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Fotografia

Pensieri sull'erba

Distesa sul prato mi abbandono
appartengo alla terra
spalanco le braccia
e mi aggrappo all’erba
che non mi lasci andare
fisso il

Cedono i passi

Distante
stracolmi pensieri
riturbano troni
di affanni vespri
e toni disperi.
Lontano
voci ricolmi
e sfratti di ceri
manuali dicotomie
leggi disperse
Poggiando
anfratti discese
gireno le ròte
per sempre vòte
ci soffi di gioia
e aspergi speranza
Ansimi in risalita
Allacci alle scarpe
questa folle fatica
di legare cuori
e vinci speranze
nell'atroce agonia
di una folle fatica

Wanderer

Coccodé, m’è uscito, ora lo doro un po’
ci aggiungo il blu, lo spaccio
coccodé coccodé l’ho riempito di parole ma come sono bravo oh
 
genuflessione
 
che cossa me ne ‘mporta a mme signore, la parola?
Eh: è n’gioco.
Spilucco qua spilucco là, se non c’è l’invento che fa fino, genio
Fa, La, Mi, Do.
 
E intanto
penzo al premio Strega, o al Campiello i dì di maggio, sventagliate svegliandovi bambine
penzo, e ripenzo, alle Eminenze loro
a cosa scriveranno d’epitaffio:-
Io, ed esse, passammo a miglior vita
 
Dimenticando la tragedia greca
mia, e affini
 
 

Una lezione affollata

Con un pò di ritardo vi racconto una lezione unitre di Rivoli, al Laboratorio di scrittura, vista da Maria Luisa Agnisetta Prodon :                                                          
 
19 marzo, Venerdì, S.Giuseppe, Festa del Papà.
 
Giornata serena, freddo pungente; si è ancora in pieno inverno. Il solstizio di Primavera, che avverrà tra due giorni, sembra molto lontano.
Nella piccola aula in cui si radunano i partecipanti del Laboratorio di scrittura nessuno ha avuto il coraggio di togliere i giacconi imbottiti e le grosse sciarpe annodate intorno al collo. Qualche signora mantiene anche il suo caldo copricapo. Dalla finestra si intravedono i mucchi di neve caduta recentemente ammassati ai lati della strada; i marciapiedi celano delle insidiose lastre di ghiaccio che terrorizzano i pedoni, specialmente gli anziani. Ho sentito dire in qualche negozio che il Pronto Soccorso dell’Ospedale non sa più dove ospitare le vittime di innumerevoli rovinose cadute, causate dal ghiaccio che non si scioglie e che non sempre si riesce a notare. La mamma di un mio ex-allievo mi raccomanda, scusandosi, di stare in casa e di non avventurarmi per le strade gelate. Mi chiede se non mi sono offesa; capisce che implicitamente mi ha, con ragione, aggregata al folto esercito dei vecchi che procedono incerti per le strade di questo spietato, lungo, crudele inverno.
La rassicuro, perché so benissimo che la sua premura è dettata dall’affetto, e so anche benissimo che sono vecchia. Sono stata per un attimo incerta se scrivere addirittura molto vecchia. Ho 84 anni, quando ero giovane io, chi raggiungeva questa “venerabile” età era considerato quasi un dinosauro sopravvissuto all’era glaciale; se partecipo a qualsiasi riunione sono sempre la più vecchia; l’anno scorso ho seguito un corso di computer e la giornalista di Luna Nuova che venne ad intervistarci mi indicò sul suo giornale con l’appellativo di “nonna cibernetica,”sembrava strano che alla mia età mi cimentassi in una simile impresa.
Ma ho deciso di non scrivere molto vecchia, perché non mi sento tale, anche se l’involucro, la carrozzeria e il funzionamento nel complesso lasciano piuttosto a desiderare. Desidero precisare che all’omissione di quel molto ha contribuito parecchio e continua a contribuire il nostro corso di scrittura, il ritrovarsi tra amici, il conoscere persone nuove, tutte gentili, che mi fanno sentire quasi della loro età, accettata e considerata quasi come una loro coetanea. Il cielo li benedica tutti.
 
Ma torniamo alla lezione del 19 marzo. Avevo deciso di parteciparvi nonostante la difficoltà oggettiva causata dall’inclemenza del clima. Quando entrai nell’aula fui salutata da esclamazioni e saluti gioiosi che non mi aspettavo, sembravano contenti di vedermi, Renato mi venne persino incontro e mi stampò un bacione sulla guancia, e tutti mi fecero festa. Forse avevano pensato che non osassi sfidare il freddo, la paura delle malattie, le strade sdrucciolevoli. E’ normale che lo credessero, per una vecchietta come me. Ma io temevo di più il pensiero di non stare in mezzo a loro,che mi danno tanto,e che, penso, mi abbiano adottata come una nonna che può ancora offrire qualcosa delle sue antiche capacità.
 
La lezione – se così si può chiamare il pacato, piacevole procedere dei nostri discorsi – iniziò con la lettura dei lavori degli studenti. Non eravamo in molti, quel giorno. Rinaldo come sempre prestò la sua voce a chi non si sentiva di leggere personalmente  il proprio lavoro, ( anch’io tra questi). Qualcuno invece preferì leggere da sè. Ascoltavo attentamente, contenta di constatare l’armonia dello stile, la scelta dei vocaboli, la vivacità delle idee, e nello stesso tempo la naturalezza e la semplicità dell’esposizione.
 Forse queste frasi saranno lette in classe, e desidero quindi far notare ai miei amici che con questi apprezzamenti non voglio atteggiarmi a giudice delle loro capacità, ma che li invito a considerare il fatto che ho insegnato per circa 50 anni e che quindi, per deformazione professionale, non posso fare a meno di valutare quello a cui presto attenzione. Una valutazione in questo caso eccellente.
 
Sembrava che i miei amici si fossero messi d’accordo.
 Era la Festa del Papà
 Molti parlarono del loro padre. Sempre con affetto, con tristezza, con commozione. Li guardavo, commossa anch’io, li ascoltavo, partecipando alle loro emozioni.
Alcuni, benché con i capelli grigi, si rappresentavano come piccoli bimbi sulle ginocchia di un padre grande, forte, come loro lo sentivano, che li abbracciava e li proteggeva. Altri lo ricordavano quando, giovanetti, li guidava con autorità e con una severità che ora benedivano. Poco a poco, nella mia immaginazione, la piccola aula del nostro Laboratorio si riempì dei tanti Papà ricordati, molti già scomparsi, altri ancora viventi, e tutti stavano alle spalle dei loro figli e delle loro figlie e tenevano le mani sulle loro spalle, li proteggevano, li consigliavano, li aiutavano con i mezzi che avevano a disposizione, materiali e non, ed erano contenti di essere ricordati con tanto affetto, di essere presentati agli amici del Laboratorio con tanta tenerezza e tanto rimpianto, e questi loro figli forse parlavano delle loro intime emozioni per la prima volta nella loro vita.
E così io vedevo la piccola aula piena di persone amate, che non scompariranno mai dai nostri cuori e che sempre sapranno consigliarci e guidarci nella nostra vita come hanno sempre fatto con le loro parole e con il loro esempio.
 
Dimmi, cara Maria – la nostra docente – li hai visti anche tu, come li ho visti io? Credo di si, perché anche tu eri commossa ed avevi gli occhi lucenti di lacrime trattenute
 
                                                                                              Maria Luisa Agnisetta Prodon
 
 

Una storia

Ogni tanto mi viene voglia di raccontarvi semplici ricordi e vi racconto storie scritte da me in vecchi quaderni o vecchi foglietti accumulati nella vita:
Ho sempre avuto la mania di scrivere storie e lo facevo già a sei sette anni, però mi vergognavo di dirlo e firmavo  con uno pseudonimo: Miriam Mira.
 Una delle prime storie che volevo scrivere mi era stata ispirata in una estate del primo dopoguerra. Ero in ferie al mare, invitata dalla mia madrina di cresima che era poi la mia insegnante di latino e quella che mi aveva preparata per gli esami di ammissione alle medie.
   Eravamo a Vasto marina e oltre che andare in spiaggia, spesso nel pomeriggio ci si recava da una sua amica, che viveva sola in un grande palazzo in mezzo ad un giardino ed era sempre triste, a prendere il the.   Le due amiche  si sedevano sul balcone a farsi le confidenze e mio malgrado, oltre a guardare il mare, ascoltavo il loro conversare.  Non ricordo tutto quello che si dicevano ma quando parlavano del nipote tendevo l'udito perchè la cosa
mi intrigava.

Ricordi della guerra

Intanto grazie a Manuela per aver dato visibilità al mio straordinario"Laboratorio" rivolese. Poi alla mie età, viene voglia di raccontarvi ricordi lontani     
Spesso tra le notizie che il telegiornale ci propone apprendiamo che in, zone di guerra, sono stati bombardati civili per errore. Non posso non ricordare di aver vissuto una situazione simile.
 
      Seconda guerra mondiale  1943. Dopo il famoso armistiszio dell’8 settembre gli alleati vennero su per la nostra Italia dalla Sicilia su per la Calabria, Puglie e il primo fronte organizzato dai tedeschi per fermare l’avanzata è stato sul Trigno al confine con l’Abruzzo proprio nel mio paese San Salvo. Nell’imminenza dello scontro i tedeschi ci hanno fatto evacuare da San Savo verso nord. Noi siamo andati a Cupello dove mia madre aveva dei parenti. Di questo troverò dei foglietti e ne racconterò quando li trovo. Quello che volevo dire ora è che noi eravamo sfollati a Cupello per non essere sulla linea del fronte ma da lì si assisteva e si sentiva i cannoggiamenti e spesso si assisteva a duelli aerei tra i due contendenti.
     Una mattina tutti assistemmo al sorvolamento di due aerei da ricognizione che si abbassavano sul paese e poi rialzandosi si allontanavano.
     Al mattino dopo ci accorgemmo che i tedeschi erano spariti. Nessuno più nelle cucine che erano di fianco a noi, nessuno più nel palazzo dove c’era il comando tedesco e ci era sembrato un buon segno pensando che erano in arrivo gli alleati.

i miei alberi

 
 
 
 
ditemi, che i miei alberi hanno ancora voglia di mordere il cielo e danzare col vento
 
Odo Tinteri
 
 

Foto della settimana scelta da Rosso Foto

L'ocellot ©Salvador Sabater
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Interminabile corsa a vent'anni

Corsa sull’asfalto rovente
verso un mondo che non c’è
nella città dei rumori
della gente della noia
dell’indifferenza.
Un rettilineo di alberi muti
si apre davanti ai tuoi occhi
grigi di nebbia azzurri di sole
alberi come fantasmi
ondeggianti impazziti
ubriachi di nafta e di gas
ti chiamano
la vita ti chiama e l’amore
non chiudere gli occhi

Paolo Photography

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