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Anti-apologia dell'idiozia

 
"Credo in un essere superiore. Non necessariamente in Dio. No, quelle della Bibbia sono favole, magari edificanti, simboliche, ma qualcosa c’è, un essere superiore deve esserci per forza.”
“E l’astrologia? L’astrologia è una scienza antichissima che è stata studiata e approfondita dagli antichi egizi, che sapevano leggere il destino nelle stelle. Quando uno nasce sotto una determinata congiunzione astrale, per forza subisce una influenza cosmica.”
“Cristo era un extraterrestre. Da millenni ci osservano, e ogni tanto mandano giù uno di loro per cercare di aiutarci a mettere ordine nel nostro mondo. Anche se si sa che è fatica sprecata, perché l’essere umano è malvagio…”
“Anche l’alchimia è antichissima. E non serviva solo a trovare formule per trasformare in metallo nobile la materia più umile. Il fine dell’alchimia era la ricerca della pietra filosofale. Una ricerca millenaria, che coincideva con il Graal dei Rosacroce e la Gerusalemme Celeste dei filosofi medioevali. Leonardo da Vinci e la massoneria ne erano al corrente…”…
Tutte queste espressioni formano nel loro insieme l’aureola di un santuario retorico e  imaginifico in cui di quando in quando ci è giocoforza imbatterci. Qualche scrittore furbo, nella media di ogni decina d’anni, le trae dall’ombra e ci imbastisce su una qualche trama “mistica”, imbambolando qualche casalinga (o suo marito) naïve, che sta cercando il riscatto dalle proprie frustrazioni- ma lo scrittore di massima cerca soltanto il consenso per i soldi e la casalinga resta così infinocchiata due volte, senza accorgersi che quelle espressioni non son altro che una valanga di assurdità.
Ora, in quanto idiozie, queste sono molto facili da stroncare. Ma attenzione, sono idiozie legittime. Non c’è, non esiste un diritto speciale che salvi e preservi dall’idiozia, e comunque non c’è neanche una sola stroncatura che sia in grado di fornire una confutatio esaustiva alla espressione  “Cristo era un extraterrestre.”, o all’affermazione perentoria dell’esistenza di un “essere superiore”. Certo, un’espressione quanto più elementare, tanto più facile è da demolire razionalmente. Per esempio, l’affermazione della esistenza di un essere superiore s’imbarca subito in delle difficoltà filologiche. Perché, né il termine esistenza, ne men che meno quello di essere, sono sufficientemente ancorati a dei fondamenti logici atti a sostenerli. Ma è con la parola “superiore” che si cade proprio in trappola. Perché “superiore” suppone già l’esistenza provata di un “inferiore”, il quale coincide infine con l’assertore stesso che, dando per scontata la propria esistenza, sia pur inferioris, sottomette quella dell”essere superiore” alla propria…
Tuttavia, è perfettamente legittimo il porre tali questioni. Nessuna forma di disprezzo, o di semplice intelligentsia, è legittimata dalla pochezza o dal qualunquismo di una simile Weltanschauung, semplicemente perché, per esempio, nessuno può davvero dire di sapere se Cristo era o no un alieno, per quanto assurdo e grottesco appaia. Anche “avere una squadra del cuore” è più che legittimo; anche conformare la propria quotidianità ai pronostici dei segni zodiacali e ritenere che rappresentino una scienza, è legittimo.
L’assurdità sta altrove. Sta nel fatto che ognuno dei dotti latori di tali “mirabilie” gnoseologiche avanzi pretese “onnivore” su tutto l’orizzonte pubblico disponibile. Ognuno vuole “farsi conoscere” per la propria sicumera, ognuno vuol imporre all’altro la chimera che ritiene coincidere con un massimo possibile universale e di cui si ritiene essere l’unico detentore. Anche il più microcefalo adepto della New Age si tiene alla pari di grandi scrittori, magari, e pretende dalla società il medesimo riguardo ch’essa concede loro.
Certo, chi più, chi meno, il vizietto assurdo di saperne di più, di conoscere un plus ignoto ai più, ce l’abbiamo un po’ tutti, come una specie di fatale genoma presuntuoso. Tuttavia, se restassimo ognuno nel proprio campetto e, anzi, ci scambiassimo serenamente i dati che ne avessimo esperito, magari ci sarebbe meno confusione. E non capiterebbe di incocciare in librerie anche celeberrime e celebrate, “addobbate” dai faccioni sorridenti di cantanti, calciatori e mezze calzette varie, fattispecie TV, ammiccanti dalle copertine delle ultime uscite “best-seller”.     
Detto questo, ammessa e condivisa la legittimità della cretineria, non di meno si deve assegnare al giudizio: il libero esercizio di quest’ultimo è infatti il garante anche della legittimità in questione, e d’altro canto i discepoli di quelle legittime corbellerie sono quasi sempre i primi a impalmarsi sul pulpito della supponenza e dell’intolleranza.  E siccome, come detto, nessuno va esente dal vizio assurdo di assolutizzare il proprio tipo onde farlo primo tra i suoi uguali (e sottometterli), ecco che tale giudizio va da un lato centellinato e dispensato con calma e parsimonia (anche per non ferire l’amor proprio altrui). Ma dall’altro deve scendere come una falce intransigente sul caca-senno di questi sputasentenze approssimativi, e mozzare le lingue della mediocrità. E quanto a quest’ultima si deve diffidarne fin nello sprofondo della sua astuta ignominia. Perché la mediocrità assume maschere in luogo della sua impresentabile faccia, e al fine di nascondere il suo più radicale intendimento, che è quello di soprastare e sopraffare chiunque osi interloquire con il suo assolutismo ideologico e la sua auto-apoteosi, è capace di arrampicarsi fin sulle sommità del sapere per scimmiottarne la retorica e zittire ogni dissenso. Una sorta di plagio o di millantazione, in cui è perfino possibile imbattersi nelle fattezze di una qualche osannata nullità, che spaccia idee stupefacenti le quali non son altro che collage di idee raccattate qua e là per abbindolare pensatori di bocca buona. E, sciolto l’enigma di un linguaggio raffazzonato a tagli e frattaglie da Derrida, Deleuze o Heidegger, ecco l’emersione a nudo della medesima nulla fiacchezza della New Age, o degli idoli apotropaici.  
Un ottimo esempio di scimmiottatore ci è offerto storicamente dalla figura di Gottfried Benn, per altro verso grande poeta e scrittore tedesco. Tutto il suo pasticcio tra genotipi e fenotipi non è infine che la maschera della sua aristocratica malevolenza, della sua infine palese vocazione classista ad un nazismo non necessariamente assassino, ma sprezzante e gonfio d’odio nella sua sadica banalità del (e verso il) male. Tanto che Heidegger stesso, che condivideva in parte quel progetto sadico-politico, lo respinse, non ne accettò il rapporto. (Benn era grande nella crudeltà delle sue prime raccolte di versi – Morgue; Aprèslude -, ove, senza remore o diversioni, affrontava la vita e la sua gravità con occhio clinico -era medico-, disincantato e intensamente poetico.)   
La mediocrità può acquattarsi nelle stive di una grande anima, la quale, essendone consapevole, si adopererà per edulcorarla con le infiorettature epistemologiche, rimasticate come un chewing-gum. Ma può anche avvolgere completamente un’anima debole, passiva, svuotandola ma lasciandole altresì quella fame di gloria, quell’inesausta smania di vittoria del proprio tipo morale e psicologico che la induce a rimpinzarsi e adornarsi di un sapere parassitario e invano che, lungi dal configurare l’adempimento del proprio viaggio all’interno dell’essere, non rivela altro che la lunga mano di un ladro di essenze. E la differenza tra il parassita e la sua vittima, tra la mediocrità e lo spirito, sta in ciò che fonda il loro movimento, ossia, nel rapporto intersoggettivo di questo, contro l’assoggettamento di tale rapporto al proprio arbitrio dell’altro.
 

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