Indietro non si torna (Cap. 3) | Prosa e racconti | Claudio | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Indietro non si torna (Cap. 3)

 
III
  
Quando dopo aver appreso della gravidanza di Alessia decisi di trasferirmi a Parigi, la mia vita cambiò dalla mattina alla sera. Soprattutto, lo fece profondamente.
Innanzitutto, smisi di fare il dipendente. O meglio, smisi di fare l’ingegnere al servizio di un’azienda, perché il realtà il dipendente lo facevo ancora: ogni sera, come cameriere, in una pizzeria italiana, apertasi proprio poche settimane dopo che avevo lasciato l’Italia, nel quartiere degli artisti di Montmartre, dove avevo trovato casa con Alessia e il piccolo Nicholas.
Però, un salto di qualità!, vi starete dicendo.
Be’… in parte avete ragione, in effetti è così, non è che fosse il massimo. Il fatto è che quando giunsi a Parigi in pianta stabile non spiccicavo una sola parola di francese. Di conseguenza non potevo certo fare l’ingegnere, a differenza di Alessia che già un po’ lo masticava, e in più aveva avuto sin da subito la fortuna di avere colleghi che capivano l’italiano alla perfezione. Già, allora perchè non scelsi di lavorare con lei, nello stesso studio? Semplice e ovvio: non c’era posto. Decisi così di far di necessità virtù: guadagnare due stipendi era meglio che guadagnarne uno solo; avevo bisogno di imparare la lingua, dato che in Francia avrei dovuto viverci, e in più, dopo la nascita di Nicholas, c’era bisogno di qualcuno che lo accudisse durante il giorno, ma non c’erano i soldi per pagare una baby-sitter. Figura, tra l’altro, a entrambi non granché simpatica per definizione. Il posto da cameriere dunque, era perfetto. Riuscii, forse per la prima volta in vita mia, a prendere ben ‘tre’ piccioni con una sola fava, con somma gioia soprattutto di Alessia, che al mattino andava via serena sapendo che Nicholas era nelle mani di suo padre.
Mhmmm… serena…
Ok, diciamo… ‘più tranquilla’, ecco.
‘Serena’, in effetti, è una parola grossa, e soprattutto molto azzardata da affibbiare a uno come me.
Conoscendomi a fondo credo che neppure mia madre sarebbe stata ‘serena’ nel sapere che il suo primo nipote maschio restava ogni santo giorno, weekend esclusi, per fortuna, nelle mani del suo primogenito quarantenne che però, a malapena, il più delle volte non sapeva gestire e pensare neppure a se stesso. Ma comunque, i fatti erano quelli e per forza di cose Alessia dovette accettarli e farsene insieme a mia madre una ragione.
Per quanto riguarda la pizzeria invece, i cui proprietari all’epoca erano dei napoletani, a dir la verità nessuno sapeva che ero ingegnere. Né saprei dire come l’avrebbero presa qualora ne fossero venuti a conoscenza. Per fortuna, facendo sempre il mio lavoro con serietà e professionalità - strano a dirsi, dato che non ero mai stato un cameriere in vita mia, neppure nel periodo degli studi universitari, quando serve sempre guadagnare qualche spicciolo -, nessuno si pose mai il problema e il mio equilibrio familiare non poté che risultarne salvaguardato. Certo, vedere e stare un po’ insieme ad Alessia almeno per far l’amore era divenuto una specie di battaglia navale, considerate tutte le strategie che dovevamo inventarci per raggiungere l’obbiettivo d’un briciolo di privacy, ma in fondo, nonostante tutto, le cose procedevano bene lo stesso, e riuscivamo a cavarcela egregiamente.
Eravamo felici. Sì, proprio così: felici.
Dimenticavo: facendo il cameriere ero riuscito anche a continuare a scrivere.
Già… scrivere.
Per quanto valesse e per quanto (francamente poco) ritenevo avrebbe un domani potuto servirmi o darmi, in termini di aspettative lavorative, di fatto la scrittura restava pur sempre una mia passione. Anzi, la mia più grande passione, quindi ero più che contento di essere riuscito a coltivarla anche da emigrante e con il pochissimo tempo libero a disposizione. Riempire fogli bianchi di parole mi aiutava il più delle volte a scaricarmi della tensione accumulata, a pensare, e soprattutto a riflettere su ciò che mi accadeva intono ogni giorno, un giorno dopo l’altro.
Di solito scrivevo nell’ora – al massimo due - successiva al mio rientro a casa dal lavoro, a notte fonda. E la cosa vi assicuro, per un istintivo come me non era affatto poco. Avevo notato che a volte scrivere riusciva persino a togliermi dai pasticci prima che ci finissi dentro, sino al collo.
Il problema era che appunto, questo accadeva soltanto a volte…
 
 

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