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di un prima a forma di dopo o della uniforme convergenza dei tempi in un unico acuto angolo, acutissimo

 
Ho solo un altro minuto per vederti vivere. Sanguino ormai ininterrottamente, nessun programma terapeutico sembra dare una qualche speranza. Le gioie ed i dolori arrivano a confondersi, falsificando di molto una realtà che si stenta a riconoscer tale. Possiamo ben dire che è il trionfo del sogno, che ormai regna, invincibile e terribile, sul resto delle cose, su quel che rimane del niente. Ho sete di sapere e leggo ormai solo le prime dieci pagine di un libro e le ultime dieci, per riempire il corpo della mente. Nello stesso istante ho fame di memoria, così cerco sui rami dell'albero antico le foglie rigogliose dei migliori ricordi, 
viaggiando di pensiero fin nelle pallide conseguenze dei delinquenziali atti giovanili. Ma li accavallo e li mischio, portandoli ad oggi, nelle vicissitudini dei giorni attuali e delle ore e minuti. Ed è magnifico tutto questo, ché la fragilità delle mie vicende di geografia si stagliano nelle sistemazioni di una fisica che non ha più il sostegno delle regole, ma contiene tutta la forza filosofica di un altare al passato, vivendolo magari in un futuro che va ad esaurirsi. Intanto convengo sulle strane curve di un circuito molto veloce, dove ad un certo punto della corsa, nel gioco di un'accelerazione particolare, passando dalla quarta alla quinta, in un sistema di numero di giri davvero elevato, riesco a vedere il volto ghignante di un sapore nuovo d'esistenza. E ritrovo la produzione fortunosa della salvezza del sonno. Ripercorro strade davvero di secoli fa, quando, nei pomeriggi infuocati dell'estate, mi costringevano, mio malgrado, a provare almeno a prender sonno, una mezzora, poco più, per rigenerare le sperperate energie. Così oggi posso dire, con grande meraviglia e precisione, d'aver perdonato talmente tante volte il mio spirito ribelle, che potrei fare ancora danni e sentirmi assicurato d'eterno. Ma non son più capace di far danni, l'ultimo l'ho completato soltanto qualche giorno fa, ma sembrano passati decenni. La verità sta negli scarabocchi di Basquiat, tutti, perché tutti hanno per me significati così magici, come sentieri da percorrere, di giorno e di notte, soprattutto di notte, per ristorare i pensieri e trovare uno sbocco quasi felice alle visioni. Ed è quasi tutto qui, nella delusione di aver pensato, sempre e comunque, ad un mondo leggermente più giusto, che meritasse almeno l'attenzione ed il rispetto. Invece no, con le vergogne del mio secolo, respiro ancora un fumo troppo acre per esser gradevole. Dicono sia il risultato della cattiveria, io la chiamo follia, una specialità della pazzia, che ti prende uno qualsiasi, chessò un ragioniere, un geometra, un architetto, e lo fa diventare uno strumento perfetto del demonio. Così accade, il novantanove per cento (che in ogni bruttura c'è sempre almeno un momento di decente bontà) delle volte che si donano solo crimini all'umanità. Così accade che una pianura stupenda, un mare di grano e papaveri rossi diventi dimora perpetua d'ossa e polvere d'uomo. Così accade che mi sveglio di soprassalto, nel sudore di un terrore sempre più autentico, scoprendo d'essere io stesso il proiettile che uccide o forse la goccia del più efficace tra i veleni o semplicemente il fungo splendido della fine del tutto. Sembra durare un secolo intero, prigioniero di un' angoscia che non conosce tregua. Poi. Poi, in uno scatto di palpito d'efficienza, mi sveglio, o meglio forse mi sveglio e guardo in un frammento di specchio gli occhi ciechi di un giorno che non ha più niente da dire. Così, tremante di una antichissima verità, mi infilo, gustando tutto il momento, nell'unico solo minuto che mi resta per vederti vivere.
 
 

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