incontro con la morte.
Ma all’inizio con Lola avevo avuto un sussulto. Come se la vita avesse improvvisamente preso a scorrere dentro di me.
Lei era così nera che quando la stringevo e chiudeva gli occhi mi sembrava di baciare la notte, un’oscurità che mi dava un senso di vertigine.
L’avevo conosciuta ad una cena, in casa di amici. Di lei mi colpì la sua parlata. Trovavo sensuale l’ accento portoghese e quel suo profumo che mi riempiva le narici.
Laureata all’Università di Bahia aveva vinto una borsa quadriennale di specialità in storia della musica alla facoltà lettere dove stava seguendo dei seminari su Cristobal de Morales.
«Sono una studiosa di musica barocca» mi disse
«E tu? Cosa fai nella vita? »
«Mi interesso ai fatti degli altri. »
«Allora o sei un prete o un poliziotto! »
«No, sono psicanalista»
«Ah, uno strizzacervelli!»
E scoppiò in una risata.
Ci mettemmo insieme alcuni giorni dopo quella serata.
L’andavo ad aspettare all’uscita dalle lezioni.
Camminavamo per ore lungo la Senna per poi arrivare ai Campi di Marte e trovare rifugio in qualche Caffè.
Ordinavamo pastis e rondelle e ci piaceva osservare la gente passeggiare
Fu in uno di quei pomeriggi che le chiesi
«Perché non vieni ad abitare da me? »
«Davvero lo vorresti? » mi disse .
In quella sua domanda c’era la gioia della ragazzina.
La vita mi apparve sotto un’altra luce.
Ogni accadimento, anche il più banale, accanto a Lola, sembrava carico di un senso profondo come se tutto il mio essere partecipasse all’intimo segreto della vita.
Per due anni pensai persino di essere felice.
Ma come al solito mi ero illuso. Lentamente un po’ alla volta iniziai ad allontanarmi da lei a sentire dentro di me quel senso di estraneità alle cose e al mondo.
Giorno per giorno mi allontanavo sempre di più.
La sua presenza ingombrante. I miei modi scostanti ed offensivi.
Fino a quando l’avevo ferita in modo crudele.
Era successo durante uno dei nostri soggiorni a Fontembleu da Serge e Silvie.
Molto prima che Serge decidesse di farla finita.
Andavamo spesso lì nei fine settimana.
Quei luoghi ci davano un senso di conforto.
Ci tenevamo per mano lungo uno dei sentieri che dalla casa in pietra dei nostri amici conduce all’interno della foresta.
Camminavamo in silenzio, annusando l’odore avvolgente e nostalgico della terra.
Poi Lola iniziò con la storia del figlio.
«Mi piacerebbe avere un bambino, un nostro bambino. Cosa ne pensi? »
Quella domanda mi fece chiudere a riccio e mentre mi confessava la sua vocazione alla maternità sentivo la rabbia crescere dentro di me. Sapevo che prima o poi me l’avrebbe chiesto.
«Lo sai che non voglio figli. Te l’ho detto fin dal primo giorno che ci siamo conosciuti. E’ una scelta che ho fatto non appena mi sono reso conto che questa vita del cazzo non ha alcun senso. Non posso soddisfare la tua richiesta. Non so perché vivo, né perché non mi decido a farla finita. Forse mi manca solo il coraggio per porre fine a questa esistenza assurda. Per me il suicidio è una tentazione quotidiana. Con questi presupposti come potrei pensare di mettere al mondo altra sofferenza? Non riesco a guardare il mio passato se non con un senso di fallimento ed il futuro non riesco a vederlo. Tu sei diversa da me. Hai bisogno di amare, di vivere, ma stai facendo la richiesta all’uomo sbagliato»
«Sei un fottuto egoista che si nasconde dietro considerazioni pseudo filosofiche. Hai solo paura di prenderti delle responsabilità. Dovresti sapere che la vita non ha senso se non nella sua volontà di affermarsi e consumarsi. Tu invece vegeti nell’illusione di non soffrire. Sei prigioniero della tua stessa vita! »
Poi si era messa a piangere.
Lungo la strada del ritorno restammo in silenzio. Le lacrime di Lola si confondevano sotto una pioggia che aveva iniziato a scendere leggera.
Non tornammo più sull’argomento, ma alcuni mesi dopo mi aveva lasciato.
Se ne era andata un pomeriggio di febbraio.
Non me l’ero sentita di fermarla né di rincorrerla, né avrei potuto implorarla di restare.
La felicità di quell’amore vissuto era concentrato, tutto perfettamente raccolto nell’istante di quell’addio.
Guardandola uscire di casa con lo zaino in spalle sapevo che non l’avrei più rivista e che da quel momento sarebbe iniziato il tempo della privazione del ritorno impossibile. Non avrei mai più sentito il suo profumo.
Il congedo da Lola era per me l’apertura a quella sospensione, a quello spazio d’angoscia in cui non hanno asilo il prima e il dopo, ma solo il presente che ha in sé l’oscurità del cammino, il perdersi nel nulla, nella terra di nessuno.
Ma era quella terra di nessuno che mi permetteva finalmente di sentirne la mancanza, di desiderarla, di amarla. In quei giorni di angoscia febbrile trascorrevo i pomeriggi ascoltando Satie e m’immaginavo con lei sottobraccio ai giardini di Lussemburgo. Passeggiare senza una direzione precisa come avevamo fatto in quegli ultimi tre anni.
Un amore che come sempre m’ era concesso provare nella luce della lontananza. Luce che incendiava il mondo alimentata dalla ferita di quell’addio.
Il ricordo della sua bellezza in quei giorni divenne il rimpianto sgorgante dall’oscurità dei miei pensieri, del mio mal di vivere.
«Chissà forse un giorno capirai quello che stai perdendo e ciò che non hai il coraggio di vivere insieme a me. Ora me ne vado. Non ho più alcuna energia. Cerca almeno di riguardarti! »
Poi fece su le sue cose in uno scatto di rabbia nel quale sembrava raccogliere le sue forze estenuate da mesi di conflitti e incomprensioni.
Sbatté la porta urlando:
« Vaffanculo egoista di merda! »
Da quel momento non la rividi più.
Sul comodino un biglietto di commiato
« Le nostre anime sono ormai disgiunte, prive di luce.
Mi spiace aver creduto che tu fossi quello che aspettavo, che l’amore fra noi potesse render il mondo più abitabile.
E’ così raro questo sentimento, ma evidentemente mi sbagliavo. Con te c’ è stata solo letteratura. Quella parte da sola è irreale. Priva di vita. Per me l’amore è una necessità. Siamo su due piani diversi. Io non posso vivere in un mondo di lettere. Ho bisogno di essere toccata, desiderata.
Non ti lascio alcun indirizzo e non ti cercherò più. Forse il caso un giorno ci farà ritrovare. La mia vita accanto a te mi sembra inutile ormai. »
C’era una solennità liturgica in tutti quegli addii.
Le mie storie andavano sempre finire allo stesso modo. Anche con Lola non era andata diversamente da tutte le altre storie. E il bello è che fin da subito, qualche parte di me, sapeva come sarebbe andata.
Ogni volta annegare in quel dolore era per me l’immersione in una ferita dell’anima e del corpo che, nonostante tutto, mi faceva sentire vivo. Momenti nei quali dalla prigione della completa assenza di emozioni giungevano bagliori di desiderio, di mancanza, quindi di vita. Come se, solo nell’assenza potessi davvero amare. Ogni storia, ogni donna veniva posta sotto la custodia del ricordo.
L’unico modo che avevo per conservarle.
Con il tempo ognuna di loro diventava un culto delle reliquie. Il mio animo un albergo per creature congelate.
La mia mente un museo al di fuori del tempo e dello spazio, un luogo acosmico ed acronico dove non era contemplato quell’intricato evolversi di eventi che chiamiamo vita.
 

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