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Jesolo beach

Si avvicinava l’estate del 1967. Sentimentalmente ero "legato" con Giulia, la ragazza conosciuta a Napoli ed ora trapiantata a Piacenza, ma ero anche appena uscito da una relazione con un mia collega che lei volle finire dato che tergiversavo troppo e non era più una ragazzina. 

Relazione che credevo fosse una cosa segreta nell’ambiente lavorativo ma …. come venni a scoprire dopo, molti ne erano a conoscenza. Frequentavo anche una giovane che lavorava nel mio ambiente.

Per noi ragazzi l’estate era andare a Jesolo beach dove arrivavano frotte di ragazze inglesi, tedesche, da noi ritenute più "facili" delle nostrane che erano molto "difficili". Era già un successo, quando si usciva, prenderle per mano …

Jesolo cresceva in fretta ed in maniera disordinata senza un ben che minimo piano edilizio. Case ed alberghi dappertutto. Gli autoctoni si erano trovati con l’oro in mano. Ma erano nati contadini, non albergatori tipo Rimini. La nostra famiglia l’aveva cominciata a frequentare sin dalla metà degli anni 50. Eravamo in cinque: nostra madre e noi tre fratelli ed una sorella. Tutti a dormire in una stanza con "comodo" di cucina. Nostro padre che si faceva in cento per darci una vita discreta, veniva a trovarci al fine settimana. Lui lavorava in un Ufficio Statale e d’estate era dislocato, per controlli, in una raffineria di zucchero a Ceggia. Un tiro di schioppo o quasi da Jesolo. Si stava normalmente un mese. Poi piano piano affittammo appartamenti più grandi. Praticamente ho visto nascere la località sotto i miei occhi. Gli alberghi, di tutti i tipi, nascevano come funghi. Le abitazione private pure. I più e le più ambite erano quelle fronte mare o nelle file dietro prima di arrivare all’unica via importante del centro balneare: la lunghissima via Bafile, ricca di negozi e bazar dove si poteva acquistare di tutto. Comunque, tutto questo costruire direttamente sul litorale, avrebbe creato nel tempo dei danni gravissimi. La perdita enorme di profondità della spiaggia. Quando se ne accorsero era troppo tardi. Furono costruiti dei pontili e fatta qualche altra opera. Ma quello che era perso, era perso. I negozianti praticavamo prezzi altissimi per i generi alimentari. Quindi, salvo pane o latte, molti villeggianti, tra cui noi, facevano una bella scorta di roba commestibile prima di partire. Con puntate a Treviso per reintegrare il consumato.

In Italia, agli inizi degli anni 60, era cominciato il boom economico. Il benessere faceva capolino e le strade cominciavano a riempirsi di scatole di latta: le automobili. Era una corsa per acquistare le mitiche utilitarie Fiat e per i più benestanti Lancia, Alfa o macchine straniere. Un pacco di cambiali e via. E poi erano nate le Vespe e le Lambrette. Scooters indimenticabili.

A Jesolo ovviamente non erano nati solo alberghi ed appartamenti ma anche luoghi di divertimento per i giovani. Pullulava di discoteche. Ed all’inizio dell’estate molti ragazzi trevigiani partivano alla sera in cerca di avventure. Era così anche per me e per i miei amici che, come ho già accennato, avevamo predilezione per le straniere considerate, a ragione, più facile da abbordare.

Uno dei più assidui era Franco. Più giovane di me di tre anni, ma già in "attività" da molto tempo. Il padre, proprietario di una 600 e rimasto vedevo, portava da parecchi anni i due figli al mare alla sera, dando posto anche, a rotazione, a due amici.

Ritornando al mitico 1967 Franco, che era entrato in possesso della macchina del padre, decise che la nostra dovrebbe essere stata una "campagna" favolosa. E così il primo giugno iniziammo con la nostra prima calata serale. Il nostro inglese era scolastico ma poteva bastare. Zona operativa tra Piazza Mazzini, dove parcheggiava la macchina, e Piazza Nember. Un tratto di strada non molto lungo ma, da lui ritenuto sufficiente, per la "battuta".

In verità cominciammo piuttosto bene. Subito incontrammo una coppia di ragazze che battezzammo, giustamente, per inglesi. Le abbordammo con il classico "hello". Si guardarono e sorrisero. La scelta la fecero loro. Fummo fortunati. Erano appena arrivate e il loro soggiorno durava 15 giorni. Classica passeggiata e coca cola veloce in un bar. Poi in spiaggia. Le inglesi sicuramente erano più "facili" delle italiane. Nel senso che si lasciavano subito pomiciare. E per noi questo era già un ottimo inizio. Per arrivare alla fase finale, se si arrivava, le cose si complicavano e di molto. Cominciammo a conoscerle bene. Come ti baciavano il giorno dopo potevano lasciarti. Per loro era una cosa normale il "petting". Imparai anche che al mondo oltre le normali calze da donna esistevano anche i collants e imparai tutti sui Beatles e Rolling Stones.

Fu una estate bellissima. Piena di avventure. Cose che ti restano nel tuo io per sempre. Come la notte passata a casa di Franco con le due inglesine, incuranti del fatto che il padre che si era appena risposato ed in viaggio di nozze, poteva rientrare da un momento all’altro. Sarebbe stata una sorpresa non so quanto gradita.

Una volta non avevamo la ruota di scorta e, inevitabilmente bucammo. Che fare? Eravamo in pineta. Le ragazze erano delle scouts e presero la faccenda come tipico humour inglese. Facemmo circolo e cercammo di passare la notte, non prima di aver cercato un telefono per chiamare casa. Mia madre altrimenti avrebbe immaginato chissà quale sciagura e avrebbe tormentato mio padre sino al mattino. Alle prime luci dell’alba prendemmo la ruota e andammo in cerca di un gommista.

Tutti e quattro un po’ sporchi ed assonnati. Aggiustata la gomma ritornammo alla macchina e Franco la sostituì non dopo aver fatto dei danni alla carrozzeria mettendo male il crick. Essendo un maniaco della pulizia cercò di lavarsi con l’acqua presa dalla tannica che teneva sempre a bordo, si levò l’orologio ponendolo nel tettuccio. Si dimenticò della cosa e … addio orologio. Alla sera come niente fosse avvenuto era pronto per l’ennesima "battuta".

Facemmo anche delle gite, tanto per far colpo in motonave, a Venezia di notte. Il massimo per una ragazza albionica. E molte altre cose. Come dei "beauty contests" cioè concorsi di bellezza ovviamente falsi. Queste erano idee di mio fratello Mario che girava con la cinquecento di un amico con una grande scritta PRESSE e si spacciavano per giornalisti. Come il punto di ristoro presso l’Hotel Campus con tanto di aria condizionata e vista campagna.

Conoscemmo un sacco di ragazze. Belle e meno belle. Giovani e meno giovani. Si raccontava un sacco di balle con il nostro inglese stentato. Una coca e via veloci verso la spiaggia in cerca di intimità. Avevamo anche un giradischi portatile per creare atmosfera.

Arrivò la fine di settembre e con essa la fine dell’estate. Fu la mia ultima estate alla "grande".

Un altro periodo della mia vita si stava chiudendo. La vita irregolare di quel periodo; poco sonno, lavoro e stress, mi fecero un brutto scherzo. Mi presi un grande esaurimento nervoso che mi portò ad avere sensi di ansia e di panico che mi costrinsero a cercare rimedio nei farmaci e nei medici. Vissi un periodo veramente brutto. Alla fine spuntò Aurora. Era il 1968.

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