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Mary-memory

Mia cara
volevo dirti che è dolce scambiarsi tenere paroline, così, di lontano, senza neanche "sapersi", altro che per qualche foto "corsara" rapinata dal WEB. È delicato, è carezzevole lo sfiorarsi delle tenui frasi d'amore che si rincorrono sulle onde elettromagnetiche, facendomi persino illudere di poter essere riamato altrove, nel vacuum astratto delle telecomunicazioni, empireo ben altrimenti etereo dei sentimenti che traduce.
Ma non importa, non importa che sia volatile, che sia imaginifico, neanche che sia illusorio. È necessario, mi devo illudere di esser vivo, di essere qua, come gli altri, amabile anch'io, o rigettabile, come tutti gli altri. E devo confessarti che io tuttavia non sono così, che non ho una grande autostima, che non "mi credo di essere"...
Penso, anzi sento, che te avrai una vita giusta, per dire così, perché intuisco e vedo già che sei una persona giusta. Prevedo che puoi esser felice, né vedo cosa mai possa ostacolare questa possibilità. Sei stabile, serena, affidabile: non credo che la vita potrà eccepire alcunché a tale interpretazione. E questo mi intenerisce e mi intriga con il cuore, a me, bohemienne d'antan  con le tasche piene di vento e di bollette... Lasciami coltivare questa pia illusione, lasciati amare come su una ribalta, ove mi sia concesso ancora, me vecchio pessimista senza vie d'uscita, infingere una tenerezza ed una commozione che, nel "tempo-reale",  non posso più permettermi.
With love,

La lettera era indirizzata ad una certa Mary. Il firmatario era un professore ultracinquantenne, persona posata e considerata autorevole e austera, in una parola, ineccepibile. Ritrovata tra le macerie, si capiva che la lettera era uscita dalla stampante poco prima della deflagrazione, sicché era sembrato come una bizzarria del destino che fosse scampata, col suo messaggio delicato, alla furia del fuoco che aveva incenerito quasi ogni cosa.
Molti giorni erano già trascorsi, quando i soccorritori poterono gettare il loro sguardo sulla lettera. Del professore non era restato nulla, se non un’ombra antropomorfa, stampata sull’unico muro portante rimasto in piedi. Ma la cosa che s’impresse solennemente su tutti i volti era quel messaggio di speranza, di sogno e d’amore concepito nello slancio parsimonioso di una tale personalità, alla sua età, a pochi secondi dall’apocalisse scatenato dall’attentato atomico.  
In molti si misero a congetturare sul destino, sulla malasorte malamente accanita contro chi è innocente; sulla sventurata coincidenza di amore e morte di cui quel foglietto volante sembrava l’esattore; altri trovarono persino toccante la considerazione dell’età del prof a fronte della delicata primavera del suo sentimento.
Ma io pensai a Mary. Questa doveva essere una ragazza giovane, da come il professore le si era rivolto: chi era, dove si trovava? Era magari anche lei “evaporata” tra i fumi incandescenti sprigionati dal kamikaze e dal suo atto raccapricciante? O adesso era sola, da qualche parte del mondo, a piangere di nascosto il suo inconfessabile sentimento? Certamente era lontano di lì, come lo stesso scrivente ammetteva. Ma quanto lontano? Bastevole a risparmiarla dalla strage? Chissà… E cosa, cosa?, era questa la domanda, cosa l’aveva spinta dentro l’abbraccio “virtuale” del maturo e malinconico professore? Poteva esistere un amore fatto di elettricità, fra un signore di mezza età e una giovane fanciulla in fiore, a due passi dall’apocalisse? Non era questo un segnale, un geroglifico colmo di oscure determinazioni, calato fra il massimo male di cui siamo capaci, la distruzione totale, e il massimo bene, cioè il volersi bene?… M’innamorai segretamente e dolorosamente io stesso della bella sconosciuta e, in mezzo a quelle rovine spaventose, intabarrato nella mia tuta di protezione, incominciai a immaginarmela, bellissima e sorridente, zampillare sulle rovine come una Venere di Botticelli.

 
 
 
 
 

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