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Rimembranze - parte prima

 

 

 

 

Sono trascorsi tanti, tanti anni, ma di tanto in tanto riaffiorano        nella memoria vicende e volti, che sembravano del tutto dimenticati. E’

come se, senza volerlo, si ripresentassero pezzi dell’intero film della

propria vita e si provasse un dolce rimpianto di persone e fatti che

non torneranno più, ma che riprendono tutti i connotati della realtà,                                       tale    è la loro vivezza nella mente umana.

Certo, anche tristi ricordi riaffiorano, ma l’età adulta si sforza di cancellarli, perché hanno fatto soffrire e il dolore la mente cerca di rimuoverlo. Al contrario, volti che si sono amati, e magari tanto, quando si riaffacciano, aprono il cuore e lo inteneriscono.

Come tanti fotogrammi, si susseguono nella mente e si rivivono con particolare compiacimento. Il primo incontro, il primo bacio dell’adolescente o della giovane o della donna amata rispunta per primo e subito inonda il cuore di dolcezza.

 

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Il volto della ragazza amata, nel periodo della scuola media lei, e del ginnasio io, mi riporta alla prima vera infatuazione, al bisogno di rivederla ogni giorno e magari di baciarla, anche solo sulle gote e sulle mani.

Un’estate ricordo in modo particolare : tutte le sere ero lì a passeggiare su via San Giorgio, sia che la vedessi affacciata al muretto del giardino di casa sua, in compagnia di qualche sorellina – più spesso di quella che fungeva da latrice di missive reciproche; sia che fosse di fronte o a breve distanza per istrada.

Poiché quella strada per Altamura era sufficientemente frequentata, quasi sempre io e gli amici intimi, inseparabili ogni giorno, passeggiavamo o sostavamo ai bordi e persino nel campo adiacente, ove allora ci facevamo abbuffate di fave novelle o andavamo a caccia di lucciole – paesaggio assai diverso oggi che è tutto cementato e asfaltato.

Carmen amava i fiori e talvolta accompagnava la missiva di risposta a un mio scritto, sempre appassionato, con una pensèe profumata. Che diluvio di parole in quelle lettere – almeno da parte mia!

La rottura non voluta né dal mio cuore né, forse, dal suo provocò una ferita profonda e insanabile a vita, come ho accennato in una mia lirica

contenuta nel mio primo canzoniere ( Le rose della Pieria ) edito da Albatros- Viterbo nel 2010.

Di lei ora so che vive ancora – grazie a Dio per lei e per me – ed ha tre figli. Come sarà mutata “ ab illa “! Chi sa se la riconoscerei!

 

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I primi veri baci appassionati – credo di ricordare – li ho dati e ricevuti dalla timida Mary, quando l’accompagnavo verso casa, in una strada quasi sempre deserta alle spalle di un mulino. Mi piaceva accarezzare la sua pelle vellutata e colorita del viso e delle mani. Oh, le care mani! – avrebbe detto G. D’Annunzio soprattutto di “ Barbarella “.

Raramente mi concedeva di esplorare il suo petto e baciarle i seni. Com’era remissiva e taciturna quella dolce adolescente, tutta profumo! Ma anche questa relazione finì con qualche rancore forse motivato. Dopo un certo tempo, ovviamente, si fidanzò con un odioso conoscente e ne fui geloso. Sposò poi, a tempo debito, un altro e vive ancora felicemente con marito e figli. Non la vedo quasi mai.

 

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Un amore più profondo mi legò in seguito a Lidia, in concomitanza con una relazione - credo superficiale – di mio fratello con la sua “ maestra “.

Era un’adolescente minuta ma ben formata, come una donna adulta, molto carina anche di viso e piena di vitalità. L’amai, come ho detto, intensamente. La vedevo tutti i giorni, ma non frequenti e furtivamente programmati erano gli abboccamenti. Sono ancora vivi nella memoria i baci lunghi e mozzafiato che ci davamo, le effusioni, le carezze, i miei baci sulle mani e sulle braccia e, quando la confidenza e la complicità divennero piena intimità, l’apertura della sua camicetta e la mia foga sul suo petto e sui suoi seni turgidi e polposi. Arrossiva e ansava, ed io coglievo il momento per carezzare la sua farfalla e infilare le dita per cogliere il suo nettare e bagnarmi le labbra, prima di ulteriori profondi baci.

Fraintesi e incomprensioni, gelosie immotivate da parte mia, e,

infine, motivate da parte sua, ruppero l’incantesimo. Non ci incontrammo

più, anche perché lei andò via dal mio paese, che non era anche il suo. Ho saputo che vive in una grande città, felicemente sposata e con figli. Una sua parente asserisce che arrossisce ancora, quando tra loro capita di fare il mio nome. Ah, Lidia, Lidia, come ti ho amata! Il mio pensiero corre talora all’adorata Lidia di Carducci e alla Lina di Saba, e agli analoghi momenti felici trascorsi dai due poeti.

 

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Un amore quasi del tutto platonico, senza gran che di contatti fisici, mi legò nel primo anno di liceo – credo – ad Antoinette. Abitava allora in un appartamento al secondo piano, con balcone corrispondente a quello di casa mia. Era un’adolescente ancora del tuttto ingenua e romantica, timida, molto timida. Lo capii subito all’inizio della vicenda d’amore, quando, affacciati ai nostri balconi, se la guardavo con insistenza, la vedevo arrossire. I contatti, dunque, erano prevalentemente visivi, pochi quelli fisici e sporadici i bacetti. Alcune missive. Ciò era dovuto al fatto che era appena quattordicenne e al controllo asfissiante della famiglia, secondo una mentalità generalmente paesana, che un giorno costrinse il fratello maggiore a fermarmi per dirmi di lasciar stare la sorella, fin troppo piccola a quei tempi per allacciare una relazione amorosa. Non so se a torto o a ragione, mi sentiii profondamente offeso e, perciò, troncai – o troncammo? – quell’amore mal nato.

Apro una parentesi per dire che a quei tempi, per molti giovani, l’amore era una cosa seria, ma la rottura dei rapporti per cause molto varie, e non infrequenti, spinse a concepire una sorta di “ filosofia “ del “ chiodo scaccia chiodo “. I sentimenti erano per lo più sinceri, ma l’orgoglio era tanto e, perciò, per dimmenticare una rottura insanabile - o presunta tale – non c’era altro da fare che passare ad un altro corteggiamento – allora quasi sempre da parte del maschio – e aprire, quando la circostanza era favorevole, un altro capitolo d’amore, sempre vero e fiducioso. Alcune nuove amicizie e simpatie restavano tali, una sorta di amori possibili, ma mai effettivamente nati o tradotti in una vera e propria relazione. Innamoramenti da parte mia rimasti senza un seguito o senza una concreta “ corrispondenza d’amorosi sensi “ ci furono, ma il cuore era ugualmente caldo e il pensiero spesso si concentrava su adolescenti o giovinette di cui – in molti casi – la mente ricorda ancora il nome e per cui il cuore prova un pizzicore : Lucrezia, Palma con qualche bacio, Mary seconda, Mary la bionda, Giovanna…E tante simpatie mai dichiarate.

 

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Una sorta di “ amore per via “ fu quello con Giuseppina, viso ancora di fanciulla, oltremodo timida e tremante al tatto. Fu amore, ma durò pochi mesi, interrotto da non ricordo quale motivazione.

Intorno ai vent’anni, il mio romanticismo non venne meno, anche se l’urgenza dei sensi si faceva sentire maggiormente. Lo sperimentai prima con Lucy, poi con Dominique – le chiamavo così perche avevo sempre studiato il francese –.

Conobbi la prima in una festicciola da ballo in casa privata, com’era consuetudine maggiore in quegli anni attorno al Sessanta, quando il primo cinquantennio, quello delle grandi guerre e della parentesi fascista era ormai lontano e avanzava la modernità con l’industrializzazione, l’istruzione per tutti e l’emancipazione sociale.  Ma sia lei che la famiglia erano, come tante, più o meno all’antica. Perciò ci fidanzammo

 

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