CorteStorie: delle tenebre e d'incanti di piccole ostilità di tempo | Prosa e racconti | giuseppe pittà | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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CorteStorie: delle tenebre e d'incanti di piccole ostilità di tempo

f)
 
Foschi presagi. Muovono di una certa oscurità, calpestando orme consuete, cancellandole dalla sabbia più bagnata. Flik è uomo di poche parole, ma di molto movimento Costruisce castelli con la capacità di un antico costruttore medioevale. Si avvolge di grigi segni di riflessione, mostrando, però, una perizia senza eguali. Di lui si conoscono tante storie, ma nessuna, si può dire, sia certo avvenuta. Vive dunque di sogni e duro lavoro, disegnando le strade della sua stessa gloria, maledicendo e, a volte, benedicendo le ombre, a causa o meno del posizionamento del fuoco e delle forme delle fiamme, perfino del loro colore, per la conoscenza diretta della luce. Ed è così che, passando e ripassando nella riflessione dei vortici e dei disequilibri, finisce per imbattersi nella circostanza di una vertigine da consegnarlo, per la prima volta, alla paura. Viene in questo modo ad abbracciare una nuda follia, consapevole di un dolore più forte di tutti, che gli avrebbe negato la soddisfazione, per tutto il futuro, per la riuscita del suo lavoro. Accade allora che si prostra a tal punto, che ne soffre per tutto il cammino. Ha, infatti, da poco, intrapreso il viaggio verso la nuova conoscenza. Dall'abilità nella difesa dalla malvagità umana, da come render vane le strategie dell'assedio, dal muovere verso l'initilità delle armi nemiche e l'infallibilità delle proprie, giunge a concepire il passo verso la salvezza, una salvezza che si rende necessaria e profondamente vitale. Il tutto muovendo ad abbracciare la pietà per se stesso ed a rendersi prigioniero dell'avidità per l'anima. Così nella notte, nel buio dei misteri incontra un vento che profuma di arance. Di quelle amare. Ne è felice, ma allo stesso tempo sente timore. Ne è atterrito, soprattutto per la stranezza di un tal profumo in una notte senza alcun barlume di lucentezza, dominata dalle nuvole e dalla tristezza. Arance, poi, in questa zona così impervia, racconta a se stesso, colma, questo si, di mistero ed ambiguità. Decide, però, di muoversi ad avvicinarsi al rumore del fiume. Forse in quel bagliore neanche tanto lontano si potrà scoprire la naturalezza del fenomeno. Piano, facendo attenzione all'erba umida ed alle tonde pietre levigate, si avvicina al greto del fiume. Da una folta siepe di canne, comincia a sentire quasi una nenia. Qualcosa di religioso, come di un coro sommesso, una laude che si mischia al vento e costruisce un incredibile risultato per le orecchie ed il cuore. Scosta le piante, muovendo gli occhi alla ricerca degli autori di simile musica. Così riesce a vederli, sono tutti lì, forse venti o trenta, vestiti di luce, seduti in circonferenza, forse uomini, forse donne, non riesce a comprenderne la natura dei loro generi. Al centro del cerchio, il fuoco di un grande falò, con lingue di fuoco che suparano i due metri. Cantano. Non si comprendono le parole. Non si riesce a capire in che lingua si stanno esprimendo. Solo un gran profumo di arance. Di quelle amare. E il fumo che arriva a colpire gli occhi. Così piange. Piange, ma non di dolore, né per la malinconica tristezza di una speranza che sembra esser morta dentro di lui. Solo per la consapevolezza di un giorno che finisce, nel buio di una notte diventata eterna, nel sogno infranto di un ultimo grande atto d'amore, nel sussurro di un canto che sembra funebre, per un gioco al massacro che non è più tollerato. Si avvicina al fuoco, come in un rito conosciuto fin dai tempi dei tempi. Alcune mano l'afferrano. Sono mani forti, di braccia forti, di gente forte. Sa, ha la certezza, che finirà nel fuoco, perché il fuoco lo sta chiamondo, lo vuole. Non è pronto, ma sente di non poter far niente per opporsi a questa prepotente nuova volontà. Così chiude gli occhi e lascia che gli altri decidano, che lo restituiscano al regno del nulla. E' solo un attimo. Ecco che arriva. "O Fortuna, velut Luna, stata variabilis, semper crescis aut decrescis; vita detestabilis nunc obdurat et tunc curat ludo mentis aciem, egestatem, potestatem dissolvit ut glaciem ...". E si invola, così, a nuova vita, muovendo e ballando di Orff i Carmina Burana" . 
 
 

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