Un giorno all'improvviso (Cap. 4) | Prosa e racconti | Claudio | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Un giorno all'improvviso (Cap. 4)

IV
 
 
 
Avevo 20 anni ed era il lontano 1975 quando misi firma come soldato in ferma stabile nella Legione Straniera Francese. Da quel momento in poi mi sarei spostato in molti stati del Nord Africa, senza mai fissa dimora. Quello nella Legione Straniera fu forse il periodo più importante eppure anche angosciante della mia vita. Ciò che oggi sono lo devo in gran parte a quegli anni trascorsi sempre in prima linea sul filo del rasoio, perennemente sospeso tra la vita e la morte. Ma forse, proprio il riuscire a stare in equilibrio su una sottilissima linea di confine tra due mondi in realtà molto meno distanti di quanto si riesca a credere, mi ha reso diverso. Profondamente diverso. Non so se in meglio o se in peggio, ma di sicuro non più il timido e ingenuo ragazzo che si trasferì a neppure dieci anni compiuti in terra di Francia. La Legione Straniera è un corpo militare dove puoi essere tutto o nulla, dipende solo da te. Quando vieni arruolato puoi addirittura scegliere di dare un’identità fittizia, al fine di recidere ogni legame con ciò che eri sino al momento in cui ti hanno ritenuto idoneo a indossare il Kepi Blanc (il tipico berretto del corpo).
Ma io sono sempre stato molto fiero sia della mia terra d’origine, l’Italia, sia del mio passato, quindi al momento di fornire le generalità confermai i miei veri dati.
Diventare un soldato mi fece innanzitutto apprendere il concetto di disciplina. Sino ad allora abbastanza ameno, se non proprio a me del tutto sconosciuto. Avevo grande familiarità con quello di educazione e di buone maniere, certo, i miei genitori mi avevano cresciuto e trasmesso il loro essere brave e oneste persone, ma la vera valenza del concetto di disciplina, per forza di cose non l’avevo mai compresa. Non a sufficienza almeno. Gli anni nella Legione Straniera me ne diedero un’idea più che approfondita. Ma soprattutto, mi resero consapevole che proprio quella disciplina avrebbe fatto la differenza, visto che sarebbe bastato un attimo per lasciare tutto e tutti andando via da questo mondo in meno d’un secondo.
L’abitudine di cui mi arricchii circa un anno e mezzo dopo essermi arruolato, cioè sniffare cocaina, servì invece a evitare mi sentissi prossimo a quel passaggio anche quando non c’erano affatto le condizioni per ritenerlo probabile. La droga mi era stata ‘amica’ in più d’una occasione, nel passato, aiutandomi a superare le frustrazioni della vita alienante della fabbrica, che da solo non riuscivo a gestire, ma aveva anche cominciato a diventare la mia peggiore nemica visto che da quel momento in avanti, e per molti anni ancora, non sarei stato in grado di farne a meno. Con tutte le conseguenze fisiche e psicologiche che si possono ben immaginare.
Era piombata nella mia esistenza di uomo normale e comune, dalla mattina alla sera, senza quasi che me ne rendessi conto, ma non fu altrettanto rapida e indolore nell’abbandonarla, quando cioè ancora le sue conseguenze avrebbero potuto non essere definitive. Il fatto è che, nonostante la dannazione alla quale mi stesse condannando con i suoi perversi e subdoli effetti, la magica polvere bianca mi rendeva più facile, quasi piacevole, combattere. E non solo contro i nemici delle cruente battaglie che ci trovavamo a fronteggiare di continuo, sui vari scenari di guerra cui venivamo destinati, dal Ciad alla Costa d’Avorio, al Congo e a tutto il continente nord africano, bensì anche e forse soprattutto contro una parte di me. Sì, proprio così, di me stesso. Quella che non riuscendo ad accettare il fatto che Hellen m’avesse ormai privato del tutto di mantenere un minimo rapporto con il piccolo Andrè, sempre più uomo e sempre meno fanciullo, chiedeva in continuazione vendetta. E sangue, il sangue di quella donna maledetta che avevo iniziato a odiare. Fu allora che la disciplina appresa si fece sentire prepotente, forte, portandomi a decidere che invece di prendere il primo aereo per Parigi, in uno dei tanti giorni di licenza, e dirigermi a casa di Hellen per ucciderla, strangolandola con le mie mani, mentre la vedevo soffocare e implorare quella pietà che lei a me non aveva mai concesso, sarebbe stato meglio annegare il mio insopportabile dolore con altre donne. Con tante, tantissime altre donne. Negli anni da soldato semplice prima, e da ufficiale poi, ne fecero parte della mia vita. un numero smisurato. Più tiravo coca, badando bene a non essere scoperto – sebbene devo riconoscere che la cocaina in Africa girasse con una certa facilità in qualunque tipo d’ambiente, quello militare incluso, e che nessuno tra l’altro ne facesse gran mistero -, più sembravo avere un particolare ascendente nei confronti del gentil sesso. Ebbi rapporti con una o più donne di ogni colore, lingua, razza e religione, e mai a pagamento. Il senso orgiastico istigato dalla poligamia di quei luoghi, reso possibile dal connubio della mia origine e del fascino della divisa, fu il vero e unico fine delle mie nottate libere e libertine in terra straniera.
Forse per questo l’idea di avere di nuovo una moglie, una sola, e magari un figlio, non mi sfiorò neppure per un istante. La frustrazione e l’insopportazione per il fallimento del mio matrimonio, unite all’umiliazione assai più intensa per la perdita in termini affettivi di Andrè, il mio unico figlio, mi aveva segnato troppo profondamente perché riuscissi a guarire da quella ferita. Molto più di quanto stesse facendo, o avrebbe fatto per lungo tempo, la permanenza nella Legione Straniera.
Dopo oltre quindici anni di onorato servizio, verso la fine del 1990, a circa trentacinque anni, mi congedai definitivamente. La parentesi più dura e difficile, oltre che rischiosa, della mia vita era durata un tempo che non avrei creduto di riuscire a sopportare. Ero andato via da Parigi poco più che maggiorenne e tornavo nella capitale da uomo maturo e diverso. E con la cocaina, come mia unica, fedele e maledetta compagna.
 
 

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