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Tutto finito.

Da qualche tempo in qua, circola una voce tra le mie orecchie che ripete come una cadenza, o una litania: tutto è già finito
Cosa sia finito non lo dice, ma poi tritura immagini dentro il mio comprendonio che lasciano intendere la sua tematica. Così, dentro quegli occhi arcani che guardano, osservano, scandagliano i fondali della memoria ecco trascorrere flash sbrigativi, come opache fotografie di un senso, di un succo che non esiste più.
C’erano una volta, per esempio, i tempi che stavano cambiando. C’era una volta, che era forse la seconda, o la terza, ma comunque l’ultima, l’illusione, anzi direi: la fatagione, l’affabulazione dell’ideale che avrebbe mondato l’essere dal suo appannaggio animale, organicistico, trainandolo nell’eden del diritto, ove non avrebbe regnato che l’equità e l’intelletto, cioè il logos razionale, che da liberté, egalité e fraternité era passato a peace, love and music… C’erano una volta le idee, che sembrarono immortali e non transiti occasionali di un’ermeneutica di passaggio, non universi discorsivi aleatori, conchiusi nella loro vulva epocale come dèi perituri, senza immortalità e quindi sconsacrati… Tutto è già finito e ciò che ricomincia non è già più nulla di quel finito, neanche il retaggio, neanche la scia. Tutto re-inizia per sempre da un grado zero che è sempre un altrove, un'alterità, senza la minima traccia di una sorte progressiva e, men che meno, magnifica… A noi, animali razionali, tutto è dato salvo che proprio questa razionalità. Per cui non si va insieme da nessuna parte, e ognuno tira per la sua. La mia parte, era stata quella poetica del pacifismo, dei tempi appunto che stavano cambiando. Ma appunto, affinché tutto cambi, bisogna che non cambi nulla- e così fu. E ora che tutto è finito, intravedo il nuovo grado zero che avanza: un esercito immenso di lottatori nullasapienti che s’azzuffano caoticamente per la sopravvivenza.
Ma ormai non mi importa più.
 

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