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La distanza che c'è tra me e lei è poco più di un metro, tanto che se allungo il braccio posso toccarle la punta del naso, e non solo. Ci fissiamo da quando sono entrato in questo bar ancora spoglio, come in un duello all'ultima palpebra, in attesa che uno dei due si decida ad abbassare lo sguardo. Ma lei si ostina a non togliermi gli occhi di dosso, con quel sorriso neutro e quel silenzio imbarazzante, quasi di sfida. Ed io mi lascio sedurre come il ferro dolce alla calamita. Sono arrivato al bancone rischiando d'inciampare tra le sedie e i tavolini ripuliti di fresco, come il suo profumo, e con l'occhio strabico ho chiesto un caffè lungo al barista. Caffè lungo, come se quell'attimo di godimento mattutino, volessi farlo durare più del dovuto, pensando di sorseggiare qualcos'altro.

- cafè longu per il signore-  mi dice il barista, dandomi le spalle, preso com'è con una brioche ribelle che di stare al suo posto, in cima alla piramide di un vassoio guarnito, proprio non ne vuole sapere. - a lei il cafè signore-  ripete, come se volesse interrompere l'incantesimo di cui ormai intuisco esserne vittima, perché lei sa che ha già vinto, con la sua imperturbabilità da sfinge e la sicurezza delle sue doti da musa incantatrice. E ha ragione, perché dentro,comincio ad avvertire un senso di stravolgimento neuro- ormonale, che da nord a sud minaccia perturbazioni scandalose e fantasie volutamente oscene. Così, con l'unico neurone rimasto neutrale, tento un'analisi obiettiva della situazione, ravanando negli angoli bui di una ormai remota riservatezza - calma, rilassati è soltanto un fisico dietro ad un ricevitore di cassa, un fisico che beve, mangia e va di corpo, come te -. Ma il suo sguardo, adesso, è diventato più intenso e devastante, e ho la sensazione che il suo potere magico mi stia, inesorabilmente, spogliando. S'è mai visto qualcuno reggere con una mano una tazzina mentre l'altra fa la foglia di fico, per coprire il disagio di sentirsi nudi? Sento ormai avvicinarsi il momento della resa, anche se l'ultimo avvertimento del grillo pedante,agonizzante nel suo coma, blatera qualcosa, impasticcato com'è di anticorpi refrattari alla saggezza - beh si, bisogna dire che è proprio bella, una venere al ricevitore di cassa,e l'aggettivo bella non le rende certo giustizia, ma vedrai ti succhierà il midollo, lasciandoti senza spina dorsa…- . Sopprimo l'ultima sillaba del grillo pedante, mi ha sempre infastidito il suo verso. Così, mi avvicino alla cassa, assorbito dal fluido magnetico, che spero faccia del mio stato di trans, un'esperienza gaudiosa. E sto per immergermi nell'abisso dei sui occhi neri, vulnerabile e armonico, in sintonia con il mio ph emotivo. Forse, dovrei dirle qualcosa...allora penso -      ah, se ti avrei conosciuto prima quanto tempo avessi risparmiato alla ricerca di te.- Ma d'istinto, il dna grammatico m'informa che lo stato comatoso in cui verso, presenta controindicazioni linguistiche e fa saltare capsule di congiuntivi.Quindi, sto in silenzio e attendo che sia lei ad amalgamarmi, perché possa godere del suono soave delle sue parole. - Sofia, o Sofia-  chiama dal retro il barista alle prese con qualcosa d'urgente. Ah, il tuo nome, dunque, è Sofia, penso.Quale nome più appropriato a cotanta bellezza. Sofia, come dire sapienza. E mentre formulo il pensiero, residui incrostati di lucidità mi avvertono che il delirio è in una fase di non ritorno, perché non mi riconosco espressione di cadenza affettata, né mai ho utilizzato termini così arcaici come: cotanta. Ho pronto l'euro che balla il tango con il sudore del palmo della mia mano, potessi sfiorare la sua, in un incidentale contatto a scoccare la definitiva scintilla. Eh si, delicata e aggraziata fanciulla, usami, fa di me quello che... - Sofiaaa - - vegnu vegnu, c'è fari u scontrinu a stu figghiolu?-  Omiodio! Un attimo e Sofia scompare. Ed io riemergo dallo stato di apnea. E resto lì, fermo, in solitudine, orfano di me stesso, traumatizzato dal sibilo stridulo di una sconvolgente bellezza che, con un vernacolare cigolio fonico, ha azzerato il potenziometro del suo fascino, asciungando rivoli di bava ai bordi del suo piedistallo.Trafitto da un'unghiata sulla lavagna, sconvolto da straziante stridore d'ugola di rondine ferita, sto ancora lì, in un minuto di raccoglimento, il tempo di un caffè lungo. Poi, vado via. Nella testa l'assordante ritornello....- vegnu vegnu.....-     
 
 
 
 
 
Amo i dialetti ed il mio lo parlo correttamente. Questo breve racconto vuole essere un tentativo per sdrammatizzare eccessivi localismi linguistici che, in alcune parti d'Italia, pretendono di sostituire la lingua italiana, la lingua degli italiani. 

 

          

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